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IL CURSUS HONORUM: I CONSOLI
Cic. de re publ. 2.1.2
Soleva dire Catone che la nostra città superava nella costituzione tutte le altre per questo, perché in quelle
erano stati generalmente dei singoli individui che avevano ordinato ciascuno il proprio Stato con proprie
leggi ed istituzioni, come Minosse quello dei Cretesi, Licurgo quello degli Spartani e quello degli Ateniesi
(che subì moltissimi mutamenti) ora Teseo, ora Dracone, ora Solone, ora Clistene mentre per contro la
nostra res publica non fu ordinata dalla genialità di uno solo, ma di molti e non nello spazio di una sola vita
umana ma di non pochi secoli e generazioni. Infatti, catone sosteneva che non era mai esistito un genio
così grande al quale non sfuggisse alcunché e che nemmeno tutti i genii che fossero vissuti avrebbero
avuto la capacità e la previdenza di regolamentare tutto senza il soccorso del tempo e lo svolgersi delle
cose. 30
Appunti delle lezioni di Diritto Romano Monografico a cura di Marco Barbieri
Fest. s.v. 'Magisterare'
Magistri sono detti i capi delle società, dei collegi, della cavalleria, gli esperti, coloro che hanno un potere
superiore agli altri: per questo 'magistrati', perché grazie all'imperium hanno più potere di un privato
cittadino (N.d.R. magis in latino vuole dire 'di più'). Il termine magistratus ha quindi per noi un duplice
significato, indica sia la persona sia la carica rivestita.
Liv. 2.1.7
L'origine della libertà va riportata al momento in cui si limitò ad un anno il potere consolare.
D.47.10.32
Ai magistrati non è concesso fare qualcosa contro il diritto. Egli potrà pertanto essere citato in giudizio, a
seconda della posizione occupata mentre ancora riveste la posizione pubblica o appena deposta questa.
Liv. 7.42.2
Con altre deliberazioni si dispose che nessuno occupasse la stessa magistratura entro dieci anni né che né
esercitasse due in un anno. a nessuno è concesso di assumere una carica politica se non dopo aver
compiuto dieci anni di servizio militare.
D.1.2.2.16
Poi, cacciati i re, furono istituiti due consoli e si stabilì per legge che detenessero il potere supremo; furono
chiamati così perché toccava a loro il provvedere alla repubblica.
Polyb. 6. 12. 1-9
I consoli, quando non sono lontani a capo degli eserciti, ma stanno a Roma, sono a capo di tutti gli affari
pubblici. A loro infatti sono in sottordine e ubbidiscono tutti gli altri magistrati tranne i tribuni. Essi
introducono le ambascerie in senato, propongono le deliberazioni urgenti e curano completamente
l'esecuzione dei provvedimenti. Spetta a loro inoltre provvedere a tutti gli atti della vita pubblica che
devono essere fatti con l'intervento del popolo: convocare le assemblee, presentare le leggi, presiedere
all'esecuzione della volontà della maggioranza. Durante i preparativi di guerra e in generale nella condotta
delle campagne militari hanno potere quasi assoluto. Infatti, è nel loro diritto richiedere agli alleati quanto
sembri opportuno, nominare i tribuni militari, fare la leva dei soldati, destinarli ai vari servizi. Oltre a ciò,
durante le spedizioni militari possono punire chi vogliono dei subordinati, hanno facoltà di prendere
dall'erario quanto necessitano, di modo che è normale che chi guarda quest'organizzazione pensi che la
costituzione romana è monarchica o regia.
Cic. de leg. 3.7.16
Infatti, il console ha proprio questa prerogativa fondata sul diritto, che tutti gli altri magistrati gli debbano
obbedire, eccetto il tribuno il quale sorse successivamente per eliminare questa disparità: la sua
introduzione infatti ridusse il potere consolare.
Il ruolo dei censori non è meramente tecnico. Vengono creati all’inizio per potere alleviare il carico di lavoro
dei consoli. Le operazioni del censimento diventano sempre più articolate e complesse in parallelo
all’espansione demografica della città. questa non era un’operazione meramente contabile perché all’interno
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Appunti delle lezioni di Diritto Romano Monografico a cura di Marco Barbieri
della valutazione dei censori potevano rientrare valutazioni personali. I censori anche se non erano dotati di
imperium avevano un certo margine di discrezionalità, ovvero potevano tenere conto anche di elementi che
non erano solamente patrimoniali. È da qui che nasce il concetto attuale di censura perché i censori in base
ad un giudizio discrezionale potevano promuovere un cittadino ad una classe superiore alla sua per il reddito
patrimoniale oppure viceversa poteva prendere un cittadino di classe superiore in una classe inferiore. È il
c.d. giudizio sui costumi. Era una valutazione mirata soprattutto nei confronti di magistrati e senatori che
ricoprivano un ruolo pubblico. Era molto difficile nella Roma di quest’epoca che un magistrato potesse
compiere qualcosa di inadeguato e farla franca, perché vi erano controlli incrociati su poteri pubblici a cui era
collegata una responsabilità personale, etica. È un modello di comportamento perché nel momento in cui si
sa che con il giudizio dei censori certe condotte sono oggetto di censura e di divieto automaticamente si
capisce qual è il corretto modo di comportarsi nei confronti della comunità. Siamo in un’epoca in cui tra
governanti e governati non c’è distanza, bensì c’è l’idea che i magistrati sono al servizio della comunità e
lavorano sotto gli occhi di tutti senza essere pagati per questo. Se un console o un senatore usciva dai binari
di una retta condotta, tendenzialmente le fonti fanno una distinzione: le magistrature superiori uscivano dalla
carica per iniziare un processo a suo carico, mentre per le magistrature inferiori era possibile iniziare il
processo anche a carica ancora in esercizio. Il processo era pubblico e se dimostrava la colpevolezza del
magistrato o del senatore la punizione era il doppio rispetto quella prevista se a commettere l’illecito era un
privato cittadino. Questo perché la persona che ha ricoperto una carica pubblica ha rotto il patto con i
cittadini, tradendo la loro fiducia. È una sorta di primitiva tutela di affidamento. La sanzione doppia è
esemplare. Vi è l’idea che il potere non comporta esenzione da responsabilità o intoccabilità. Al contrario, il
potere comporta il dovere di quanto compiuto e una maggiore responsabilità nel caso in cui non si è
all’altezza o peggio ancora se si approfittava con dolo.
Nelle liste pubbliche dei cittadini romani in cui vi erano anche consoli e senatori i censori scrivevano nella
lista del censimento a fianco del nome del console o senatore condannato che avevano subito un processo
per il quale furono dichiarati colpevoli. Ciò comportava la ignominia: il nome veniva screditato
pubblicamente e ciò comporterà l’interdizione dai pubblici uffici.
I censori dovevano anche occuparsi degli appalti pubblici che avevano ad oggetto la costruzione e la
manutenzione di grandi opere urbanistiche. Gli appalti pubblici facevano gola a molti perché costituivano
fonte di finanziamento piuttosto alta. I magistrati non dovevano essere sospettati di corruzione, ecco perché
coloro che ricevevano le offerte erano i censori, che curavano i bandi e l’esecuzione delle opere. Essi sono il
difensore del buon cittadino, del buon magistrato e del buon senatore.
11.4. Il pretore
Il pretore viene istituito perché il settore dell’amministrazione della giustizia era stato affidato ai consoli.
Questo comportava un enorme aggravio del loro lavoro. L’amministrazione della giustizia richiedeva un
apposito organo che riguardava la tutela dei diritti soggettivi dei cittadini romani. Nel 367 a.C. all’interno
delle articolate disposizioni delle leggi Licinie Sestie viene creata una magistratura nuova esclusiva della
classe patrizia, il pretore urbano. Questo nuovo magistrato avrà il compito di amministrare la giustizia tra i
cittadini romani a Roma. Il pretore non è un giudice. È una magistratura elettiva dai comizi, restava in carica
un anno e emetteva un documento pubblico denominato editto del pretore. Il settore nel quale si muove
tale figura è quello giurisdizionale, ovvero ha a che fare con la gestione dei processi. È dotato di imperium.
Molto spesso ne venivano nominati più di uno per assicurare una migliore gestione. Possono essere pretori
solo cittadini romani residenti in città che godono di situazioni giuridiche soggettive già riconosciute dai
mores e dalle XII tavole, il c.d. ius civile, diritto proprio ed esclusivo dei cittadini romani che li differenzia
rispetto ad altre comunità. L’editto veniva emanato all’inizio dell’anno di carica e che tendenzialmente
restava valida per tutto l’anno di carica del magistrato. Ciascun pretore ne poteva emanare uno proprio.
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Appunti delle lezioni di Diritto Romano Monografico a cura di Marco Barbieri
Il pretore non emette sentenze. È un magistrato perché copre una carica pubblica con un compito ben
preciso. Nel momento in cui due cittadini romani discutono e tra loro scaturisce una lite, essi si rivolgono al
pretore per dare vita al processo. questo vale soprattutto per i processi di cognizione che prevedono uno
scopo di accertamento di una situazione giuridica controversa. L’attore convoca il convenuto e le due parti
vanno dal pretore per una sorta di prima valutazione degli elementi della causa. Il diritto romano ha
conosciuto principalmente due forme di processo: il processo per legis actiones e il processo formulare.
Il processo per legis actiones (o processo per azioni di legge) si basava su cinque azioni fondamentali che
avevano la caratteristica di rappresentare degli schemi comportamentali fondamentali. Attore e convenuto
non avevano discrezionalità di litigare con parole proprie, descrivendo le rispettive posizioni giuridiche. Essi
per arrivare a sentenza devono recitare le loro battute, stando attenti a non sbagliare. All’interno di questo
meccanismo non c’è spazio per le parti di discutere e nemmeno per il magistrato in quanto deve controllare
solo che le parti recitino correttamente le loro battute. Qui emerge ancora la marcata distinzione tra patrizi
e plebei. Il processo lascia tutta l’iniziativa all’attore che si presenta dal convenuto e gli intima di seguirlo dal
magistrato con una formula solenne che cambiava a seconda del tipo di lite. Se il convenuto si rifiuta di
seguirlo, l’attore può portarlo dal magistrato anche con l’uso della forza. Tutto il processo è imperniato sulla
figura dell’attore. Il convenuto può ammettere o negare la pretesa dell’attore, ma non ha la possibilità di
portare elementi nuovi all’interno del processo. l’attore non poteva essere condann