Diritto regionale - l'evoluzione storica delle autonomie locali
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Il tema dei circondari è stato ripreso con la legge 142/90 con
la quale ogni Provincia fu lasciata libera di scegliere sulla
suddivisione, pur rimanendo fermo il punto che le funzioni dei
circondario fossero esclusivamente di carattere
amministrativo.
Art. 130 Cost. "Un organo della Regione, costituito nei
modi stabiliti da legge della Repubblica,esercita, anche in
forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle
Province, dei Comuni e degli altri enti locali. In casi
determinati dalla legge può essere esercitato il controllo
di merito, nella forma di richiesta motivata, agli enti
deliberanti, di riesaminare la loro deliberazione."
L'articolo si occupa, appunto, del controllo. Prima del '48 tutti
gli atti degli enti locali erano controllati dallo Stato per mezzo
del prefetto; adesso si ha una riduzione dello strumento del
controllo: si può esercitare un CONTROLLO DI LEGITTIMITA'
sugli atti - ed è un organo regionale a farlo, motivo per cui per
vedere attuata la norma si è dovuto attendere fino agli anni
'70 -, mentre il CONTROLLO DI MERITO può essere fatto solo
in determinati casi previsti dalla legge, e può portare
solamente ad un riesame dell'atto da parte del soggetto
deliberante.
Questo articolo è stato contestato e rivisto in sede di
attuazione: il controllo era visto come un'ingerenza
irragionevole rispetto al principio di autonomia.
Art. 132 Cost. "Si può, con legge costituzionale, sentiti i
consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o
la creazione di nuove Regioni con un minimo di un
milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti
Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo
delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata
con referendum dalla maggioranza delle popolazioni
stesse.
Si può, con referendum e con legge della Repubblica, sentiti i
consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne
facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati
ad un'altra."
Da questo articolo, e da quello successivo, si ricavano i gradi
di tutela necessari per creare o modificare territorialmente gli
enti locali: mentre per modificare o creare nuove Regioni
occorre una legge costituzionale, per staccare un Comune o
una Provincia da una Regione è sufficiente una legge Statale,
così come n un altro caso contemplato nell'articolo successivo.
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Art. 133 Cost. "Il mutamento delle circoscrizioni
provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito di
una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su
iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione.
La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue
leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare
le loro circoscrizioni e denominazioni."
Ecco che si rende necessaria una legge dello Stato anche nel
caso di mutamenti nell'ambito delle Province, mentre per
modificare o creare nuovi Comuni è sufficiente una legge
regionale.
Interessane è ricordare che, in tutti i casi, è dal Comune che
parte la modifica: sono questi, infatti che devono fare richiesta
per dare l'input al procedimento.
06/10/2005; IV LEZIONE
L'EVOLUZIONE LEGISLATIVA DAL 1948 AL 2001: IN BREVE
LE TAPPE FONDAMENTALI
Le norme costituzionali sulle autonomie locali che oggi ci si
presentano sono molto diverse rispetto a quelle del 1948 che
abbiamo analizzato. I cambiamenti costituzionali sul tema sono
l'esito di riforme avvenute soprattutto nel corso degli anni '90; per
molti decenni, infatti, le norme costituzionali hanno convissuto con
la legislazione del enti locali precedente (T.U. 1915, T.U. 1934, reg.
1911). Prima degli anni '90 erano state fatte alcune sporadiche
riforme, ma in ambiti molto ristretti (es. legge sui quartieri e sulle
circoscrizioni di decentramento, legge sulle comunità montane).
Gli anni Novanta furono un periodo di riforme in senso lato, non
solo, quindi, per quello che riguarda le autonomie locali. Nell'ambito
del nostro tema si ebbero una molteplicità di riforme, resasi
necessarie per affrontare i problemi che erano divenuti ormai
troppo importanti:
INSTABILITA' DEI GOVERNI LOCALI E DISTANZA DEGLI
STESSI DALLA VOLONTA' DEI CITTADINI: dopo sei mesi
dalle elezioni la metà dei comuni era privo di sindaco e di
giunta. A causare questa situazione era il tipo di governo:
infatti nelle province e nei comuni con più di 15000
abitanti si aveva un governo parlamentare di tipo
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proporzionale. I rappresentanti dei partiti eletti creavano
una maggioranza che contrattava sia il sindaco che la
giunta; il problema nasceva dal fatto che spesso la
maggioranza mutava in corso di mandato e il sindaco
venisse cambiato senza un concreto intervento degli
elettori.
Si faceva sentire sempre più forte la necessità di STABILITA' e
di TEMPI CERTI per l'elezione di sindaci giunte; al termine di
un lungo dibattito (le proposte di soluzione furono molteplici,
dall'ipotesi di elezione diretta del sindaco a quella del
passaggio ad un governo presidenziale) una soluzione si
propose nel '90, con la fissazione di MECCANISMI DI
STABILIZZAZIONE. Si pose così un limite temporale alle
negoziazioni tra partiti e si stabilì la decadenza dei consigli che
in quel lasso di tempo non avessero saputo decidere, con
conseguenti nuove elezioni.
SISTEMA ASSEMBLEARE: si assisteva ad un situazione
dove, a causa della forte influenza dei consigli e dei
partiti, ogni atto finiva davanti ai Consigli (tranne gli atti
espressamente riservati alla giunta e al sindaco),
sommersi da una molteplicità di atti.
LE AREE METROPOLITANE: in questo periodo dominava il
concetto di uniformità, in base al quale le grandi
metropoli dovevano sottostare alle medesime regole dei
comuni più piccoli (l'unica differenza era il sistema
elettorale: proporzionale nei comuni con più di 15000
abitanti, maggioritario nei comuni più piccoli). Questo
causava due problemi: un'eccessiva complessità
amministrativa e l'impossibilità di disciplinare in maniera
corretta tutti quei problemi di dimensione ultracomunale
che necessitavano di regole speciali.
COMMISTIONE DI RUOLO TRA FUNZIONARI E POLITICI:
nella tradizione amministrativa degli enti locali non c'è
l'idea di una responsabilità o di un ruolo sostanziale
proprio dei funzionari, ma gli atti sono adottati a livello
politico e i dirigenti elaborano decisioni che sono
giuridicamente imputate ad altri.
Inizia a farsi strada l'idea della necessità di distinguere le
responsabilità: ai politici dovevano essere attribuiti gli atti di
carattere generale, ai dirigenti gli atti puntuali. Lo spunto di
tale logica si trovò nella l. 241 del 1990,dove questo principio
veniva applicato agli enti locali; successivamente fu esteso a
tutto l'apparato amministrativo statale (nel 1993).
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L'art. 12 della 241 stabiliva che nessun contributo, beneficio o
vantaggio economico potesse essere conferito senza previa
determinazione di criteri generali. Si poneva, così, un quadro
di criteri generali sulla base dei quali si esaminavano i singoli
casi puntuali. Nasce qui la distinzione tra INDIRIZZO e
GESTIONE, tra POLITICA e AMMINISTRAZIONE.
FINANZA LOCALE: pur esaltando il sistema delle
autonomie si mira ad accentrare il sistema finanziario,
cosicché le risorse degli enti locali non sono altro che
introiti dello Stato, che questo trasferisce agli enti.
Data la molteplicità di problemi da affrontare si avverte la necessità
della redazione di una legge quadro, che riveda i principi di fondo
dell'ordinamento delle autonomie locali. Le riforme avvennero in tre
fasi, rispettivamente nel 1990, nel 1993 e nel 1997-1999.
1. - 1990 -
Con la l. 142/1990, "Ordinamento delle Autonomie locali" non
si arriva ancora ad accogliere la proposta di introduzione della
diretta elezione del sindaco, ma si stabilisce lo scioglimento
automatico del consiglio se entro 60 giorni non sia stato in
grado di eleggere il nuovo sindaco. Questa tecnica si rivelò, in
realtà, non troppo efficace: il consiglio eleggeva un sindaco
"pro-forma", continuando le trattative, contando sulla
possibilità di poter in ogni momento sfiduciare il sindaco
eletto.
Un altro cambiamento apportato con la 142 fu quello di una
garanzia di maggiore trasparenza: il sindaco aveva l'obbligo di
esporre le proprie linee programmatiche.
Sicuramente la legge portò alcuni cambiamenti (li
analizzeremo in seguito in maniera più approfondita), ma
questi non furono sufficienti ad attuare il rinnovamento
necessario nell'ambito.
La l. 241/1990, sul procedimento amministrativo, regolò
l'accesso e la partecipazione dei soggetti interessati a
provvedimenti formali.
2. - 1993 -
Con la l. 81/1993 si stabilisce l'elezione diretta del sindaco e
del presidente della provincia, rafforzando il legame tra
governi locali ed elettori e consentendo una maggiore stabilità
dei governi stessi.
Il sistema prevede l'elezione diretta nei comuni con meno di
15000 abitanti e il ballottaggio -nel caso non sia stato
raggiunto il 50% più uno- nelle province e nei comuni con più
di 15000 abitanti. 12
La giunta viene nominata dal sindaco, che sceglie i soggetti
che meglio possono sostenere il suo programma di governo.
Si fissa un limite temporale alla carica del sindaco: non più di
due mandati.
Si stabilisce che l'ELEZIONE DEI CONSIGLI sia basata su un
sistema di LISTE COLLEGATE AL CANDIDATO sindaco o
presidente della provincia, per garantire a questi una
consistente maggioranza in Consiglio.
Al sindaco e al presidente della Provincia vengono attribuiti
POTERI DI NOMINA E DI REVOCA degli assessori e si stabilisce
la RECIPROCA AUTONOMIA TRA GIUNTA E CONSIGLIO, la
prima con poteri di gestione ed il secondo con poteri di
indirizzo; si prevede, inoltre, l'incompatibilità tra le cariche di
consigliere e di assessore.
Ancora, nel 1993 la l. n. 29 si occupò di dare una disciplina
generica all'organizzazione del personale della P. A. (disciplina
oggi inglobata nel T. U. 165 del 2000).
3. - 1997/1999 -
Dal 1997 al 1999 si susseguirono una serie di riforme (prime
tra tutte le Bassanini) che andarono a toccare le funzioni degli
enti locali. Si parlò di RIFORME DEL FEDERALISMO
AMMINISTRATIVO, o di FEDERALISMO A COSTITUZIONE
INVARIATA. Si provvide, infatti, ad effettuare -nei limiti
previsti dalla Costituzione- il più ampio decentramento di
funzioni possibile.
Le leggi in questione, prima tra tutte la 59/1997, non furono
importanti solamente per i "pezzi" di funzioni che attribuirono
agli enti locali, ma anche e soprattutto per le regole
ordinamentali ed i principi (es. PRINCIPIO DI
SUSSIDIARIETA').
Nel giro di un decennio si assiste, quindi, ad un forte
sconvolgimento dell'ordinamento locale; rimangono, però, ancora
due versanti da affrontare:
La riconduzione di tutte le modifiche effettuate ad un
nuovo testo unico
La traduzione di tutto il percorso compiuto sul piano della
legislazione ordinaria al piano costituzionale.
Il primo punto lo si risolve con il T.U. 267/2000, che organizza e
amalgama tutti i provvedimenti in un'unica fonte con un duplice
contenuto: una parte contabile-finanziaria ed una parte
istituzionale. 13
Il testo non contiene alcuna innovazione ma attua una necessaria
coordinazione tra tutte le disposizioni in materia di:
Ordinamento e struttura istituzionale degli enti locali;
Sistema elettorale (comprese l'ineleggibilità e
l'incompatibilità);
Stato giuridico degli amministratori;
Sistema finanziario e contabile;
Controlli;
Norme fondamentali sull'organizzazione degli uffici e del
personale.
Il secondo punto viene affrontato nel 2001, con la legge
costituzionale n. 3, con la quale si modifica l'intero titolo V della
Costituzione.
La questione delle autonomie locali va, però, considerata anche
sotto un'altra luce: quella delle regioni. Il nostro sistema è sempre
stato dotato di una forte continuità, nonostante nel 1970 si sia
verificata, finalmente, l'entrata in campo delle Regioni, previste in
Costituzione già dal 1948 ma non ancora realizzate.
Le Regioni segnano il passaggio da un sistema a LEGISLATORE
UNICO ad un PLURALISMO LEGISLATIVO.
La regionalizzazione integrale del territorio avviene negli anni '70
con due leggi, una ELETTORALE ed una FINANZIARIA.
Con la realizzazione delle Regioni tutto il sistema delle autonomie
locali subisce una modifica: se alle Regioni non viene data
competenza in materia d ordinamento degli enti locali, per le molte
materie elencate nel 117 rimangono molte interconnessioni.
11/10/2005; V LEZIONE - 12/10/2005; VI LEZIONE
LA LEGGE 142 DEL 1990
Con questa legge non si ha una trasformazione della forma di
governo dei comuni e delle province, ma, pur mantenendo il
sistema parlamentare, si ha una nuova ripartizione di competenze
tra Consiglio e Giunta: mentre prima ogni atto, se non
espressamente riservato al consiglio, spettava alla Giunta, adesso
si ha una competenza generale-residuale della Giunta, ed al
Consiglio è riconosciuto un ruolo di indirizzo e di controllo, ma gli
atti di sua competenza sono tassativamente fissati dalla legge
(statuti, regolamenti bilanci, programmi,piani, ecc.).
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Nel permanente rispetto dl principio di uniformità, il legislatore del
'90 punta alle fusioni seguendo una molteplicità di strade:
Prevedendo dei contributi straordinari da parte dello Stato
e delle Regioni
Dando vita ad una nuova forma associativa transitoria
(unione di comuni), finalizzata a favorire la realizzazione
di una fusione vera e propria
Creando una nuova entità -il municipio- come
articolazione del nuovo comune che, pur priva di
personalità giuridica, si pone come punto di raccordo tra i
nuovo comune e i vecchi comuni più piccoli.
Andiamo ad analizzare, nello specifico, le previsioni e le innovazioni
della 142.
LE AREE METROPOLITANE
Per la prima volta il legislatore del 1990 si pone il problema delle
dimensioni dei comuni e, pur mantenendo in vita il principio di
uniformità, immette un nuovo soggetto:la CITTA' METROPOLITANA.
Prevedendo tassativamente solamente due tipi di ente locale, la
Costituzione impediva la creazione di un nuovo ente, così la Città
metropolitana nacque come un tipo di provincia, con un proprio
Statuto e delle peculiari competenze amministrative.
La legge delineò, così, un regime peculiare per le aree
metropolitane, facendo riferimento agli ambiti ricomprendenti i
Comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze,
Roma, Bari, Napoli. In queste situazioni, entro un anno dall'entrata
in vigore della legge, la Regione avrebbe dovuto, sentiti i Comuni e
le Province interessati, delimitare l'area metropolitana, stabilendo
se l'area sarebbe stata coincidente con il territorio della Provincia
preesistente, oppure se si sarebbe determinata l'istituzione di
nuove Province o l'incorporazione di parti del territorio negli ambiti
di Province confinanti; una volta completata la delimitazione, entro
18 mesi, la Regione avrebbe provveduto al riordino territoriale dei
Comuni in essa ricompresi. L'impostazione della nuova normativa
sviluppò un forte dibattito tra i sostenitori di delimitazioni vaste -
coincidenti con la Provincia- e sostenitori di aree ristrette -il
Comune capoluogo e la prima cintura, il c.d. modello a ciambella-
senza, però, che nessuna delle due impostazioni riuscisse a
prevalere nettamente sull'altra.
Il risultato fu che si arrivò a redigere leggi regionali di delimitazione
solamente a Genova, Venezia e Bologna, leggi, comunque,
fortemente contestate.
LE PROVINCE
Dagli anni '70, con l'affermazione delle Regioni, la Provincia iniziò a
vacillare, davanti a dibattiti che affermavano al sua inutilità in un
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sistema che poteva benissimo funzionare semplicemente con due
livelli: Regioni e Comuni. Si sosteneva che un qualsiasi problema
tra Comuni avrebbe potuto risolversi semplicemente con
l'associazionismo tra i Comuni stessi.
Gli effetti di questo dibattito erano stati, da un alto una forte
emarginazione delle Province nella legislazione statale e nell'ambito
dell'attribuzione di funzioni, e dall'altro la ricerca, da parte delle
Regioni, di alternative alle Province, con l'istituzione di concezioni
urbanistiche territoriali, come comprensori, associazioni
intercomunali e consorzi.
La situazione in cui la Provincia veniva a trovarsi era quella di un
ente defilato e con funzioni frammentate e attribuite senza una
logica comprensibile.
Con gli anni '80 la tendenza iniziò ad invertirsi a causa dell'entrata
in crisi dei para-enti locali istituiti come alternativa, e con la spinta
delle Regioni alla ricerca delle Province per il loro decentramento di
funzioni.
La 142 del 1990 segna definitivamente il consolidamento della
Provincia nel nuovo sistema. Alla Provincia vengono attribuite delle
funzioni sulla base di un elenco di materie, prevedendo una
specificazione con una legge di settore della materia specifica. Per
quello che riguarda la pianificazione territoriale la 142 entra, però,
subito nel merito, prevedendo che la Provincia debba redigere un
piano territoriale di coordinamento tra i vari piani regolatori
comunali per quello che riguarda temi che rilevino ad un livello
sovracomunale.
LA PARTECIPAZIONE
Si mira alla realizzazione di un nuovo rapporto con i cittadini, più
diretto, e che garantisca un coinvolgimento maggiore
nell'amministrazione.
Il concetto di partecipazione raccoglie dei significati diversi:
a. La PARTECIPAZIONE COLLETTIVA: l'intera collettività
partecipa in maniera consultiva sulla bontà o meno di
talune proposte; questo tipo di partecipazione coinvolge i
cittadini in quanto tali, senza che questi debbano
dimostrare il loro interesse.
b. In una seconda accezione si può parlare di partecipazione
come quella che si verifica attraverso le varie
ESPRESSIONI ORGANIZZATE DELLA SOCIETA'.
A seconda della materia interessata varie associazioni possono
essere coinvolte dall'amministrazione, con un grado di
partecipazione più o meno ampio.
c. Può essere consentita la partecipazione ai PROCEDIMENTI
AMMINISTRATIVI di quei SOGGETTI INDIVIDUATI che i
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cui diritti o interessi legittimi possono essere lesi dal
provvedimento stesso.
L'AUTONOMIA STATUTARIA
Prima di questa legge l'ossequioso rispetto del principio di
università aveva portato ad un paradosso: pur riconoscendo
l'autonomia degli enti locali, si negava loro di potersi
autodisciplinare mediante Statuti.
La 142 attribuisce l'autonomia statutaria agli enti locali,
consentendo ai Comuni e alle Province di fissare autonomamente le
loro norme fondamentali di funzionamento, per quanto riguardasse
gli assetti organizzativi e le attività.
La legge, pur sancendo questo principio fondamentale, in pratica dà
vita a forti contraddizioni, dato che si occupa direttamente della
maggior parte delle scelte inerenti gli organi di governo delle
autonomie.In ogni caso la previsione ha una portata fortemente
innovativa, consentendo ai Comuni di stabilire delle proprie forme
di decentramento (es. quartieri e circoscrizioni).
I SERVIZI PUBBLICI LOCALI
La 142 contiene un embrione di disciplina dei servizi pubblici locali,
riconoscendo una pluralità di forme di gestione accanto alle aziende
speciali municipalizzate (es. S.p.a. a prevalente capitale pubblico).
Anche in questo ambito, quindi, la 142 presenta novità di indubbio
rilievo, ma si tratta di novità inserite in un contesto normativo
confuso ed incerto.
IL REGIME DEI CONTROLLI
Il regime dei controlli era, inizialmente, considerato una prerogativa
statuale: era ai Prefetti ed al Consiglio di prefettura che era
attribuita la funzione di controllare gli atti degli enti locali. Con la
Costituzione si attribuì alla Regione la funzione di controllo di
legittimità sugli atti di tutti gli enti locali (art. 130 "Un organo della
Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica,
esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli
atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. In casi
determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito,
nella forma di richiesta motivata, agli enti deliberanti, di
riesaminare la loro deliberazione") e si istituì appositamente un
organo specifico regionale, il COMITATO REGIONALE DI
CONTROLLO.
Con la legge 142 il "controllo" si trova di fronte ad una tappa
fondamentale: s'inizia a ritenete, infatti, che sottoporre tutti glia
atti degli enti locali sia un'intrusione eccessiva nel loro operato; si
mira, così, a ridimensionarne l'ambito, circoscrivendolo ai soli atti
del Consiglio.
LA FINANZA LOCALE 17
La 142 opera un complessivo rinvio ad un futuro provvedimento di
riordino della materia, limitandosi ad indicare il principio di base di
AUTONOMIA FINANZIARIIA fondata su certezza di RISORSE
PROPRIE E TRASFERITE.
13/10/2005; VII LEZIONE
LA LEGGE COSTITUZIONALE N. 3 DEL 2001
Con le modifiche apportate dalla riforma del titolo V della
Costituzione, cambia in maniera netta la sostanza: le leggi non
dovranno più sottoporsi ad un'interpretazione limitativa per
garantire la loro rispondenza alla Costituzione.
Con la l. cost. n. 3 vengono modificati circa una ventina di articoli
riguardanti l'ordinamento regionale e quello locale, prevedendo
un'inversione nei rapporti tra i due sistemi.
Andiamo ad analizzare nello specifico gli articoli modificati:
Art. 114. Cost. "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle
Province, Dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, la Province, le Città metropolitane e le Regioni sono
enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i
principi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato
disciplina il suo ordinamento."
Con questa nuova formula s'intende affermare che lo Stato
apparato in sé non esaurisce l'insieme dell'ordinamento, ma
né è una componente, accanto a soggetti autonomi
rappresentanti esponenziali di collettività.
Nella nuova dizione compaiono le Città metropolitane, previste
dalla 142, e che adesso vengono recepite e si attestano come
soggetti costituzionalmente garantiti.
l'articolo recepisce anche il principio dell'autonomia statutaria
di tutti gli enti locali riconosciuti in Costituzione, ed inverte la
gerarchia degli enti locali, partendo da quello che assicura un
rapporto più diretto con il cittadino.
Art. 118 Cost. "Le funzioni amministrative sono attribuite ai
Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla
base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza. 18
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di
funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge
statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e
Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo
comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e
coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni
favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale,
sulla base del principio di sussidiarietà."
Il primo comma dell'articolo attribuisce la TITOLARITA'
NATURALE di tutte le funzioni amministrative in capo ai
Comuni, prevedendo una possibile deroga a tale principio sulla
base dei tre principi di SUSSIDIARIETA', DIFFERENZIAZIONE e
ADEGUATEZZA.
Il PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA' VERTICALE può assumere un
duplice significato: se, da un alto, può indicare il favor per il
livello di Governo più vicino al cittadino (secondo un'attitudine
DISCENDENTE di trasferimento di competenze), dall'altro può
essere visto come uno strumento di supporto del livello
superiore nel momento in cui quello inferiore non è più in
grado di svolgere la funzione (secondo un'attitudine
ASCENDENTE di trasferimento di competenze).
I PRINCIPI DI DIFFERENZIAZIONE e ADEGUATEZZA sono dei
concetti complementari rispetto a quello di sussidiarietà: di
adeguatezza si parla indicando una valutazione di idoneità
organizzativa e dimensionale di un ente locale ad accogliere
certe competenze, mentre per differenziazione s'intende il
risultato del giudizio di adeguatezza. Ciò significa che non
necessariamente tutte le autonomie locali debbano essere
trattate allo stesso modo, ma che in situazioni diverse possano
applicarsi delle diverse regole.
Secondo i principi espressi sarà il titolare della funzione
legislativa in una data materia a decidere sull'attribuzione
delle funzioni in quel ambito ai diversi gradi di autonomie
locali.
Il secondo comma dell'articolo in questione utilizza la
locuzione FUNZIONI AMMINISTRATIVE PROPRIE, dicendo che
sono titolari di queste i Comuni, le Province e le Città
metropolitane. Le funzioni amministrative proprie sono quelle
che ciascun ente locale, in base al percorso storico, ha già
acquistato; la Costituzione intende chiarire che tutte le
funzioni che già sono state acquisite non possono essere tolte.
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Il terzo comma si occupa del COORDINAMENTO TRA STATO E
REGIONI, nell'esercizio delle funzioni amministrative nelle
materie dell'immigrazione e dell'ordine pubblico e la sicurezza.
La norma, nonostante si occupi di un ambito molto limitato, è
importante, in quanto è l'unica che ipotizza un coordinamento
tra i diversi livelli territoriali; da questa di può facilmente far
derivare un GENERALE PRINCIPIO DI COORDINAMENTO.
Per quanto riguarda il quarto, ed ultimo, comma dell'art. 118,
questo si occupa del PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA'
ORIZZONTALE, tra enti pubblici e soggetti privati. Non avendo
la possibilità di un'applicazione automatica, il principio
s'indirizza ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni. Questi devono garantire, innanzi tutto, che i
privati abbiano la possibilità di attivarsi autonomamente per lo
svolgimento di attività d'interesse generale, dopo di che, se il
livello privato non si è attivato, spetta alle autonomie, in base
al principio di sussidiarietà orizzontale, muoversi per garantire
il servizio.
Art. 119 Cost. "I Comuni, le Province, le Città metropolitane e
le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni
hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed
entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i
princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi
erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza
vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità
fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti
consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche
loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la
solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e
sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona,
o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle
loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua
interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province,
Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni
hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi
generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere
all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È
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esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi
contratti."
Con il nuovo art. 119 si costituzionalizza il principio di
autonoma finanziaria anche per le Città metropolitane.
Le risorse vengono identificate con TRIBUTI ED ENTRATE
PROPRI, COMPARTECIPAZIONI AL GETTITO DI TRIBUTI
ERARIALI, e con il FONDO PEREQUATIVO. La Costituzione
prevede, così, che il flusso di risorse riconosciute a ciascun
livello territoriale in base alle entrate suddette, sia sufficiente
ed adeguato per finanziare interamente l'esercizio delle
funzioni attribuite.
Nonostante alcuni tentativi, l'articolo risulta ancora privo di
attuazione.
Art. 120 Cost. "La Regione non può istituire dazi di
importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né
adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la
libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né
limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del
territorio nazionale.
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città
metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di
mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della
normativa comunitaria oppure di pericolo grave per
l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo
richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e
in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini
territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure
atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel
rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale
collaborazione".
L'articolo prevede, in alcuni casi di particolare gravità (taluni
indicati in maniera specifica, altri in modo più generale), la
possibilità per lo Stato di sostituirsi agli enti locali; prevede
altresì che sia la legge a definire delle procedure che
garantisca l'esercizio di questo potere nel rispetto dei principio
di sussidiarietà e di LEALE COLLABORAZIONE. S'immette, così,
nel sistema, un nuovo, fondamentale principio che si applica a
tutti i rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali e che può
essere equiparato al principio di buona fede tra privati.
Art. 123 Cost. "Ciascuna Regione ha uno statuto che, in
armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo
e i princípi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo
statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del
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referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della
Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti
regionali.
Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con
legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti,
con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non
minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l'apposizione
del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo
della Repubblica può promuovere la questione di legittimità
costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte
costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione.
Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro
tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un
cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei
componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a
referendum non è promulgato se non è approvato dalla
maggioranza dei voti validi.
In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle
autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione
e gli enti locali ".
L'articolo in questione è interessante in quanto introduce un
nuovo organo necessario disciplinato dalla Regione: il
Consiglio regionale. Questo organo ha essenzialmente finalità
di consultazione tra la Regione e gli Enti locali.
La norma non specifica né la composizione di questo organo
né sue ulteriori funzioni -oltre quella consultiva; lascia aperti
anche molteplici dubbi sul grado di cogenza delle decisioni
prese nell'ambito di tale organo e le modalità per renderle
vincolanti. L'unica indicazione che ci viene data è quella che
cogliamo nel nome di questo organo: il fatto che venga
chiamato "consiglio" indica la volontà di un dialogo non
solamente tra gli esecutivi, ma anche a livello degli organi
legislativi.
Anche se molte Regioni hanno tentato di elaborare un organo
del genere, in realtà sono molto poche quelle che hanno già in
vigore i nuovi statuti e la maggior parte continua ad utilizzare,
al posto dei Consigli regionali, degli organi che erano stati
creati prima dell'entrata in vigore della riforma costituzionale
con il medesimo scopo, sulla spinta della legge Bassanini.
Art. 130 Cost. Questo articolo che stabiliva che riguardava il
tema dei controlli, viene completamente abrogato, garantendo
un'autonomia di massimo livello, che non può essere
condizionata da un controllo preventivo degli atti.
22
Dall'abrogazione dell'articolo nascono dei problemi di diritto
transitorio per quanto riguardava la permanenza delle leggi
regionali disciplinanti i Comitati di controllo; la Corte
costituzionale, consultata, ha ritenuto abrogate direttamente
le leggi che disciplinavano questi tipi di controllo.
18/10/2005; VIII LEZIONE
L'ATTUAZIONE DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE E LA
LEGGE LA LOGGIA
Dopo la legge cost. del 2001 c'è stata una fase in cui si sono
presentate delle grandi difficoltà ad adottare delle leggi di
attuazione; i vari articoli inseriti nel nuovo testo (dal 118, al 120 e
al 130 -abrogato-) rinviavano a leggi statali per il completamento a
l'adeguamento dei principi espressi, ma mancavano delle leggi
transitorie all'interno del titolo V.
Nel giugno del 2003 è stata approvata la legge n. 131 (L. "La
Loggia"), contenente «disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3». Anche l'approvazione della legge comportò
grandi difficoltà, basti pensare che il progetto, partito nel 2001, fu
approvato solamente nel 2003; già questa approvazione così
lontana nel tempo dalla legge da adeguare comportò delle
limitazioni: in alcuni ambiti la l. cost. aveva già prodotto alcuni
effetti e non si poteva modificarli.
La 131 è stata più che altro un PROGRAMMA DI ATTUAZIONE, una
legge delega: solo pochi dei suoi 10 articoli erano suscettibili di
applicazione diretta, mentre la maggior parte erano dei rinvii ad
altre disposizioni.
Il primo problema da risolvere era l'attuazione del
ribaltamento di competenze effettuato dal nuovo art.
117: se ne occupò l'art. 1, nell'ambito del primo e terzo
comma, in materia di legislazione regionale.
L'art. 2 si occupava, invece, di fissare una delega
specifica per l'attuazione dell'art. 117, comma 2, lettera
p) e per l'adeguamento delle disposizioni in materia di
enti locali alla legge costituzionale del 2001. L'articolo
sanciva:
"1- Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla
entrata in vigore della presente legge, su proposta del
23
Ministero dell'interno di concerto con i Ministri per gli affari
regionali, per le riforme istituzionali e la devoluzione e
dell'economie e delle finanze, uno o più decreti legislativi
diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione,
essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città
metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari
delle comunità di riferimento.
2- Con i decreti legislativi di cui al comma 1, si provvede,
altresì, nell'ambito della competenza legislativa dello Stato,
alla revisione delle disposizioni in materia di enti locali, per
adeguarle alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
3- Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, dopo
l'acquisizione dei pareri del Consiglio di Stato e della
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, di seguito denominata «Conferenza
unificata», da rendere entro trenta giorni dalla trasmissione
degli schemi medesimi, sono trasmessi alle Camere per
l'acquisizione del parere da parte delle competenti
Commissioni parlamentari, da rendere entro quarantacinque
giorni dall'assegnazione alle Commissioni medesime. Acquisiti
tali pareri, il Governo trasmette i testi, con le proprie
osservazioni e con le eventuali modificazioni, alla Conferenza
unificata e alle Camere per il parere definitivo, da rendere,
rispettivamente, entro trenta e quarantacinque giorni dalla
trasmissione dei testi medesimi.
4- Nell'attuazione della delega di cui ai commi 1 e 2, il
Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi: a)
garantire il rispetto delle competenze legislative dello Stato e
delle Regioni, l'autonomia e le competenze costituzionali degli
enti territoriali ai sensi degli articoli 112, 117 e 118 della
Costituzione, nonché la valorizzazione della potestà statutaria
e regolamentare dei Comuni, delle Province e delle Città
metropolitane; […] e) attribuire all'autonomia statutaria degli
enti locali la possibilità di individuare sistemi di controllo
interno, al fine di garantire il funzionamento dell'ente, secondo
criteri di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione
amministrativa, nonché forme e modalità di intervento,
secondo criteri di neutralità, sussidiarietà e di adeguatezza nei
casi previsti dagli articoli 141, commi 2 e 8, 193, comma 4,
143, comma 6, lettera b), 247 e 251 del testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267; […]
24
5- La decorrenza dell'esercizio delle funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane che, a seguito
dell'adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1, sono
attribuite ad un ente diverso da quello che le esercita alla data
di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, è stabilita
dalle leggi che determinano i beni e le risorse finanziarie,
umane, strumentali e organizzative da trasferire. A tale fine il
Governo, in conformità ad accordi da stabilire in sede di
Conferenza unificata, su proposta del Ministro dell'interno, di
concerto con i Ministri per gli affari regionali, per le riforme
istituzionali e la devoluzione e dell'economia e delle finanze,
sentiti i Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più
disegni di legge collegati […] alla manovra finanziaria annuale,
per il recepimento dei suddetti accordi.
6- Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti
legislativi di cui al comma 1, il Governo può emanare, nel
rispetto dei principi e dei criteri direttivi indicati al comma 4,
disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi
medesimi."
La delega riguardava due ambiti:
l'individuazione delle FUNZIONI FONDAMENTALI
l'ADEGUAMENTO DEL T.U. 264/2000
e fissava due ordini di limiti al potere governativo:
il rispetto delle COMPETENZE LEGISLATIVE
il rispetto dell'AUTONOMIA STATUTARIA e
REGOLAMENTARE delle autonomie (la disciplina posta,
quindi, non poteva essere così dettagliata da influire
negativamente sull'autonomia normativa delle autonomie
locali).
All'intenzione di valorizzare l'autonomia statutaria si ispirava
anche la lettera e) del quarto comma, che prevedeva la
possibilità per gli Statuti degli enti locali di individuare sia
sistemi di controllo interno, sia le forme e modalità di
intervento sostitutivo.
Il procedimento per l'approvazione dei decreti legislativi
prevedeva un procedimento rafforzato, con un doppio parere
da parte della Conferenza unificata, a garanzia di una
maggiore partecipazione. Si stabiliva, inoltre, che anche le
leggi che determinassero le risorse da trasferire fossero
adottate in sede di accordi con la Conferenza unificata, e che
fissassero anche la decorrenza dell'esercizio delle funzioni
fondamentali.
Il quadro proposto da questo articolo non si è ancora
realizzato: per adesso si è solamente presentato agli enti locali
25
uno schema di testo unico. Sulla base della proroga concessa
si avrebbe, comunque, ancora tempo fino al giugno del 2006.
Dell'attuazione dell'art. 114, secondo comma, e del 117, sesto
comma, Cost. in maniera di POTESTA' NORAMTIVA DEGLI
ENTI LOCALI, se ne occupò l'articolo 4, sancendo che
"1- I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno
potestà normativa secondo i principi fissati dalla Costituzione.
La potestà normativa consiste nella potestà statuaria e in
quella regolamentare. […]
2- L'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai
regolamenti nel rispetto delle norme statutarie.
3- La disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della
gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città
metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell'ente
locale, nell'ambito della legislazione dello Stato o della
Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità,
secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto
previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della
Costituzione.
5- Il potere normativo è esercitato anche dalle unioni di
Comuni, dalle Comunità montane e isolane.
6- Fino all'adozione dei regolamenti degli enti locali, si
applicano le vigenti norme statali e regionali, fermo restando
quanto previsto dal presente articolo."
L'obiettivo di questo articolo era quello di chiarire lo spazio dei
regolamenti e degli statuti locali rispetto alle leggi statali e
regionali, in conformità alle previsioni costituzionali di
autonomia statutaria e regolamentare in ordine alla disciplina
dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni attribuite
agli stessi enti locali.
La portata di questo articolo -che in ad una prima lettura
sembra estendere notevolmente la potestà normativa degli
enti locali- viene, in qualche modo, sminuita
dall'interpretazione che ne dà la Corte Costituzionale; la quale
afferma che l'articolo mira a ridurre l'invasione statale e
regionale nel dettaglio, ma non intende sancire nessuna
riserva di legge in favore degli enti locali.
L'articolo 7 si preoccupò, invece, di dare attuazione all'art. 118
della Costituzione, in materia di esercizio delle funzioni
amministrative. Il testo dell'articolo recitava così:
"Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze,
provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro
esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge,
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e
26
adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane,
Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare
l'unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento,
efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per
motivi funzionali o economici o per esigenze di
programmazione o di omogeneità territoriale, nel rispetto,
anche ai fini dell'assegnazione di ulteriori funzioni, delle
attribuzioni degli enti di autonomie funzionale, anche nei
settori della promozione dello sviluppo economico e della
gestione dei servizi. Stato, regioni, Città metropolitane,
Province, Comuni e Comunità montane favoriscono l'autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di
attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà. […] Tutte le altre funzioni amministrative non
diversamente attribuite spettano ai Comuni che le esercitano
in forma singola o associata, anche mediante le Comunità
montane e le Unioni di Comuni. […]"
A questo primo comma, che mirava a dare una
esemplificazione del principio di sussidiarietà di cui all'art. 118,
seguiva la delucidazione dei procedimenti che si sarebbero
dovuti seguire per il trasferimento delle funzioni
amministrative, dei beni e delle risorse, nella pratica mai
applicati.
A difesa dell'autonomia ricorse l'art. 9 che dimostrava
una tendenza ad aprire a soggetti dotati di autonomia
spazi di presenza in MECCANISMI DI TUTELA
GIURISDIZIONALE. L'articolo prevedeva che
" […] 1. L'articolo 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è
sostituito dal seguente: «Art. 31. […] - 3. La questione di
legittimità costituzionale è sollevata, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, anche su proposta della Conferenza
Stato-Città e autonomie locali, dal Presidente del Consiglio di
ministri mediante ricorso diretto alla Corte costituzionale e
notificato, entro i termini previsti dal presente articolo, al
Presidente della Giunta regionale. […]» - 2. Il secondo comma
dell'articolo 32 sella legge 11 marzo 1953, n. 87, è sostituito
dal seguente: «La questione di legittimità costituzionale,
previa deliberazione della Giunta regionale, anche su proposta
del Consiglio delle autonomie locali, è promossa dal Presidente
della Giunta mediante ricorso diretto alla Corte costituzionale e
notificato al Presidente del Consiglio dei ministri entro il
termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o
dell'atti impugnati.» […]" 27
L'articolo attribuiva all'ente locale la possibilità di stimolare le
impugnazioni di leggi statali (da parte delle Regioni) e di leggi
regionali (da parte dello Stato) nel caso in cui dette leggi
violassero le competenze dell'ente garantite
costituzionalmente.
Interessante è vedere come nella nuova proposta di riforma
costituzionale si prevede la possibilità di un ACCESSO
DIRETTO da parte di Province e Comuni alla Corte
Costituzionale -con il conseguente rischio di un "intasamento"
della Corte Costituzionale da un numero elevatissimo di
ricorsi-, previsione alquanto insensata, se si considera che uno
degli obiettivi della riforma sarebbe quella di decongestionare
il sistema, ritenuto fonte di disordine e conflittualità tra Stato e
regioni.
L' art. 10 prevede ancora l'esistenza di una figura, un
rappresentante statale, che curi i rapporti con il sistema
delle autonomie:
"1. In ogni Regione a statuto ordinario il prefetto preposto
all'ufficio territoriale del Governo avente sede nel capoluogo
della Regione svolge le funzioni di rappresentante dello Stato
per i rapporti con il sistema delle autonomie.
2. Nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, il
rappresentante dello Stato cura in sede regionale:
a) le attività dirette ad assicurare il rispetto del principio di
leale collaborazione tra Stato e Regione, nonché il raccordo tra
le istituzioni dello Stato presenti sul territorio, anche
attraverso le conferenze di cui all'articolo 11 del decreto
legislativo 3 luglio 1999, n. 300, al fine di garantire la
rispondenza dell'azione amministrativa all'interesse generale,
il miglioramento della qualità dei servizi resi al cittadino e di
favorire e rendere più agevole il rapporto con il sistema delle
autonomie; […]
c) la promozione dell'attuazione delle intese e del
coordinamento tra Stato e Regione previsti da leggi statali
nelle materie indicate dall'articolo 118, terzo comma, della
Costituzione, nonché delle misure di coordinamento tra Stato e
autonomie locali, di cui all'articolo 9, comma 5, del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
d) l'esecuzione di provvedimenti del Consiglio dei ministri
costituenti l'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo
120, secondo comma, della Costituzione, avvalendosi degli
uffici territoriali del Governo e degli altri uffici statali aventi
sede nel territorio regionale;
28
e) la verifica dell'interscambio di dati e informazioni rilevanti
sull'attività statale, regionale e degli enti locali, di cui
all'articolo 6 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
riferendone anche al Ministro per l'innovazione e le
tecnologie."
20/10/2005; X LEZIONE L'ATTUALE TITOLO V
In sostanza, ad oggi, il titolo V si presenta in maniera tale da
realizzare una diversa strutturazione dei rapporti tra i vari livelli: si
passa, infatti, da una predeterminazione a priori della funzioni di
ciascun livello, alla nuova idea di un riparto di competenze basato
sul principio di sussidiarietà e adeguatezza, che attribuisce, in
primis, le funzioni al livello più vicino al cittadino e che, in caso di
miglior soddisfazione di un'esigenza ad un livello più alto, richiama
le funzioni agli enti locali di grado superiore secondo l'adeguatezza.
Ci si presenta, così, un riparto di competenze dinamico e flessibile,
tendente a riflettere le esigenze concrete, più vicino alla base
sociale di riferimento, molto simile a quello che è il riparto di
funzioni a livello europeo.
Il principio di sussidiarietà, nato a livello amministrativo, è andato
estendendosi anche nell'ambito legislativo, a seguito di un totale
ribaltamento dell'idea dell'organizzazione statale. Il superamento
della gerarchia come formula organizzativa statale, l'immissione del
principio di separazione tra politica e amministrazione, il passaggio
da un modello unitario ad un modello pluralista ad autonomie
equiordinate, il superamento del principio del parallelismo tra
potestà amministrativa e potestà legislativa, sono il punto di
partenza (e di arrivo) dell'idea di una sorta di "prevalenza" del
livello amministrativo su quello legislativo, nel senso che, ribaltando
la teoria classica per la quale prima viene la legge e soltanto in un
momento successivo il livello amministrativo, si arriva ad affermare
che occorre in primis individuare il livello di Governo adatto ad
amministrare e, sulla base di questa scelta, si attribuisce la potestà
29
legislativa. In sostanza si può dir che la funzione amministrativa
attrae in capo ad un certo livello di Governo anche la funzione
legislativa.
Il principio di leale collaborazione, tipico dei sistemi federali,
assume un ruolo chiave in riferimento al titolo V, dove risulta un
elemento indispensabile per la condivisione delle decisioni che
riguardino interessi dislocati su diversi livelli.
Sulla base di questo principio si dà un forte rilievo a tutte le
procedure partecipate e agli strumenti di condivisione come accordi
e intese. La Corte si è pronunciata in diversi casi, affermando la
necessità di un efficace e reiterato tentativo di arrivare a decisioni
che siano il più possibile condivise.
25/10/2005; XI LEZIONE 26/10/2005; XII LEZIONE
L'ATTUALE PROPOSTA DI REVISIONE COSTITUZIONALE
La proposta di revisione costituzionale che è attualmente al vaglio
del Parlamento riguarda l'intera parte seconda della Costituzione, e
quindi la disciplina dei pubblici poteri. Più di 50 articoli verrebbero
modificati, alcuni in modo parziale, altri in maniera radicale; alcune
di queste modifiche riguarderebbero direttamente il -o andrebbero
ad influire in maniera indiretta sul- nostro tema.
La prima modifica che si prospetta è quella dell'immissione
nell'ordinamento del Senato federale (articolo 11: "L’articolo 55,
primo comma, della Costituzione è sostituito dal seguente:«Il
Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato
federale della Repubblica»").
Mentre, in generale, il Senato federale è uno strumento che
consente che i livelli regionali vengano rappresentati a livello
centrale, non è escluso che nel nostro Senato federale, in ragione
della forza che i Comuni assumono nel nostro ordinamento, siano
presenti direttamente anche gli enti locali più vicini al cittadino. Già
l'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 aveva previsto la
presenza transitoria -fino alla revisione del Titolo I della parte
seconda della Costituzione- delle autonomie locali alla Commissione
parlamentare per le questioni regionali; la disposizione è sempre
rimasta inattuata, dato che i regolamenti della Camera dei deputati
e del Senato della Repubblica -quelli che avrebbero potuto
prevedere la partecipazione delle autonomie locali alla
Commissione- non sono mai stati modificati.
30
Il Senato federale nei sistemi comparati può seguire due logiche:
1. Elezione diretta, con un egual numero di rappresentanti
per ciascuno Stato;
2. Sentori nominati da ciascuno Stato come propri
rappresentanti.
Il primo modello nacque a seguito delle tensioni tra i padri fondatori
U.S.A., alcuni dei quali miravano ad una rappresentanza uguale per
tutti o una rappresentanza proporzionale. Il compromesso si trovò
stabilendo di utilizzare un bicameralismo modificato, sulla base del
quale si sarebbero create due camere:una dove i rappresentanti
sarebbero stati eletti in maniera proporzionale alla popolazione di
ciascuno Stato, l'altra dove ciascuno Stato, indipendentemente
dalle dimensioni, sarebbe stato rappresentato da due soggetti.
Il secondo modello presenta, a sua volta, due varianti;
a. I Senatori sono eletti dai Parlamenti degli Stati, secondo il
modello austriaco; in questo modello le due camere
hanno lo stesso peso nel processo di approvazione della
legge;
b. I Senatori sono i Primi ministri, i capi dell'esecutivo,
secondo il modello tedesco; in questo modello la camera
eletta indirettamente può incidere sul processo
legislativo, ma la parola definitiva è della camera eletta
direttamente.
Il primo modello è quello previsto dalla nostra riforma: il Senato
federale viene eletto in via diretta e a rappresentanza ponderata
per ciascuna Regione. L'articolo 3 della proposta afferma, infatti,
che
"Il Senato federale della Repubblica è eletto a suffragio universale e
diretto su base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione
Estero.
Il Senato federale della Repubblica è composto da duecento
senatori elettivi, dai senatori elettivi assegnati alla circoscrizione
Estero e dai senatori a vita di cui all’articolo 59.
L’elezione del Senato federale della Repubblica avviene con sistema
proporzionale ed è disciplinata con legge dello Stato, che garantisce
la rappresentanza territoriale da parte dei senatori.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a
cinque; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno»".
La proposta prevede un agganciamento dell'elezione dei
rappresentanti in Senato a quella dei Presidenti della Regione, con il
palese problema dell'attuale discrasia temporale tra le due elezioni,
sfalsate di un anno; si è, così, sostenuta la necessità di ritardare le
elezioni regionali per far sì che coincidessero con quelle del
Parlamento. 31
Il problema sarebbe senza dubbio quello di un offuscamento della
dimensione regionale, in un'ovvia prevalenza delle logiche
nazionali.
All'interno di questo quadro le autonomie locali avrebbero il ruolo di
partecipare all'attività del Senato, ma SENZA IL DIRITTO DI VOTO
e la partecipazione dei rappresentanti delle autonomie sarebbe
largamente minoritaria. Per ciascuna Regione partecipano due
rappresentanti, uno eletto dal Consiglio regionale ed uno eletto dal
rispettivo Consiglio delle autonomie locali (tra sindaci e Presidenti di
Provincia).
La parte più assurda della riforma sta nel fatto che, a ben vedere,
le materie affidate all'una o all'altra camera finiscono per
sovrapporsi ed intersecarsi, creando un meccanismo di possibili e
continue normative approvate in ultima istanza dalla Camera o dal
Senato, che possono contraddirsi l'un l'altra sulla medesima
materia.
Un requisito per divenire senatori della regione sarebbe, secondo
l'art. 4 della proposta di riforma, quello di aver compiuto i
venticinque anni di età e aver ricoperto o ricoprire cariche pubbliche
elettive in enti territoriali locali o regionali, all’interno della Regione,
o essere stati eletti senatori o deputati nella Regione.
La proposta sancirebbe un REGIME SPECIALE per l'ordinamento
della capitale, stabilendo che "Roma è la Capitale della Repubblica
federale e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia,
anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e
con le modalità stabiliti dallo Statuto della Regione Lazio"; mentre
questo articolo, quindi, prevedrebbe che limiti e modalità
dell'autonomia di Roma sarebbero fissati dallo Statuto della Regione
Lazio, l'articolo 117 elenca, in realtà, la materia dell'ordinamento
della capitale tra le materie riservate alla legislazione statale.
Per quanto riguarda le Conferenze (Stato-Regione, Stato-autonomie
locali, Unificata) si è sempre sentita la necessità di una loro
costituzionalizzazione e di un collegamento tra queste ed un unico
organo a livello centrale, per consentire un approccio a problemi
molto vicini (quelli trattati nella Conferenza Stato-Regione e quelli
trattati nella Conferenza Stato-autonomie locali) in maniera lineare
e non contraddittoria. La proposta di riforma attuale porta
nuovamente ad una separazione dei due versanti, prevedendo
costituzionalmente soltanto la Conferenza Stato-Regione, e
affermando la possibilità di istituire altre Conferenze tra Stato,
province, Comuni e Città metropolitane.
32
IL SISTEMA ATTUALE DELLE AUTONOMIE
LOCALI
I SOGGETTI
La prima suddivisione che facciamo parando di soggetti è quella tra
ENTI LOCALI ed ENTI TERRITORIALI.
Gli enti territoriali sono quei pochi soggetti indicati dall'art. 114
Cost.,i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni, più
altri soggetti, come, per esempio, le Comunità montane.
Gli enti territoriali hanno un territorio specifico come presupposto
della loro personalità giuridica; con il territorio hanno una relazione
stretta e fondante, dato che i loro poteri sono limitati in quel
territorio, e l'esistenza di quel territorio giustifica i loro doveri/poteri
sullo stesso. Questi enti sono esponenziali di collettività, hanno,
quindi, con questa un legame diretto: è proprio la collettività che
elegge gli organi dell'ente; l'ente persegue la generalità non definita
degli interessi della sua collettività di riferimento, quindi non è un
soggetto a scopi predefiniti, ma può orientarsi verso tutti gli scopi
che interessano quella collettività, purché non espressamente
riservati ad altro soggetto.
Altro elemento caratterizzante degli enti territoriali è che questi
sono enti necessari, nel senso che devono esserci necessariamente
su tutto il territorio. All'interno degli enti territoriali possono
esistere (non sono soggetti necessari) delle aggregazioni con una
natura indirettamente esponenziale di quella collettività, proiezioni
del carattere rappresentativo degli enti territoriali; in alcuni casi
(per esempio nelle zone montane) anche queste aggregazioni sono
soggetti necessari.
Gli enti locali, invece, non sono enti necessari, non sono
costituzionalmente garantiti, non sono esponenziali (possono essere
33
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Diritto regionale con analisi dei seguenti argomenti: l'evoluzione storica delle autonomie locali, il nuovo principio di eguaglianza, la struttura dei municipi, le funzioni di interesse nazionale delegate, la solidità della classe amministrativa, l'evoluzione del sistema italiano.
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