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Noi e il passato

Sotto il profilo giuridico è necessario iniziare l'indagine cercando di capire il reale motivo che ha comportato la vigenza per molti secoli del Corpus iuris civilis, il quale, lungo il corso dei secoli, ha costituito la fonte di riferimento normativo per eccellenza. Si deve innanzi tutto chiarire che il Corpus non è una codificazione come la si può intendere oggi; aprendo il codice civile ad esempio, si riscontrano delle particolarità che non sono rinvenibili nel Corpus. Il codice civile infatti si presenta come un insieme composito di precetti frutto della volontà del legislatore; ogni singola norma contiene in sé un collegamento logico-sistematico con tutte le altre norme, ottemperando ai principi del liberalismo politico-istituzionale vigente all'epoca della sua promulgazione. Il Corpus iuris invece è una compilazione, ossia una raccolta di materiali non contenenti necessariamente dei precetti legislativi.

diversa estrazione, e dotati del carattere di autorità per il fatto che l’intera compilazione è stata il frutto della volontà dell’imperatore/rappresentante di Dio in terra e quindi l’unico essere in grado di poter dettare legge. Il dato importante che deve essere altresì considerato è il fatto che il Corpus venne emanato in un preciso momento storico nel quale l’assetto socio-economico era chiuso, in quanto legato alla terra. Tale codificazione è suddivisa in 4 libri: le Insititutiones, i Digesta ovvero le Pandectae, il Codex, le Novellae consititutiones.

Le Insititutiones costituiscono un trattato elementare destinato ad essere utilizzato per lo studio del diritto; esse sono composte da 4 libri e si splicano in un discorso diretto dell’imperatore su tematiche assai semplici e lineari. Le Insititutiones, furono dotate di un alto valore precettivo e normativo, e nella loro pubblicazione, fu lo stesso imperatore a chiarire

che tale opera da una parte doveva essere destinata all'insegnamento del diritto, dall'altra, avrebbe costituito un punto di riferimento utile per la normativa del passato e quella del presente. I Digesta, furono concepite da Giustiniano mediante una costituzione imperiale nel 530 d.C. e furono pubblicate nel 533 d.C. con la costituzione Tanta, allo scopo di attribuire una valenza precettivo-autoritativa alle opinioni espresse dai giuristi classici romani vissuti tra il II e il III d.C. La particolarità di questa opera si caratterizza per la sua composizione, infatti, essa era raggruppata in 50 libri secondo un metodo di trascrizione dei testi uno di seguito all'altro procedendo a tal fine, ad un loro adattamento e a qualche modifica utile a rendere lineare il contenuto ai fini della sua comprensione. Il Codex si distingueva dal Digesta perché la tecnica del raggruppamento non riguardava gli scritti giurisprudenziali ma gli interventi normativi, le constitutiones.

imperiali relative ai singoli istituti giuridici riadattati nel testo ed ordinati secondo la loro data di emanazione. Il Codice poi si distingueva dal Digesto e dalle stesse Istituzioni perché la valenza normativa del materiale in esso contenuta era del tutto originaria, senza che vi fosse stata la necessità dell'attribuzione di tale carattere da parte dello stesso Giustiniano.

Le Novellae constitutiones coinvolgono gli atti normativi promulgati dall'imperatore bizantino successivamente ai 3 libri appena esposti; la peculiarità di tale opera risiede nel fatto che la loro stesura non avvenne ad opera di Giustiniano bensì ad opera di funzionari giuridici posti al di fuori della cancelleria imperiale; essa consta di 3 collezioni di vario genere che si chiamano: la c.d. collezione greca, la Epitome Iuliani e il c.d. Authenticum. L'insieme dei materiali appena analizzati ha posto una serie di problemi a livello interpretativo stante, il fatto, che

importante per comprendere il contesto storico e giuridico in cui si inserisce la compilazione giustinianea.

Utile per comprendere come il Corpus iuris, sopravvisse in Italia grazie alle istituzioni ecclesiastiche per poi essere recuperato nella sua originaria forma soltanto tra il 1000 e il 1100. La tecnica di recupero maggiormente utilizzata fu quella di apporre al testo giustinianeo le c.d. glosse, ossia delle annotazioni solitamente annotate a margine del testo con le quali l'interprete non soltanto chiariva il significato delle singole parole, ma procedeva altresì ad un'opera di riadattamento delle disposizioni normative alle esigenze contemporanee rispettando la ratio legislativa che aveva ispirato Giustiniano nell'emanazione delle raccolte. L'opera dei Glossatori si svilse quindi sotto un duplice punto di vista: da una parte interpretando le norme sotto il profilo letterale, dall'altra procedendo ad un'analisi critica dei testi. L'insieme delle glosse che, via, via nel tempo divennero sempre più numerose, tanto da rendere indispensabile una loro

Raccoltain un'opera del Duecento del giurista Accursio, denominata Magna Glossa o Glossa ordinaria. Intorno al 1400 fu sancita la definitiva vigenza del Corpus iuris nell'area del Sacro Romano Impero e a tale vigenza si accompagnò l'opera dei c.d. Commentatori. La loro opera non fece altro che ricalcare quella precedentemente svolta dai glossatori con la differenza che, il processo di interpretazione dei testi giustinianei, fu molto più profondo e rivolto a cercare il significato più nascosto delle espressioni verbali contenute nei singoli brani per poi operare una riflessione dottrinale. I maggiori commentatori furono Bartolo da Sassoferrato, Baldo degli Ubaldi, Cino da Pistoia. L'indagine svolta dai commentatori era sicuramente molto più completa rispetto ai glossatori dell'inizio del Medio Evo, in quanto attraverso la loro opera di ricostruzione del senso obiettivo dei testi giustinianei, essi erano in grado di cogliere il senso e le.

Motivazioni sottese al testo linguistico; complici di questo mutamento di prospettiva a livello di studio, era la riscoperta della logica aristotelica e della possibilità di poterla apprendere attraverso la necessaria intermediazione araba e bizantina. Il Corpus iuris pertanto, venne posto al centro dell'attenzione e dello studio di giuristi molto più consci del loro importante ruolo di diffusione dei testi normativi antichi e del loro adattamento agli assetti politici ed economici di quel tempo. Questa attività interpretativa del Corpus avrebbe dato luogo, nel corso del '400, ad una vera e propria consuetudine italiana nello studio della compilazione giustinianea tanto da definirsi come mos italicus da contrapporsi alla consuetudine sorta all'interno del territorio francese assumente la denominazione di mos gallicus. Questa netta contrapposizione appare il chiaro riflesso delle diverse prospettive che accompagnarono lo studio del Corpus nelle diverse aree geografiche.

In Italia, nel 1400, vi fu l'affermazione del movimento ideologico sotteso all'Umanesimo nel quale si propugnò la convinzione che l'uomo fosse l'artefice del proprio destino e, in quanto tale, portatore di valori universali che hanno avuto la loro nascita e la loro affermazione nelle epoche antiche, per poi essere stati "offuscati" dal Medio Evo. Il recupero dell'antichità greco-romana avvenne proprio attraverso questa sua considerazione superlativa quale vero modello di vita, a fronte di un Medio Evo decadente nel quale l'uomo è un essere subordinato alla divinità. Con un simile approccio, il Corpus iuris, divenne simbolo di questo decadentismo, frutto di una manipolazione dei testi classici che sarebbero risultati totalmente depurati di quei valori universali di cui erano portatori. In Francia, grazie all'intermediazione del giurista Andrea Alciato, questo movimento ideologico si sviluppò secondo.2diramazioni: la prima, si diresse verso l'opera di ricostruzione del materiale normativo precedente a Giustiniano (soprattutto al suo Digesto) al fine di sottolineare le corruzioni testuali (che i testi antichi avevano subito ad opera della cancelleria bizantina) che dovevano essere eliminate mediante un restauro filologico del materiale (il massimo esponente di questa impostazione ricostruttiva fu Cujas). La seconda (con esponente Doneau), invece, era nel senso di recuperare il contenuto del Corpus non a livello storico bensì sistematico, in modo tale da depurarlo dall'ordine espositivo usato dai giuristi medievali legati ad una visione di sudditanza alla figura giustinianea. Questa duplice visione, trova il suo fondamento nelle condizioni istituzionali ed economiche vigenti in Francia nel corso del 1400 (in cui alle campagne si contrapponevano i centri urbani forti della presenza della ricca classe aristocratica dedita al commercio e allo sviluppo del sistema feudale) e nellauesto: porre le basi per l'affermazione della sovranità statale attraverso una reinterpretazione dei testi giustinianei e una loro storicizzazione. In Francia, l'approccio era caratterizzato dalla rielaborazione delle fonti antiche, mentre nel Sacro Romano Impero, intorno al 1495, si ebbe l'istituzione di un Tribunale supremo che applicava il diritto comune proveniente dalle fonti antiche e testimoniato nella Magna Glossa. L'obiettivo finale di questa impostazione era diverso da quello della Francia.
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Publisher
A.A. 2008-2009
56 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Mantello Antonio.