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SENTENZA PUPINO
In una recente sentenza (Corte di Giustizia delle Comunità europee del 16 giungo 2005, causa C-105/03, Pupino) la Grande Sezione della Corte di Giustizia si è pronunciata per la prima volta suun’importante questione relativa ai rapporti tra decisioni quadro, adottate nell’ambito del terzopilastro dell’Unione europea che concerne la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale,ed il diritto nazionale degli Stati membri dell’Unione. Il caso appare di grande interesse poichéafferma l’obbligo di interpretare il diritto interno – nel caso di specie si trattava di una norma delcodice di procedura penale italiano – in modo conforme alle decisioni quadro adottate a normadell’art. 34, n. 2, lett. b) del Trattato UE.
Al fine di poter commentare in modo adeguato la sentenza è opportuno ricordare i fatti che hannodato origine alla controversia. Nell’ambito di un processo penale a carico
della sig.ra Maria Pupino, maestra in una scuola materna, veniva contestato il reato di aver maltrattato e percosso alcuni suoi studenti di età inferiore ai cinque anni. A causa della peculiarità della situazione delle vittime, il pubblico ministero chiedeva di poter ascoltare otto bambini, essendo questi ultimi vittime e testimoni dei fatti accaduti, attraverso la forma dell'incidente probatorio. In tal modo infatti sarebbe stata accordata una maggiore tutela degli interessi delle vittime che sarebbero state ascoltate secondo modalità particolari, in modo da assicurare sia la tutela della dignità, del pudore e della personalità del teste, sia da garantire la genuinità della prova. In altri termini il p.m. richiedeva al Giudice delle indagini preliminari di essere autorizzato ad utilizzare una procedura per l'acquisizione delle prove che ha carattere eccezionale, poiché consente di formare le prove ancor prima dell'inizio dellafase dibattimentale. Bisogna precisare che nel nostro ordinamento il ricorso all'incidente probatorio è previsto per l'assunzione di testimonianza esclusivamente nelle ipotesi contemplate dall'art. 392, commi 1 ed 1 bis concernenti reati a sfondo sessuale.
La situazione riguardante il caso di specie non è dunque contemplata tra i casi specificamente previsti dalla normativa italiana, tuttavia una siffatta possibilità sembrerebbe corrispondere all'esigenza di tutelare le vittime del reato, e la tutela di tali vittime sotto il profilo processuale è espressamente prevista dalla decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 2001, che tutela con carattere generale la posizione della vittima nel processo penale ed, in particolare, all'art. 8 stabilisce che "Ove sia necessario proteggere le vittime, in particolare le più vulnerabili, dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica, ciascuno Stato membro garantisce."
allavittima la facoltà, in base ad una decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento". In considerazione di tali circostanze il Tribunale di Firenze, essendo stato chiamato a decidere in relazione all'ammissibilità dell'incidente probatorio, si è rivolto alla Corte di Giustizia ai sensi dell'art. 35 TUE, al fine di avere chiarimenti circa la portata della decisione quadro e di determinare se essa prevalesse sulle norme di diritto interno. In base all'art. 34, n. 2, lett. b TUE le decisioni quadro sono vincolanti per gli Stati membri in relazione al risultato da ottenere, ma lasciano ferma la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma ed ai mezzi per la loro attuazione. La norma esclude espressamente l'efficacia diretta delle decisioni quadro. La ragione dell'esclusionedell'efficacia diretta si deve proprio allacircostanza che il terzo pilastro si basa su una forma di cooperazione intergovernativa che hacaratteristiche e regole chiaramente diverse da quelle operanti nell'ambito del diritto comunitario.Nella motivazione della sua decisione la Corte non ha mancato di evidenziare la logica distinzionetra le direttive comunitarie previste dall'art. 249 TCE e le decisioni quadro previste dall'art. 34TUE, ma ha tuttavia ritenuto che anche rispetto a quest'ultime dovesse essere riconosciuto ilprincipio di interpretazione conforme già elaborato in relazione alle direttive nel caso Marleasing(Sentenza del 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, in Racc. p. I-4135). Tale principioprevede che il giudice, tra duo o più "interpretazioni" da poter "seguire" scelga quella che più siavvicini a quanto stabilito dal diritto comunitario.Ammessa la competenza della Corte in materia, vistaLa dichiarazione di accettazione da parte degli Stati Membri, la competenza pregiudiziale "sarebbe privata dell'aspetto essenziale del suo effetto utile se i singoli non avessero il diritto di far valere le decisioni quadro al fine di ottenere un'interpretazione conforme del diritto nazionale dinanzi ai giudici degli Stati membri". Inoltre la Corte ritiene che dall'assenza nell'ambito del Trattato UE di una norma corrispondente all'art. 10 del Trattato CE sulla leale cooperazione tra Stati membri e Istituzioni, non potrebbe derivare la mancanza di un obbligo di fedeltà all'Unione. Infatti come ricordano sia l'Avvocato generale, sia la Corte, l'art. 1 del Trattato sull'Unione europea stabilisce che tale Trattato segna "una nuova tappa nel processo di creazione di un'Unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa". Compito dell'Unione europea sarebbe dunque quello di“organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli”. Secondo la Corte tale scopo non potrebbe essere perseguito efficacemente “se il principio di leale cooperazione, che implica in particolare che gli Stati membri adottino tutte le misure generali o particolari in grado di garantire l’esecuzione dei loro obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, non si imponesse anche nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che è del resto interamente fondata sulla cooperazione tra gli Stati membri e le Istituzioni”. Sulla base di tali considerazioni la Corte ha concluso che “applicando il diritto nazionale, il giudice del rinvio chiamato ad interpretare quest’ultimo è tenuto a farlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato perseguito da questa”.
Bisogna tuttavia precisare che
ma tiene conto anche delle implicazioni politiche e sociali della questione. La Corte riconosce che l'interpretazione conforme può essere uno strumento potente per garantire l'effettività del diritto dell'Unione europea, ma allo stesso tempo sottolinea la necessità di bilanciare questo principio con i diritti fondamentali degli individui coinvolti. In conclusione, la sentenza Pupino rappresenta un importante sviluppo nel processo di integrazione europea, ma richiede una valutazione attenta e ponderata dei suoi effetti. La Corte ha stabilito dei limiti chiari all'interpretazione conforme, al fine di garantire il rispetto dei principi dell'ordinamento nazionale e dei diritti fondamentali.ma si sofferma a richiamare gli obiettivi dell'Unione europea. Tuttavia non bisogna dimenticare che la Corte di Giustizia con la sua giurisprudenza ha sempre contribuito a rafforzare il processo di integrazione europea ed ha promosso il suo sviluppo anche in momenti di difficoltà politiche. La sentenza in oggetto si inserisce certamente in un quadro politico di evidente difficoltà ma mira a realizzare un obiettivo importante: l'Unione europea deve continuare il suo cammino e deve tutelare gli interessi del "popolo" anche in momenti di difficoltà politica.
IL CASO MANGOLD
La questione pregiudiziale risolta con la sentenza riportata di seguito proveniva da una controversia di lavoro (probabilmente una fictio litis) tra il Signor Mangold e il suo datore di lavoro. La questione riguarda la compatibilità di una normativa tedesca che autorizza indiscriminatamente la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato quando il lavoratore abbia
raggiunto una certa età, con la direttiva comunitaria 2000/78, ed in particolare con il principio di non discriminazione in ragione dell'età in essa posto. Al fine di favorire la lotta alla disoccupazione la legge tedesca consente la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato (altrimenti limitati alla durata massima dei due anni) quando i lavoratori abbiano raggiunto l'età di 60 anni. Tale limite di età è stato poi successivamente e temporaneamente abbassato a 52 anni, e di tale modifica si era avvalso il datore di lavoro del Sig. Mangold assumendolo. Alla data della stipula del contratto il termine per l'attuazione della direttiva non era ancora scaduto per la Germania. Dopo aver più volte ricordato come la direttiva tuteli la parità di trattamento ed osti a discipline nazionali contrastanti con essa, il giudice comunitario sembra frenare bruscamente nel punto 74 della sentenza affermando che il principio non deriva.direttiva ma "trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri", e che esso deve essere considerato principio generale del diritto comunitario. Alla luce di ciò il la sentenza si conclude con la prescrizione dell'obbligo di disapplicazione della disciplina interna in capo al giudice nazionale "anche quando il termine di trasposizione della direttiva non è scaduto". SENTENZA OMEGA Con tale sentenza la Corte si è pronunciata sulla compatibilità con la libera prestazione dei servizi di un provvedimento di un'autorità tedesca adottato sulla base della legge sulla polizia amministrativa del Land Renania del Nord-Vestfalia (OBG NW) a termini della quale "le autorità di polizia possono adottare le misure necessarie per prevenire in casi particolari un pericolo che possa minacciare la pubblica sicurezza o l'ordine pubblico".tale provvedimento detta autorità, in sintonia con l'art. 1, n. 1, prima frase, della Costituzione tedesca che stabilisce il principio della dignità umana, aveva vietato i giochi che si svolgevano nei locali gestiti dall'Omega ritenuti un