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Decisione della Corte Costituzionale
Riuniti i giudizi, la Corte Costituzionale:
- Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate dalla commissione tributaria provinciale di Torino, con l'ordinanza emessa il 6 ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 della Costituzione;
- Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate dalla commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il 18 ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3, 32 e 76 della Costituzione, e con l'ordinanza emessa il 23 marzo 2000, in riferimento all'art. 53 della Costituzione;
- Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate dalla commissione tributaria provinciale di Lecco, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione;
tributaria provinciale di Piacenza, in riferimento all'art. 76 della Costituzione;
Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.446, sollevate dalla commissione tributaria provinciale di Milano, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione; dalla commissione tributaria provinciale di Parma, in riferimento all'art. 53 della Costituzione; dalla commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, in riferimento all'art. 53 della Costituzione; dalla commissione tributaria provinciale di Genova, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione; dalla commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, in riferimento all'art. 53 della Costituzione, e dalla commissione tributaria provinciale di Piacenza, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;
Dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il 18 ottobre 1999; dalla commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con l'ordinanza emessa il 10 maggio 2000; dalla commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia e dalla commissione tributaria provinciale di Piacenza;
Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale: dell'art. 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il 18 ottobre 1999; degli artt. 3, comma 1, lettera c), e 4 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla commissione
tributaria provinciale di Torino, con le due ordinanze emesse il 23 settembre 1999;
degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Milano;
degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Parma;
degli artt. 3, comma 1, lettera c), 4 e 8 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza emessa il 23 marzo 2000;
degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), e 8 del medesimo decreto legislativo sollevata dalla commissione tributaria provinciale di Trapani, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione;
degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, dalla
- Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze;
- degli artt. 8 e 11, comma 1, lettera c), numeri 1), 2), 3) e 4), del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Genova;
- degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia;
- degli artt. 2, 3, 4 e 36 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Piacenza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2001. (omissis)
Il sistema tributario e la sua progressività: Corte costituzionale sentenza n. 12 del 1960 (omissis)
In primo luogo è da considerare che non esiste nella Costituzione, in via di principio
generale, un divieto al legislatore di imporre prestazioni personali - divieto che avrebbe colpito esigenze fondamentali della vita dello Stato, quali, ad esempio, l'obbligo del servizio militare, dichiarato dalla stessa Costituzione nell'art. 52, e l'obbligo di altre prestazioni personali in molte pubbliche evenienze - ché anzi l'art. 23 della Costituzione regola espressamente la imposizione di prestazioni personali, con lo stabilire che essa non può aver luogo se non in base alla legge; e non è dubbio che la prestazione d'opera dei cittadini per la costruzione e sistemazione delle strade comunali sia stata a suo tempo disposta in base alla legge, e con la determinazione concreta di condizioni e limiti, NETTUNO- Network per l'Università OvunqueDiritto Tributario Prof Augusto Fantozzi attinenti ai soggetti e all'oggetto della prestazione, alla misura massima di essa, alle sue modalità e alla eventuale sua conversione in prestazione.patrimoniale.Ferma la rispondenza della impugnata legge al principio generale dell'art. 23, nemmeno puòdirsi che essa con le norme particolari che sono state denunziate venga in qualche modo a realizzareun contrasto con altri articoli della Costituzione. Erroneamente è stato invocato l'art. 13, riguardanteil principio della inviolabilità della libertà personale, perchè, come si desume da tutto il contestodell'articolo, esso non riguarda genericamente le limitazioni cui in vario modo il cittadino puòessere sottoposto nello svolgimento della sua attività, ma specificamente si riferisce alla libertàpersonale intesa come autonomia e disponibilità della propria persona, così come, oltre tutto, puòdedursi dal fatto che l'art. 13 pone limiti alla detenzione, alla ispezione e perquisizione personale, almassimo della carcerazione preventiva.Nemmeno è sostenibile un contrasto del citato art.
2 della legge con l'art. 16 della Costituzione, perché il principio della libera circolazione dei cittadini nel territorio dello Stato non è minimamente leso da quelle restrizioni alla circolazione stradale che, come il diritto di pedaggio, siano fondate sulla soddisfazione di altri diritti per rimborso di spese di costruzione, manutenzione, ecc. Né vale la pena di indugiare sull'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, per avere l'art.5 della legge impugnata limitato l'obbligo della prestazione personale ai cittadini di sesso maschile, in quanto è evidente che la limitazione stessa fu dettata dalla particolare considerazione della minore idoneità fisica degli individui di sesso femminile, e quindi con una limitazione che costituisce nel modo più evidente un trattamento di vantaggio. È stata anche lamentata una violazione dell'art. 4 della Costituzione, in quanto le quattro giornate di lavoro imposte ai
cittadini dall'art. 5 della legge impugnata non costituirebbero una attività di propria scelta. È agevole rilevare che l'invocato articolo della Costituzione innanzi tutto si riferisce al dovere, e non al diritto, di svolgere una attività o una funzione nell'interesse sociale; e, in secondo luogo, che il principio della scelta di una attività, intesa come manifestazione del concorso di ciascuno alla vita e al progresso sociale, non può dirsi leso dalle limitazioni che l'attività del cittadino può subire per la tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali. Nessun fondamento hanno poi le altre asserzioni relative a una pretesa violazione degli artt. 38, 41 e 53 della Costituzione. Il sancire infatti l'obbligo delle prestazioni personali senza disporre in pari tempo l'assicurazione per i casi di infortunio non implica il divieto di tale assicurazione, né esclude che a tale esigenza si possa ottemperare.
in forza di altre disposizioni di legge. Né può dirsiche sia violato il principio della libertà della iniziativa economica privata, non potendo un talprincipio, che ha attinenza allo svolgimento normale dell'attività del cittadino, reputarsi leso dallaparticolare limitazione inerente all'obbligo della prestazione personale di quattro giornate annuali dilavoro, sostituibili per giunta col pagamento di una tassa, ai sensi dell'art. 7 dell'impugnata legge.Non è poi nemmeno a parlarsi di una violazione del principio della progressività, che riguarda,come è noto, il sistema tributario in genere e non i singoli tributi.(omissis)Il sistema tributario e la sua progressività: Corte costituzionale sentenza n. 128 del 1966(omissis)Non è il caso di discutere se il bollo, che è un mezzo di riscossione di pubbliche entrate,appartenga alla categoria delle tasse, oppure a quella delle imposte. Èconcordemente riconosciuto, infatti che i proventi delle imposte possono essere destinati dal legislatore alla copertura, tanto delle spese generali, quanto di quelle relative al costo dei particolari servizi anche quando per questi sono previste delle tasse che non diano un gettito sufficiente; correlativamente, nulla esclude che una parte del provento di una tassa, utilizzato per esigenze di carattere generale. Dal che deriva che il precetto costituzionale dell'art. 53 non vieta che "la spesa per i servizi generali sia coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell'ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l'attività" (sentenza n. 30 del 18 marzo 1964). Del pari evidenti sono le ragioni per le quali la norma costituzionale non vieta che i singoli tributi siano ispirati a criteri diversi da quelli di capacità contributiva.quello della progressività, ma si limita a dichiarare che il sistema tributario deve avere nel suo complesso un carattere progressivo. Ed invero - nella molteplicità e varietà di