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A CRISI DELLA COSTITUZIONE SILLANA I COMANDI STRAORDINARI ATTRIBUITI A NP : G MOMPEO LA LEX ABINIA E LA LEX ANILI
La posizione del Senato non fu mai formalmente così forte come con l'ordinamento fissato da Silla, e, tuttavia, nel giro di dieci anni subì un tracollo. Esso si può, in buona misura, attribuire a molti degli stessi beneficiarii delle riforme costituzionali e delle proscrizioni, che non si fecero scrupolo d'utilizzare, per fini personali, la diffusa ostilità al sistema sillano. Lo sforzo maggiore dell'opposizione popolare si concentrò sul ripristino dei diritti del tribunato plebeo. Durante il consolato (70 a.C.) di Cnaeus Pompeus e di M. Licinius Crassus si eliminarono i pilastri istituzionali del sistema sillano: i diritti dei tribuni della plebe furono ripristinati (lex Pompeia Licinia de tribunicia potestate) e i cavalieri vennero riammessi nelle giurie dei tribunali (lex Aurelia iudiciaria). Capace organizzatore e
stratega, Pompeo strinse accordi con alcuni tribuni di parte popolare (67 a.C.) per ottenere il comando delle operazioni che avrebbero dovuto mettere termine alla piaga della pirateria.
Il tribuno A. Gabinio, nel proporre, in stretto accordo con Pompeo, una rogatio (de uno imperatore contra praedones constituendo) delineò un disegno strategico complesso e impegnativo. A un consolare, da determinare con atto ulteriore, si doveva conferire, con durata triennale, un imperium infinitum, esteso, cioè a tutto il Mediterraneo e per quattrocento stadi entro la terraferma), aequum rispetto all'imperio dei proconsoli di rango consolare, maius, invece, nei confronti dei governatori di rango pretorio. Oltre alla facoltà di poter nominare ventiquattro legati pro praetore, al comandante in capo era anche assicurata una ingente dotazione di truppe (20 legioni e 500 navi) e di mezzi finanziari. A dispetto dell'acerrima opposizione senatoria, questo provvedimento fu approvato.
Lo attribuiva a Pompeo, assicurandogli ancora per qualche tempo la continuazione del suo potere. Anche l'impresa contro Mitridate fu coronata dal successo: così, nel 63 a.C., l'intera area orientale fu riorganizzata e sottomessa al dominio romano.
A Roma tuttavia un difficile compito politico attendeva il generale vittorioso: egli doveva far approvare la concessione di terre per il mantenimento dei suoi veterani e far ratificare le misure da lui prese in Oriente. Si temeva che Pompeo, alla testa del suo esercito, avrebbe spezzato con la violenza la prevedibile resistenza del Senato. Egli, al contrario, una volta sbarcato a Brindisi, congedò i suoi uomini. Il Senato, scampato questo grave pericolo, non volle desistere dalla sua politica ostruzionistica. Nella situazione di difficoltà in cui si trovava, Pompeo strinse un'alleanza con M. Crasso e C. Giulio.
Cesare (60 a.C.). Quest'ultimo, proveniente da una famiglia patrizia imparentata con Mario e altri capi della fazione popolare, si candidò, giovandosi dell'appoggio dei suoi alleati politici, al consolato per l'anno 59 a.C. Il patto privato tra i tre capi fazione prevedeva la concessione di terre per il mantenimento dei veterani di Pompeo e la ratifica dei suoi provvedimenti in Oriente. Essi si accordarono sul principio fondamentale che nessuno di loro potesse recare danno agli interessi degli altri alleati. Questo patto tra l'uomo più potente, l'uomo più ricco e quello più geniale dal punto di vista politico si rivelò davvero l'inizio della fine della repubblica. Eletto console, Cesare portò a termine, ricorrendo ampiamente all'uso della forza, il programma concordato con i suoi alleati. Una legge tribunizia assegnò a Cesare un comando quinquennale straordinario sulla Gallia cisalpina e l'Illirico;
A questiterritori, dal Senato piegato e rassegnato, fu aggiunta anche la Gallia Transalpina. Le campagne galliche, durate per circa nove anni, dimostrarono le straordinarie capacità militari di Cesare, che acquistò in tal modo enorme popolarità e immense ricchezze. Nella primavera del 56, i tentativi di costringere Cesare a rendere conto del suo comportamento nelle Gallie erano giunti a un punto tale che egli dovette temere lo scioglimento del triumvirato. Cesare prese una contro iniziativa: a Lucca l'accordo venne rinnovato. Crasso e Pompeo ottenevano il consolato, mentre leggi tribunizie assicuravano ai triumviri le più importanti province dell'Impero.
La guerra civile tra cesariani e pompeiani le riforme costituzionali di Cesare
La morte di Crasso, nel 53, durante la guerra da lui stesso iniziata contro i Parti (battaglia di Carre), poneva, senza alcuna possibilità di mediazione, i due capi fazione superstiti l'uno di fronte all'altro.
Cesare progettava di farsi eleggere, al termine dell'intervallodecennale, console per il 48 a.C., ma doveva evitare di presentare personalmente la propria candidatura a Roma: non vi era alcun dubbio che i suoi nemici lo avrebbero accusato, non appena egli, ritornato semplice privato, fosse stato perseguibile in giudizio.
Per questo motivo egli si era assicurato il privilegio, attraverso una legge tribunizia, di poter presentare la propria candidatura in assenza. Il motivo scatenante del conflitto tra Pompeiani e Cesariani fu appunto l'implicita abrogazione di questa norma: si impedì, in ogni caso, la proposizione di candidature in absentia.
All'inizio del 49 a.C., Cesare venne rimosso dal comando e richiamato a Roma. Egli rispose con l'invasione dell'Italia: la guerra civile era iniziata. La sua prima fase si concluse con la battaglia di Farsalo (48 a.C.), dove Cesare riuscì a ottenere una decisiva vittoria. La vita di Pompeo, assassinato per ordine.
del re d'Egitto, si concluse in quello stesso anno. La resistenza repubblicana, tuttavia, fu spezzata soltanto nella primavera del 45 a.C., dopo la battaglia di Munda in Spagna. Cesare tentò, in campi diversi, profonde riforme (46 - 44 a.C.), attraverso un'intensa attività legislativa. Sul piano costituzionale, gli eventi più importanti si collocano tra la fine del 45 e gli inizi del 44 a.C. Nell'ottobre del 45 Cesare abdicò al consolato, ma la carica gli fu attribuita con durata decennale, come già era accaduto con la dittatura (febbraio 46 a.C.). Ai primi del 44 gli fu attribuita la dittatura perpetua. La differenza con quella precedente non è irrilevante. Quest'ultima era, di fatto, senza limiti di tempo, ma giuridicamente restava pur sempre temporanea. Con il conferimento della dittatura a vita, invece, Cesare diventava dictator perpetuo. Infine, l'attribuzione, senza limiti di tempo, del potere censorio.impropriamente definito dalle fonti praefectura morum, conferiva al dittatore un potere di controllo su tutta la cittadinanza, compreso il Senato, e quindi facoltà dispotiche sulle singole persone. Cesare, tuttavia, commise un errore fatale che lo condusse alla morte. Con alcuni atti pubblici di elevato valore simbolico, egli diede l'impressione, confidando nel consenso delle masse popolari, di contemplare fra i progetti d'innovazione costituzionale la creazione di una figura di monarca, un re che ovviamente si sarebbe identificato con la sua persona. Se l'oltrepassare, con un esercito in armi, il confine dell'ager Romanus (il famoso episodio del Rubicone) aveva interiormente turbato lo stesso Cesare, infrangere il principio antimonarchico (odium regni), che coincideva con la stessa identità costituzionale di Roma repubblicana, fece sorgere contro di lui una coalizione che comprendeva anche importanti esponenti della sua fazione. L'assassinio di Cesare.Il delitto fu ordito e perpetrato, con spettacolare simbolismo, nella sede dell'assemblea senatoriale (15 marzo del 44 a.C.). Le élites dirigenti, per quanto disgregate e stremate da un secolo di conflitti civili, non erano in alcun modo disposte a tollerare un monocrate che governasse senza il rispetto, almeno formale, dei principii basilari dell'ordinamento repubblicano. La necessaria riforma delle istituzioni non poteva risolversi nella semplice sostituzione della repubblica oligarchica con un sistema di tipo monocratico. Occorreva percorrere una via intermedia: salvare l'ordinamento repubblicano pur trasformandolo profondamente.
VI. LA NASCITA DEL PRINCIPATO
- I : M. A , C. G C O M. EL SECONDO TRIUMVIRATO NTONIO IULIO ESARE TTAVIANO E MILIO LEPIDO
I promotori della congiura, M. Giunio Bruto in particolare, ritenevano che, con l'eliminazione del dittatore, si potesse ottenere la libertà e che, riconoscendo i diritti stabiliti da Cesare e le aspettative che egli aveva soddisfatto,
si potesse evitare una guerra civile. Questo calcolo, alla fine, si rivelò errato. Il console in carica M. Antonio, dopo qualche esitazione, riuscì a escludere i cesaricidi dalla gestione degli affari politici. Antonio, tuttavia, trovò presto un pericoloso rivale in C. Ottavio, il pronipote di Cesare. Il dittatore, nel testamento, aveva nominato suo erede principale questo giovane – allora di soli diciannove anni – e gli aveva concesso il diritto di portare il suo nome (C. Giulio Cesare). Ottaviano (od Ottavio, come era chiamato per spregio dai suoi nemici) accettò l’eredità e venne in conflitto con Antonio. L’erede di Cesare coagulò attorno alla sua persona gli interessi e i sentimenti di lealtà di molti cesariani. L’ora del confronto armato arrivò quando Antonio volle impadronirsi, prima del tempo, della Gallia Cisalpina, che gli era stata attribuita da una legge per cinque anni, contro la volontà
del Senato. Ottaviano reclutò tra i veterani del pro