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Diritto d'accesso alle trasmissioni
La RAI deve garantire il diritto d'accesso alle trasmissioni ai partiti e ai gruppi rappresentati in Parlamento, alle organizzazioni associative delle autonomie locali, ai sindacati nazionali, alle confessioni religiose, ai movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche e culturali, alle associazioni nazionali del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta. Questo diritto deve essere garantito per tempi non inferiori al 5% del totale delle ore di programmazione televisiva e al 3% del totale delle ore di programmazione radiofonica, distintamente per la diffusione nazionale e regionale. La responsabilità di garantire questo diritto e di stabilire le relative regole spetta a una sottocommissione permanente per l'accesso istituita nell'ambito della commissione parlamentare. In caso di controversie sulle decisioni della sottocommissione, è possibile fare ricorso alla commissione parlamentare. Il diritto di accesso è regolato dalla legge.103/1975 (segue) Il diritto d'accesso deve essere regolato rispettando le esigenze del pluralismo, dell'interesse sociale, culturale ed informativo delle proposte degli interessati, della varietà della programmazione. I soggetti ammessi all'accesso devono osservare i principi dell'ordinamento costituzionale, e tra essi in particolare quelli relativi alla tutela della dignità della persona nonché della lealtà e della correttezza del dialogo democratico e astenersi da qualsiasi forma di pubblicità commerciale. Corte costituzionale, sentenza n. 202/1976
In vari processi a carico di società private che avevano attivato impianti di diffusione radiofonica o televisiva via etere senza la relativa concessione amministrativa, veniva sollevata la questione di legittimità costituzionale della riserva allo Stato degli impianti televisivi via etere a raggio locale (art. 1 l. 103/1975). Tutte le ordinanze di rimessione condividevano la tesi
che il presupposto del riconoscimento della legittimità del monopolio statale fosse la limitatezza dei canali disponibili e che tale presupposto non sussistesse relativamente alle trasmissioni su scala locale, essendo esclusa la possibilità di monopoli o oligopoli. La Corte ha ritenuto che fosse venuto quindi meno "l'unico motivo che per queste ultime trasmissioni possa giustificare quella grave compressione del fondamentale principio di libertà, sancito dalla norma a riferimento, che anche un monopolio di Stato necessariamente comporta"; ha sancito l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate ed ha suggerito al legislatore di provvedere all'emanazione di una legge che fissi le condizioni per l'esercizio dell'attività privata in tale settore secondo un regime autorizzatorio, come già avvenuto per le trasmissioni locali via cavo. La sentenza 202/1976 è di fondamentale importanza perché perLa prima volta si collega l'esistenza del monopolio statale nel settore della radiotelevisione al solo elemento tecnico della disponibilità delle frequenze, accantonando l'altra considerazione – presente nelle pronunce precedenti – per cui la riserva allo Stato si giustificava per il rilevante interesse generale della radio-etelediffusione e la conseguente necessità di assicurare imparzialità e non discriminazione. Al contrario, il pluralismo sarebbe assicurato dalla semplice presenza di un sistema misto pubblico-privato con una molteplicità di emittenti. Ma allora in cosa consiste la specifica missione del servizio pubblico radiotelevisivo? Il legislatore è stato singolarmente inerte nel raccogliere l'invito della Corte costituzionale a disciplinare l'attività privata nelle trasmissioni via etere. Sono frattanto nate numerose emittenti operanti a livello locale molte delle quali, attraverso sistemi di interconnessione e.La messa in onda in contemporanea di programmi pre-registrati, superavano di fatto l'ambito locale.
Corte costituzionale, sentenza n. 148/1981
Nel processo a carico della della Rizzoli Editore S.p.a., che stava per iniziare, senza autorizzazione amministrativa, la trasmissione via etere su scala nazionale di un telegiornale ed altri programmi televisivi utilizzando una rete di trasmissione e di collegamento di proprietà di altre società private, viene sollevata la questione di legittimità costituzionale del monopolio statale delle trasmissioni via etere a livello nazionale.
La Corte ha ribadito la legittimità di tale riserva richiamando i motivi già espressi nelle precedenti pronunce.
Ma ha anche precisato che "ciò vale ovviamente, allo stato attuale della legislazione, in base alla quale, per la permanente carenza di una normazione adeguata, restano appunto aperte le possibilità di oligopolio o monopolio sopradelineate. A diverse
conclusioni potrebbe eventualmente giungersi ove il legislatore, affrontando in modo completo ed approfondito il problema della regolamentazione delle TV private, apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche non solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione incluse quelle pubblicitarie". Secondo l'impostazione della Corte, la ratio del monopolio statale prescinde da ogni considerazione sulle specificità del servizio pubblico essenziale ed è giustificata solo dall'assenza di una normativa idonea ad evitare concentrazioni ed oligopoli. Data la perdurante assenza di tale normativa, continuavano le iniziative di interconnessione di emittenti private, in modo da raggiungere un ambito di trasmissione ultra-locale. In varie occasioni tali iniziative sonostate interrotte dapronunce giudiziarie (rivolte, in particolare, alle reti del gruppo Berlusconi) oscuramento. Il Governo è intervenuto con una normativa teoricamente provvisoria (non più di 6 mesi) che invece è rimasta in vigore fino al 1990: il d. l. n. 807/1984, convertito in legge n. 10/1985 (c. d. "decreto salva Berlusconi"). In realtà, precedentemente il governo (Craxi) aveva approvato il d. l. 694/1984, con il quale si consentiva, in attesa dell'approvazione di una apposita legge, la prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private, disponendo espressamente che "è consentita la trasmissione ad opera di più emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipendentemente dagli orari prescelti". Tuttavia il Parlamento non approvò la legge di conversione. Allora, per la conversione in legge del successivo d. l. 807/1984 il Governo pose la questione di fiducia, minacciando la807/1984, approvato durante la Conferenza regionale dell'UIT (Ginevra, 6 ottobre- 6 dicembre 1984), stabilì che entro il 1° luglio 1987 gli Stati avrebbero dovuto procedere alla mappatura delle frequenze al fine di evitare interferenze. Lo Stato italiano, all'epoca, non era a conoscenza del numero e della tipologia di emittenti private e impianti di radiodiffusione attivi nel paese. Pertanto, con questo intervento normativo, si impose alle emittenti private l'obbligo di comunicare entro novanta giorni al Ministero delle PT tutte le informazioni necessarie relative ai loro impianti. Il censimento, completato nella metà del 1985, contò oltre 4.000 emittenti, ognuna delle quali gestiva da 1 a 5 impianti. Tuttavia, la quantità di frequenze assegnate dall'UIT all'Italia corrispondeva solo al 20% di quelle utilizzate dalle emittenti private. Era quindi necessario un riordino urgente. Il d. l. n. 807/1984 fu approvato l'ultimo giorno della Conferenza regionale dell'UIT (Ginevra, 6 ottobre- 6 dicembre 1984) che stabilì che entro il 1° luglio 1987 gli Stati avrebbero dovuto procedere alla mappatura delle frequenze, onde evitare fenomeni interferenziali. Lo Stato italiano non era a conoscenza di quali e quante emittenti private e di quali e quanti impianti di radiodiffusione fossero attivi nel paese. Per questo, con tale intervento normativo, si pose l'obbligo per le emittenti private di comunicare entro novanta giorni al Ministero delle PT tutte le necessarie informazioni relative agli impianti da esse gestiti. Il censimento, completato alla metà del 1985, contò oltre 4mila emittenti, che gestivano da 1 a 5 impianti. Però, la quantità di frequenze assegnate dall'UIT all'Italia corrispondeva solo a circa il 20% di quelle utilizzate dalle emittente private. Quindi, occorreva con urgenza un riordino!807/1984 (convertito in legge n. 10/1985)
Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive
La diffusione sonora e televisiva sull'intero territorio nazionale, via etere o via cavo per mezzo di satelliti o con qualsiasi altro mezzo, ha carattere di preminente interesse generale ed è riservata allo Stato.
Nell'ordinare il sistema radiotelevisivo lo Stato si informa ai principi di libertà di manifestazione del pensiero e di pluralismo dettati dalla Costituzione per realizzare un sistema misto di emittenza pubblica e privata.
Il servizio pubblico radiotelevisivo su scala nazionale è esercitato dallo Stato mediante concessione ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica di interesse nazionale.
La Commissione parlamentare bicamerale nomina tutti e 16 i membri del CdA RAI, ma il Direttore generale viene nominato dall'IRI. Si produce un dualismo fra Parlamento e Governo.
I poteri della Commissione parlamentare vengono ridotti in
In favore di quelli del CdA. (... segue ...) Obbligo per le emittenti di comunicare i dati relativi ai proprio impianti entro 90 gg. al Ministero PT. In seguito al censimento sarebbe stato approvato un piano nazionale di assegnazione delle frequenze (non realizzato!) Una futura legge si occuperà di disciplinare il sistema radiotelevisivo, consentendo l'iniziativa privata ma predisponendo apposite norme antitrust, in modo da assicurare il pluralismo e la trasparenza. Frattanto restano temporaneamente consentiti i ponti-radio fra le singole emittenti, come pure la trasmissione in contemporanea dello stesso programma pre-registrato. Le emittenti private devono però riservare il 25% del tempo alla trasmissione di opere cinematografiche nazionali o della Cee. Devono anche limitare l'affollamento dei messaggi pubblicitari al 16% del tempo di trasmissione settimanale e massimo al 20% di ciascuna ora di trasmissione. Corte costituzionale, sentenza n. 826/1988 Alcune ordinanze dei giudici
A quo lamentavano il perdurare dell'ariserva allo Stato delle trasmissioni via etere a livello nazionale; altre invece il fatto che la disciplina transitoria si stesse protraendo oltre-termine, consentendo di fatto alle emittenti locali di superare tale ambito.
Inizialmente la Corte ha chiarito il concetto di pluralismo: "«...il pluralismo dell'informazione radiotelevisiva significa, innanzitutto, possibilità di ingresso, nell'ambito dell'emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci consentano i mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell'emittenza privata - perché il pluralismo esterno sia effettivo e non meramente fittizio - che i soggetti portatori di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere emarginati a causa dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed economiche nelle mani di uno o di pochi."