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La Corte Costituzionale

composta dai signori: Presidente: Fernando SANTOSUOSSO; Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPIMODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;

ha pronunciato la seguente SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 211, della legge 23 dicembre 1996, n.662, (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) come sostituito dall'art. 2, comma 1, del d.l. 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell'art. 3, comma 213, della legge n. 662 del 1996, come sostituito dal citato art. 2, comma 1, del d.l. n. 79 del 1997, promossi con ordinanze emesse il 28 ottobre 1998 dalla Commissione tributaria di Forlì, il 3 novembre 1999 (n. 2 ordinanze) dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti, il 15 novembre 1999

accantonamenti per il trattamento di fine rapporto (T.F.R.) dei propri dipendenti promosso dalla Società Silcea s.r.l., la commissione tributaria provinciale di Forlì, con ordinanza emessa in data 28 ottobre 1999 (r.o. n.136 del 1999), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 211, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come sostituito dall'art. 2, comma 1, del d.l. 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140.

Le predette norme impongono ai sostituti d'imposta per redditi di lavoro dipendente l'obbligo di versare al fisco un acconto (variabile a seconda della base occupazionale) delle imposte dovute dai dipendenti sui trattamenti di fine rapporto maturati a fine 1996 ed a fine 1997.

giudice a quo, riconosciuta la legittimazione del sostituto a sollevare l'eccezione di incostituzionalità, atteso che la norma denunciata impone a quest'ultimo un comportamento suscettibile di recargli danno, rileva che la disposizione denunciata, sostanzialmente, imporrebbe al datore di lavoro la corresponsione anticipata di una quota del trattamento che sarebbe dovuta al lavoratore soltanto al termine del rapporto di lavoro, con la conseguenza che l'imposta inciderebbe sul patrimonio del datore di lavoro e non su quello del contribuente, rappresentato dal lavoratore. Infine, l'imposta non sarebbe commisurata alla reale capacità contributiva del lavoratore, il quale non avrebbe ancora percepito il reddito tassato. Per quanto sopra verrebbero violati l'art. 3 della Costituzione, che impone l'uguaglianza tributaria dei cittadini, tenuto anche conto che l'obbligo non è a carico di tutti, ma soltanto di coloro che si trovano in determinate

condizioni (aziende che occupano più di cinque o di quindici dipendenti alla data del 30 ottobre 1996), nonché l'art. 53 della Costituzione, in quanto l'imposta non sarebbe correlata ad alcuna concreta capacità contributiva, la quale dovrebbe presupporre un reddito reale e non virtuale. 2. - Avanti a questa Corte si è costituita la parte privata del giudizio a quo, la quale ha richiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, svolgendo argomentazioni adesive a quelle riferite, sottolineando, in particolare, come caratteristica comune a tutte le ipotesi di sostituzione, previste dall'attuale normativa in materia di imposte dirette, quella secondo cui la ritenuta dovrebbe essere effettuata dal sostituto all'atto del pagamento dei corrispettivi, quando, cioè, sia sorto l'obbligo di corrispondere i compensi, e il conseguente versamento dell'imposta dovrebbe avvenire in un momento successivo. Da

Tale sistema non conseguirebbe, quindi, alcun fenomeno impositivo di carattere formale o sostanziale. Di contro, l'obbligo di versare le ritenute sulle somme accantonate per il T.F.R. opera - in base alla normativa impugnata - prima che si sia perfezionato l'obbligo del pagamento delle somme su cui le ritenute stesse dovrebbero operare. Tanto meno, il prelievo in discussione potrebbe essere considerato alla stregua di una imposta patrimoniale, atteso che gli accantonamenti su cui dovrebbe incidere costituiscono un debito e non un'attività o un prestito forzoso, come tale rientrante nelle prestazioni patrimoniali di cui all'art. 23 della Costituzione, in quanto mancherebbe la previsione di un interesse sulle pretese somme incassate a prestito. Aggiunge, infine, che in realtà l'anticipazione di versamento di ritenute si tradurrebbe in una ingiustificata forma occulta di prelievo fiscale, ricadente solo su una categoria di soggetti (imprenditori), al di fuori.

delle garanzie di cui all'art. 53 della Costituzione.

3. - È altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che la norma impugnata rientrerebbe nel più generale istituto del sostituto d'imposta, che risponderebbe a meri criteri di tecnica tributaria, finalizzati alla agevolazione dell'accertamento e della riscossione dei tributi. Tale disciplina, peraltro, non violerebbe il principio della commisurazione del tributo alla capacità contributiva, giacché è sufficiente che un reddito presenti una concreta possibilità di essere prodotto, come, peraltro, l'acconto d'imposta è commisurato al trattamento già maturato.

4. - La commissione tributaria provinciale di Chieti, con ordinanze emesse il 3 novembre 1999 (r.o. nn. 84 e 85 del 2000), ha sollevato la medesima questione,

svolgendo argomentazioni analoghe a quelle sopra riferite.

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Diritto Tributario Prof Augusto Fantozzi

Anche nel giudizio introdotto con l'ordinanza sopra citata ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.

5. - La commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza emessa il 15 novembre 1999 (r.o. n. 158 del 2000), ha sollevato la medesima questione, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle già riferite.

L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta anche in tale giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per la infondatezza della questione.

6. - La commissione tributaria provinciale di Benevento, con ordinanza emessa il 30 novembre 1999 (r.o. n. 434 del 2000), ha denunciato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, oltre alla norma

già indicata, anche il comma 213 dell'art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, comesostituito dall'art. 2, comma 1, del d.l. n. 79 del 1997, aggiungendo ai rilievi già riferiti che laonerosità dell'acconto in questione verrebbe riconosciuta dallo stesso legislatore, avendo questiprevisto l'accesso al fondo di garanzia di cui all'art. 2 della legge n. 297 del 1982, al fine diconsentire al datore di lavoro di procurarsi le risorse finanziarie necessarie per far fronte agliobblighi di legge.Anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrociniodell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.7. - Nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica relativa al giudizio introdotto conl'ordinanza r.o. n. 136 del 1999, la Società Silcea, parte privata nel giudizio a quo ha depositato unamemoria, con la quale ribadisce lepropri conclusioni in ordine alla illegittimità costituzionale dellanorma impugnata. In particolare, ha sottolineato, confutando le argomentazioni addotte dalla difesa erariale, che ildiritto al trattamento di fine rapporto ed il diritto al pagamento della relativa indennità sonomomenti diversi. Infatti, il diritto a percepire il T.F.R. e, quindi, il diritto al pagamento della relativaindennità, sorge unicamente al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Prima di talemomento, il lavoratore vanta un diritto di credito non ancora esigibile.Ne consegue che l'obbligo imposto dalla norma impugnata, essendo destinato ad operare anchemolti anni prima della cessazione del rapporto di lavoro, comporta, a carico del datore di lavoro,una anticipazione a tempi lunghi, con effetti finanziari certamente non comparabili con quelli che siverificano nella normale ipotesi di sostituzione.8. - Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria, conla quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate. In particolare, la difesa erariale ha sottolineato come il fenomeno impositivo previsto dalle disposizioni censurate debba essere ricostruito in termini diversi, tenendo conto: a) della parametrazione dell'obbligo di versamento all'ammontare complessivo dei trattamenti di fine rapporto maturati al 31 dicembre, rispettivamente, dell'anno 1996 e 1997, del quale i datori di lavoro hanno la disponibilità finanziaria, fruendo della relativa liquidità; b) della determinazione della misura dei versamenti in percentuale fissa, inferiore all'aliquota minima individuale dei singoli lavoratori; c) del riferimento alle caratteristiche del datore di lavoro per stabilire le agevolazioni e esenzioni soggettive dall'obbligo del versamento; d) dell'utilizzabilità del "credito d'imposta" per il versamento delle ritenute applicate sui trattamenti di fine rapporto corrisposti a decorrere dal.

1° gennaio 2000; la misura di dettautilizzabilità varia, inoltre, in relazione al rapporto tra ammontare del credito d'imposta e

Dettagli
Publisher
A.A. 2006-2007
101 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/12 Diritto tributario

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Moses di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di diritto tributario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Perrone Leonardo.