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Il riconoscimento psicologico delle norme giuridiche
Ma anche spostando la questione sul riconoscimento da parte di tutti i consociati, il discorso non cambia. Come faccio a dire che la normatività giuridica si basa sul riconoscimento psicologico, sull'interiorizzazione delle norme? Dovrei avere dei dati empirici. La seconda obiezione è che per certi settori del diritto non è neanche configurabile un'interpretazione di carattere psicologico. Ad esempio, che cosa significa riconoscersi psicologicamente in una norma di diritto tributario? Qui siamo in presenza di regole tecniche valide indipendentemente dal riconoscimento psicologico. Oltretutto, in generale, seguire una norma, farla propria sembra dipendente da particolari sentimenti psicologici. Hart, infatti, diceva che avere un obbligo non implica il sentirsi obbligato in nessun modo. Posso riconoscere delle norme perché fanno parte della mia forma di vita, del mio ordinamento giuridico oppure se sono norme sociali fanno parte della mia comunità, del mio gruppo.
Il fatto che riconosca quelle norme non significa che le condivida, tant'è che posso riconoscerle per criticarle. Il fatto che mi sia concesso di riconoscere una norma e poi criticarla implica che deve esserci una distinzione tra il riconoscimento della norma ed il mio rapporto psicologico con essa. Nel testo ci si discosta dall'idea forte di riconoscimento psicologico e si va verso una forma di riconoscimento logico: io riconosco una norma, attraverso un certo tipo di criteri posso dire che c'è una norma e che questa norma guida il mio comportamento. Si tratta di un passaggio dal concetto di riconoscimento psicologico a quello logico. Riconoscimento logico significa che la nostra relazione con la norma non ha tanto a che fare con la volontà, con gli aspetti psicologici del mio comportamento ma con gli aspetti della conoscenza. Riconoscere è conoscere, ovvero conoscere di nuovo nel senso di valutare una norma come norma capace di guidare il mio comportamento.come norma che pretende di guidare il mio comportamento. Il riconoscimento di una norma come pretesa sviluppa sempre in senso logico la credenza nell'applicazione di questa norma. La norma intesa come parametro che pretende di essere obbedita, nel momento in cui io la riconosco, riconosco anche che quella norma è complicatoria e cioè che quella norma pretenderà la sua applicazione, pretenderà di essere obbedita e applicata. Tutto questo in un quadro di ordinamento giuridico di tipo classico kelseniano, diventava abbastanza comprensibile. Infatti, qui la norma è obbligatoria perché è inserita nell'ordinamento secondo certi criteri. Ma occorre anche che questo ordinamento sia nel suo complesso valido. E' perché l'ordinamento sia valido nel suo complesso occorre che sia efficace. E' l'efficacia di fondo che mi permette di dire che il diritto è obbligatorio. Ora per un ordinamento di tipo classico
riconoscimento logico delle norme è che nel contesto di un ordinamento globale la credenza nella loro obbligatorietà e nell'effettiva applicazione si separa. Questo rende più complesso il processo di riconoscimento, poiché non possiamo più presupporre che le norme vengano sempre obbedite. In realtà, nel mondo globale, ci sono norme la cui pretesa di obbligatorietà è sempre in crisi. Pertanto, riconoscere una norma logicamente non significa più garantire la sua possibilità di essere effettivamente applicata. Questa è la prima differenza da considerare.modo classico in cui si interpretava il riconoscimento logico sta in questa separazione tra pretesa di obbligatorietà e credenza nella sua obbligatorietà. La seconda differenza sta nel fatto che non è univoco il parametro di riferimento del riconoscimento. Ora i criteri di riconoscimento sono essi stessi sottoposti a scelta. Il riconoscimento logico, quindi, regge ma si indebolisce sia perché i criteri di riconoscimento diventano plurali e tra essi si ha un problema di scelta sia perché l'obbligatorietà della norma diventa essa stessa meno intensa avendo il problema della scissione tra la pretesa della norma ad essere obbedita e la credenza nella sua obbligatorietà. C'è però un altro elemento da considerare quello della materializzazione o positivizzazione all'interno dell'ordinamento giuridico di valori morali. È quello su cui insistono i costituzionalisti, i neo-costituzionalisti. Se invece di una normadidettaglio mi trovo davanti ad una norma che positivizza un valorecome si fa a riconoscere logicamente quella norma. Qui le cose sicomplicano. Quando le norme riguardano concetti come eguaglianza,dignità umana diventa più difficile la distinzione tra momento diriconoscimento logico e momento di riconoscimento psicologico.Aquesto riguardo si sono formate due diverse forme di pensiero. Da unlato gli inclusivisti dicono che le norme che positivizzano valoripossono essere anche criteri di validità cioè la norma diriconoscimento può positivizzare criteri morali. Altri come gliesclusivisti ammettono che nella Costituzione ci siano contenutimorali ma questi contenuti morali restano contenuti di normespecifiche non valgono come criteri per la ricerca di validità dialtre norme. Tra i critici esclusivisti troviamo Joseph Raz, il quale hainsistito proprio sul fatto che la presenza di valori morali nei nostriordinamenti rende molto più difficile la loro interpretazione eapplicazione.Il riconoscimento logico tanto da mettere in crisi la stessa riconoscibilità certa delle norme e mette in crisi la stessa idea di obbligatorietà del diritto. Questo perché è facile dire che una norma è valida se rispetta ad esempio determinati articoli della Costituzione. Se invece il riconoscimento dipende dal fatto che questa norma rispetti o no i criteri morali positivizzati in Costituzione, l'effetto è (secondo Raz e gli esclusivisti) una perdita della certezza del diritto.
Raz diceva che se vogliamo difendere l'idea del diritto formale, certo e autorevole dobbiamo escludere i valori morali dai criteri di validità. Per cui nel nostro linguaggio, se si vuole conservare la possibilità di distinguere in modo netto il riconoscimento logico da un'adesione alla norma, si deve escludere questo tipo di valori. Ma ciò crea un problema in quanto la prassi non è questa. Perciò il discorso di Raz sembra essere più un
decisione. Al contrario, sostiene che la decisione è una componente essenziale del pensiero stesso. La decisione è ciò che permette di passare dalla teoria all'azione, dal concetto all'attuazione. Senza la decisione, il pensiero rimane solo un'idea astratta, priva di efficacia pratica. La decisione, secondo Catania, implica una scelta consapevole e responsabile. Non è semplicemente un atto impulsivo o casuale, ma richiede una valutazione attenta delle diverse opzioni e delle loro conseguenze. La decisione implica anche un impegno personale e una presa di posizione. È un atto di volontà che porta a una determinata azione o direzione. Catania sottolinea l'importanza di prendere decisioni informate e ponderate. Non si tratta solo di seguire istinti o desideri personali, ma di considerare attentamente i fatti, le evidenze e le conseguenze delle proprie scelte. La decisione, quindi, richiede anche una buona dose di razionalità e obiettività. In conclusione, secondo Catania, la decisione è una componente fondamentale del pensiero e dell'azione umana. È ciò che permette di tradurre le idee in realtà e di agire in modo consapevole e responsabile. La decisione richiede una valutazione attenta e informata delle opzioni disponibili, nonché un impegno personale e una presa di posizione.norma o sull'ordinamento giuridico concreto. Schmitt in un saggio sui tre tipi di pensiero giuridico scritto nel '34, e poi riproposto nel '72 in italiano e privato della parte finale, sosteneva che la storia della dottrina giuridica presenta sempre concezioni che o mettono in evidenza la norma o la decisione oppure l'ordinamento giuridico concreto. Anzi Schmitt aggiunge il pensiero basato sull'ordinamento giuridico concreto solo nel suo saggio del '34 perché precedentemente aveva parlato solo di contrapposizione tra pensiero normativo e decisionistico.
È accaduto che Schmitt in polemica con Kelsen soprattutto aveva in passato elaborato un concetto di pensiero giuridico basato sulla decisione in netta contrapposizione al pensiero basato sulla norma. Non è un caso che l'opera di Schmitt "la Teologia politica" si apre con la frase: "Sovrano è chi decide sullo Stato di eccezione". Kelsen e altri combattevano soprattutto
il concetto di sovranità statuale. La sovranità, secondo Kelsen, deve essere rimossa dalla coscienza giuridica. La risposta di Schmitt, invece, è che Sovrano è chi decide sullo Stato di eccezione. Inizialmente, quindi, la polemica era tra il pensiero normativistico (con Kelsen) e il pensiero decisionistico (con Schmitt). Nel '34, però, Schmitt ha un ripensamento e afferma che né il pensiero basato sulla norma né quello basato sulla decisione sono validi. Il pensiero giuridico che ci permette di comprendere tutto è quello sull'ordinamento giuridico concreto. E qui si richiama Santi Romano. Tuttavia, questo è molto lontano da Schmitt, che era un istituzionalista e che considera tutto il diritto e la realtà sociale-giuridica formalizzabile all'interno del concetto di ordinamento, che è un concetto estraneo a Schmitt. Tutto questo per dire che la contrapposizione seria è tra norma e decisione.Decisione. Catania dice che non è assolutamente possibile pensare un ordinamento che sia fondato sulla mera decisione. Ma il punto importante è che a Catania sembra impossibile parlare di decisione se contemporaneamente non si pensi alla norma. Ma quale tipo di norma? Se noi pensiamo al rapporto norma-decisione nell'ambito dello Stufenbau allora ogni decisione per certi aspetti è fondata sulla norma precedente però esiste sempre un potere discrezionale che compare all'interno dello schema. Questo discorso è legato all'apertura del libro la "Teologia politica": "Sovrano è chi decide sullo Stato di eccezione". Quest'apertura non è solo una teoria della sovranità è anche una teoria della decisione che è sganciata da un pre-ordine di tipo normativo. Se io dico "Sovrano è chi decide sullo Stato di eccezione"