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Siria, Egitto e il consulare imperium

In virtù del consulare imperium, Augusto possedeva il controllo sulla Siria e sull'Egitto quando queste provinciae gli furono affidate. Tuttavia, dal momento che il suo consolato durava solo dieci anni e non si poteva prevedere se sarebbe stato rieletto per tutto questo periodo, il senatoconsulto e la legge che lo ratificò stabilirono che Augusto avrebbe potuto governare le sue provinciae "come console o come proconsole".

Gli anni successivi al 27 a.C. furono cruciali per la costruzione del nuovo regime. La situazione politica era ancora confusa e nel 23 a.C. si verificò una crisi. Dopo aver scoperto e represso una cospirazione e aver affrontato una grave malattia, Augusto decise di rinunciare al consolato nel giugno, nonostante fosse stato rieletto anno dopo anno a partire dal 31 a.C. Questa decisione segnò un passo decisivo verso un nuovo ordine costituzionale. In cambio, il senato e il

populus gli accordarono a titolo vitalizio la potestà tribunizia corredata anche dal diritto di poter convocare il senato facendo discutere per prima la propria relatio (proposta) anche quando l'assemblea fosse stata convocata da un altro magistrato (un console, per esempio). La situazione nella quale si era trovato Pompeo, dopo il 55 a.C., quando egli rimase alle porte di Roma, evitando di entrare nell'area dell'urbs definita dal pomerium, non poteva apparirgli soddisfacente. Proprio per questo Augusto doveva recuperare la piena capacità di controllare la vita politica cittadina, non diversamente da come avrebbe potuto fare se fosse stato ancora eletto console. Per corrispondere a questo fine, furono congegnati due meccanismi istituzionali: assieme alla tribunicia potestas, gli fu concesso un imperium non vincolato ai limiti inerenti all'attraversamento del pomerium. Per ciò che concerne la potestà tribunizia, occorre sottolineare che

il potere dell'imperatore non era limitato alla sola carica di tribuno della plebe. L'imperatore aveva anche l'imperium, che gli conferiva autorità militare e giudiziaria. Questo potere era ereditato dai precedenti magistrati romani, come i consoli e i pretori. L'imperium permetteva all'imperatore di comandare l'esercito, di prendere decisioni giudiziarie e di promulgare leggi. L'imperatore poteva anche nominare i governatori delle province e prendere decisioni politiche importanti. Inoltre, l'imperium era un potere a vita per l'imperatore. A differenza della carica di tribuno della plebe, che poteva essere detenuta solo per un anno, l'imperium era permanente. L'imperatore utilizzava il suo imperium per mantenere l'ordine e la stabilità nell'Impero Romano. Poteva reprimere rivolte e ribellioni, proteggere i cittadini e garantire la sicurezza dell'Impero. In conclusione, l'imperatore romano aveva sia il potere tribunizio che l'imperium. Questi poteri gli permettevano di governare l'Impero Romano in modo efficace e di mantenere il controllo sulla popolazione.occorre ricordare che Augusto, benché avesse rinunciato al consolato, continuò a governare, come promagistrato (pro consule), l'enorme provincia che, nel 27, gli era stata affidata fino al 18a.C. Inoltre, il senato e il populus, con una specifica lex, precisarono che l'imperium del principe, divenuto, dopo la sua rinuncia al consolato, proconsolare, non si sarebbe estinto allorché egli avesse attraversato il pomerium. Lo scioglimento dell'osservanza delle regole di ius sacrum e di ius publicum, che disciplinavano, sul piano giuridico, il superamento di questa linea, consentì ad Augusto di esercitare la propria potestà tribunizia all'interno del pomerium. L'imperium di Augusto era di fatto divenuto perpetuo. Augusto non tentò, attraverso un sotterfugio, di farsi attribuire un imperium perpetuo. Per smentire una simile illazione è sufficiente ricordare come egli abbia costantemente provveduto, fino alla morte, a far

decretare dal senato e a far votare dai comizi laprorogazione di un imperium e di province per i quali, ogni volta, era prevista una durata limitata di 10 o di 5 anni. È tuttavia vero che il dispositivo congegnato nel 23 a.C. presentava una vistosa lacuna. In Romarepubblicana, l’imperium di un magistrato aveva un termine fisso (di solito un anno); non altrettanto quello di un promagistrato. A eccezione, forse, dei pochi anni in cui fu in vigore la lex Pompeia del 52 a.C., il promagistrato poteva restare alla testa della propria provincia fino all’arrivo del suo successore, e, anche dopo aver lasciato la propria provincia, egli conservava l’imperium, che perdeva solo nel momento in cui oltrepassava, ritornando in città, la linea del pomerium. Questo termine fu eliminato dalla riforma del 23 a.C., senza, al contempo, introdurre o definire un nuovo termine legale. Le conseguenze si manifestarono soltanto nel 23 d.C., quando, allo scadere del termine dei poteri

che glierano stato concessi, per un decennio, nel 13 d.C., Tiberio o non volle o dimenticò di chiederne il rinnovo attraverso l'emanazione d'una lex. Soltanto allora divenne evidente che il suo imperium non aveva un termine legale. Nel 23 a.C., attribuita ad Augusto la tribunicia potestas, lo si esonerò, al contempo, dalla regola che impediva ai titolari di un proconsulare imperium, a pena di perderlo, di attraversare il pomerium. Questo fonamentale privilegio poneva, però, problemi di cui non si era percepita a pieno la portata. Infatti, fino al 19 a.C., Augusto dovette astenersi all'interno del pomerium, da ogni atto idoneo a manifestare il proprio imperium. Nel 19 a.C., si precisò che Augusto, proprio come accadeva all'esterno del pomerium, poteva essere preceduto anche in città dai suoi littori (numero di 12). Tutto questo (ossia l'uso degli insignia imperii) implicava, al contempo il possesso della coercitio e, virtualmente,

d'una certa iurisdictio. Per ciò che concerne, invece, leriunioni dell'assemblea senatoria, si trovò opportuno individuare una soluzione inedita, in forza della quale si permise ad Augusto di sedere, su una sella curulis, tra i due consoli.

Secondo Cassio, nel 23 a.C. ad Augusto fu attribuita la titolarità di un imperium superiore (maius) a quello di tutti coloro i quali governano una provincia. Nel diritto pubblico di età repubblicana e augustea, non esiste un potere superiore definibile imperium maius. Alla luce delle fonti si può soltanto constatare che l'imperium di qualcuno era riconosciuto superiore a quello di un altro. Sul piano storico è, però, possibile chiedersi se in età repubblicana l'imperium dei consoli fosse maius (superiore) a quello dei proconsoli. L'insieme delle testimonianze non fornisce purtroppo risposte univoche.

Qual è, allora, il senso della testimonianza di Cassio Dione? Si tratta,

Probabilmente, non di un'invenzione o di una falsificazione ma di una formulazione riassuntiva d'una vicenda storica più lunga e variegata. Nel secolo XIX, fu contestata da altri studiosi. Il titolo d'imperator esprimeva, senza dubbio, l'idoneità a esercitare un imperium e abilitava, di conseguenza, a portare le insegne onorifiche di un imperator senza essere costretto a rinunciarvi quando, ritornato a Roma, il suo titolare riattraversava il pomerium. Ma, quanto al potere al quale questo titolo rendeva idonei, e al suo contenuto preciso, si ritenne che esso fosse conferito dai comizi a immagine dei grandi imperia straordinari della tarda repubblica (quelli di Pompeo, Crasso e Cesare). La potestà tribunizia sarebbe stata accordata, invece, da un'altra legge comiziale, che avrebbe compreso soltanto la definizione di questa potestà e il nome del beneficiario. Possiamo definire questo scenario teorico. In un primo momento i soldati

acclamarono il futuro princeps, eventualmente già associato al potere dal suo predecessore. Il senato accorda la propria approvazione, chiamando imperator, in un senso nuovo rispetto alla tradizione repubblicana, colui il quale le truppe hanno già acclamato. Nel corso della stessa seduta o in occasioni successive, il senato decreta la convocazione dei comizi perché essi attribuiscano – dopo aver regolamentato le modalità di esercizio dell’imperium e il suo contenuto (imperium maius) – all’imperatore la potestà tribunizia e tutti i privilegi di cui godevano i suoi predecessori. Si decreta, al contempo, che il nuovo princeps sia eletto console, cooptato in tutti i collegi sacerdotali e designato pontifex maximus. L’unica lex di investitura pervenutaci, la c.d. lex de imperio Vespasiani (69 d.C.) enumera una serie di privilegie di dispense che accrescono notevolmente la potestà tribunizia e l’imperium di Vespasiano.

Clausola I: accordava all'imperatore la facoltà di concludere trattati, diritto che dipendeva in età repubblicana dal senato. Questa facoltà rappresenta un complemento del diritto, che i principes possedevano, dichiarare la guerra e di stipulare la pace senza preliminare autorizzazione.

Clausola II: conferisce il diritto di convocare e presiedere il senato, di fare la relatio e di mettere a voti i senatoconsulti.

Clausola V: attribuisce la facoltà di estendere il pomerium, con richiamo al solo precedente di Claudio.

Clausola VI ("clausola discrezionale"): accordava il diritto di fare tutto ciò che era utile alla res publicae consono alla maiestas delle cose diviene e umane, pubbliche e private e, forse, anche il diritto di emanare costituzioni aventi valore di legge.

Clausola VII è duplice: si dichiara che Vespasiano è esonerato dalle leggi dalle quali era esplicitamente esonerati Augusto, Tiberio e Claudio; specularmente,

dispone che Vespasiano possa fare tutto ciò che Augusto, Tiberio e Claudio dovessero fare in base a qualche legge. 3) I rapporti tra principe e senato La creazione da parte di Augusto, di una commissione senatoria con compiti di collegamento, mentre da un lato evidenzia che il fondatore del principato approfittò di una fase di debolezza della massima assemblea repubblicana, dall'altro conferma con quanta accortezza il principe facesse uso di questo delicato strumento di equilibrio nella progressiva definizione del suo disegno di riforma costituzionale. Con il ricorso alla collaborazione di quell'emanazione del senato, Augusto dimostrò di non volere rinunciare a sfruttare a proprio vantaggio il prestigio e l'autorità politica di cui l'ordine senatorio godeva ancora. Lontano dall'intenzione di diluirne la vitalità o di contrapporsi ad esso, l'imperatore mirò a restaurarne la dignità perché quell'organo non

smarrisse le sue prerogative. Tra di esse, si ricordi, fondamentale era quella rappresentata dalla funzione legittimante del designato o aspirante al supremo ufficio, il cui mantenimento giovava peraltro alla conservazione di quell'atmosfera

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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sarac.95 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia o del prof Evangelisti Marina.