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La disciplina e la tutela dei beni paesaggistici
Nel 1939 la gestione e la tutela dei beni paesaggistici era esercitata dallo Stato centrale; con l'istituzione delle Regioni a statuto ordinario lo Stato trasferì alle Regioni il potere di approvazione dei piani paesistici allora ancora non obbligatori. Il d.lgs.616/67 ha attribuito alle Regioni le funzioni amministrative per la protezione delle bellezze naturali e per le relative sanzioni, conferendo allo Stato funzioni di indirizzo e di controllo. Un altro decreto, del 1985, ha conferito alle Regioni il potere di esaminare la domanda di autorizzazione paesistica comunicando l'eventuale rilascio dell'autorizzazione allo Stato che ha l'obbligo di intervenire in caso di inerzia. Attualmente le funzioni di tutela di beni paesaggistici sono state conferite alle Regioni ed il Ministro competente ha conservato la potestà di indirizzo e vigilanza in caso di inerzia. È inoltre previsto che i proprietari ed i
Possessori di immobili o aree sottoposte alle disposizioni riguardanti la tutela paesaggistica non possono né distruggere tali beni né introdurre modifiche che recino pregiudizio ai valori paesaggistici. Per l'esecuzione di opere è necessario proporre il progetto alla Regione ed all'ente locale al fine di ottenere la preventiva autorizzazione. L'intervento dell'autorità amministrativa nella sfera dei beni comuni.
Generalità. Autorevole dottrina in relazione alla fruibilità, distingue la proprietà pubblica in senso soggettivo (il soggetto pubblico ha le stesse facoltà di disposizione e godimento e gli stessi poteri di un privato) dalla proprietà in senso oggettivo (il bene è nella titolarità del soggetto pubblico ma è goduto da altri, cui spetta la fruizione, non in modo imprenditoriale).
Beni pubblici. I beni pubblici si distinguono in demaniali, patrimoniali indisponibili e patrimoniali disponibili.
I primi appartengono al demanio dello Stato e degli altri enti territoriali e soddisfano esigenze pubbliche o generali ed a loro volta sono divisi in demanio necessario (es. demanio idrico, marittimo, militare, i primi due passibili di concessione a privati), demanio accidentale (beni che possono appartenere anche a privati ma che sono demanio se appartengono allo Stato, es. demanio stradale, ferroviario, aeronautico, culturale). Si è inoltre distinto tra demanio naturale, composto da beni che sono tali per natura, e demanio artificiale, composto da beni costruiti e destinati per una funzione pubblica. Si distingue anche tra demanio comunale, provinciale e regionale, quest'ultimo comprende anche i porti lacuali e gli acquedotti di interesse regionale. L'uso dei beni demaniali avviene attraverso l'uso diretto da parte della pubblica amministrazione, ma vi sono dei casi di uso da parte dei privati (usi generali, consentiti con un atto di ammissione di carattere
generale comel'apertura di una strada, usi particolari, consentiti da singoli atti di ammissione, usi eccezionali, consentiti solo dopo concessione). La disciplina del mare. Tale disciplina è oggetto di convenzioni internazionali ed è sottoposta alla sovranità dello Stato costiero nei limiti delle 13 miglia, misurate secondo il sistema delle linee rette (si congiungono i punti sporgenti della costa o delle isole eventualmente presenti). Al momento della creazione della CE, la disciplina dei trasporti marittimi fu guardata con scarso interesse, tuttavia una sentenza della Corte di giustizia del 1974 affermò che anche tale materia fosse sottoposta alle regole del Trattato, anche se diversi ordini di motivi legati alla sovranità di ogni stato, hanno limitato l'ambito di incidenza dell'intervento comunitario salvo il coordinamento delle attività internazionali degli Stati membri. Per ciò che riguarda la tutela dell'ambiente,
le normative nazionali sono di dettaglio rispetto alle convenzioni internazionali (le più rilevanti sottoscritte dall'IMO), e nel nostro Paese la legge più rilevante è quella "difesa del mare" del 1993. Con riferimento invece al diritto di pesca, vi sono innanzitutto dei dubbi sulla sua assimilazione ad una branca del diritto (si ritiene recentemente sia quello agrario), ma in ogni caso non presenta una disciplina organica. Nel 1931 vi fu una legge che disciplinò l'esercizio della pesca e gli aspetti previdenziali, nel 1965 si distinse tra la pesca marittima e quella in acque interne (acquacoltura) per conseguire la tutela dell'ittiofauna - con la creazione di riserve - e lo sfruttamento razionale delle risorse del mare - con la protezione di singole specie e la limitazione delle licenze di pesca - e nel 1982 vi fu una legge che ha previsto che il Ministro delle politiche agricole adotti il piano triennale della pesca.Dell'acquacoltura tenutoconto della programmazione statale e regionale e della normativa comunitaria ed internazionale. L'intervento pubblico e la disciplina della pesca e dell'acquacoltura. Attualmente la Comunità Europea tende a concludere accordi interni e con Stati terzi per la conservazione dell'intero patrimonio ittico, ma parallelamente ogni Stato deve svolgere un'attività di vigilanza ad opera della Pubblica Amministrazione. Sono state create delle strutture associative per tutelare l'ecosistema, ad es. l'ASEAN, ed in ambito comunitario, il Trattato di Amsterdam ha posto gli obiettivi della politica agricola comune volti ad un incremento della produttività, un miglioramento del reddito degli agricoltori, la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli approvigionamenti e la garanzia di prezzi ragionevoli ed inoltre la promozione a livello internazionale di misure per risolvere i problemi dell'ambiente.
(cooperazione con le competenti organizzazioni internazionali, conclusione di Convenzioni, cooperazione allo sviluppo). Sono state inoltre create alcune OCM (organizzazioni comuni di mercato) e fissati dei principi da seguire: unicità (per ogni prodotto è fissato un prezzo indicativo), preferenza comunitaria e solidarietà finanziaria (attuato mediante il FEOGA, un fondo agricolo comunitario con azioni dirette e indirette – rimborsi – agli Stati membri). Nel 1991 fu elaborato il rapporto “Mac Sherry” volto ad un aumento della competitività, un aumento dei redditi ed un passaggio da agricolture intensive ad agricolture estensive. Per quanto riguarda la normativa italiana, una legge del 1941 ha attribuito al Ministro delle Politiche agricole il potere di stabilire il numero massimo delle licenze di pesca (la licenza si distingue dal permesso perché è un procedimento valutativo discrezionale e non una mera registrazione delPescatore o dell'impresa di pesca). Nel 1992 inoltre è stato creato il Fondo di solidarietà nazionale della pesca, che opera qualora accadano calamità naturali. Soluzione più idonea sia dal punto di vista economico che di protezione dell'ecosistema è sicuramente l'acquacoltura, volta ad annullare il sovrasfruttamento delle risorse (overfishing) mediante la produzione di proteine animali in ambiente acquatico con il controllo del ciclo di sviluppo degli organismi acquatici. I problemi ambientali in materia di acquacoltura tuttavia riguardano sia gli scarichi, risolto in parte con il riciclo dell'acqua mediante tecniche di ossigenazione, sia la captazione delle acque necessarie per il funzionamento degli impianti: per le acque superficiali è necessaria una domanda di concessione di derivazione corredata dai relativi progetti; per le acque sotterranee è necessario richiedere un'autorizzazione amministrativa; per le
acque interne e marine è necessaria una concessione subordinata a pareri del genio civile, intendenza doganale e ufficio doganale del distretto ed una volta ottenuta la concessione sorge l'onere di iscrizione nel registro delle imprese di pesca. La realizzazione degli impianti di acquicoltura è subordinata a concessione demaniale marittima e/o edilizia (on shore, a terra) oppure solo a concessione demaniale marittima (off shore, in vasche o stagni).
L'utilizzazione e la tutela delle acque. Profili pubblicistici. Tutte le acque appartengono al demanio e le attività di ricerca, estrazione ed utilizzazione delle acque sotterranee sono tutelate dalla Pubblica Amministrazione, per cui per derivare ed utilizzare le acque è necessario ottenere una concessione di derivazione. La domanda deve essere rivolta direttamente al Ministro dei Lavori Pubblici e presentata all'Ufficio del genio civile che ne cura la pubblicazione con avviso nel Foglio degli annunzi.
legali delle Province. Tali domande passano poi al vaglio delle Autorità di Bacino che entro 40 giorni devono pronunciarsi. Le domande e i provvedimenti di accoglimento devono essere pubblicate con il relativo progetto da un'ordinanza del genio civile che fa decorrere i termini per proporre eventuale opposizione o osservazioni. Conclusa l'istruttoria con esito favorevole si redige il disciplinare (atto concessorio) in cui sono indicati i dettagli, e il richiedente viene invitato alla sottoscrizione dello stesso, in seguito alla quale vi è il vero e proprio provvedimento di concessione che nel caso di grandi derivazioni è un decreto del Ministro dei Lavori pubblici d'intesa con il Ministro delle Finanze, mentre per le piccole derivazioni è un decreto del provveditore alle Opere pubbliche previo parere degli uffici regionali dell'Agenzia del demanio. Un T.U. del 1993 disciplina il caso in cui vi siano domande concorrenti, tuttavia sono criteri.Molto generici che fanno sorgere dei dubbi, ma in caso di richiedenti per usi industriali ha preferenza chi aderisce ai sistemi di sicurezza ISO 14001 oppure al sistema comunitario previsto da un regolamento CEE del 1993. Per ciò che riguarda la struttura del procedimento di concessione vi sono alcune tesi a confronto:
- Negozio bilaterale. La domanda è un atto preparatorio e la sottoscrizione del disciplinare è il contratto vero e proprio (doppia manifestazione di volontà), tuttavia la sottoscrizione richiesta è solo quella del richiedente ed inoltre la P.A. può sempre modificare le condizioni.
- Concessione-contratto. Vi sarebbe una reciprocità di obblighi e diritti.
- Non sorge un rapporto commutativo. L'obbligo di pagare il canone sorge dalla legge.
In ogni caso le concessioni hanno un carattere temporaneo: i limiti sono 30 anni, oppure 40 anni per uso irriguo, salvo la materia delle concessioni idroelettriche. Gli organi competenti
che vengono in rilievo sono innanzitutto le Regioni che fissano alcuni obblighi, e poi il Ministro dei Lavori pubblici di concerto con altri ministri competenti e previa intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni-Provincie.