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I GIUDICI E L'ABORTO: TRA MORALE E TECNICHE DI BILANCIAMENTO
1. È possibile per i giudici non entrare nel merito delle questioni morali quando decidono sui diritti fondamentali?
Secondo Dworkin, il diritto è intrinsecamente legato alla morale e alla filosofia politica (mentre secondo Hart è
indipendente dalla morale). Dal punto di vista fenomenologico, è una pratica indipendente: il lavoro del giudice
è diverso da quello di un teologo o di un filosofo morale, poiché utilizzano diversi linguaggi, o “giochi linguistici”
(cfr. Wittgenstein). I diritti in ogni caso sollevano questioni morali; il punto è se il giudice possa evitare di fare
determinazioni morali che avranno conseguenze determinanti sulla decisione giuridica che è chiamato a
prendere. In teoria può evitarlo quando la legge (o la Costituzione) contengano una soluzione dettagliata della
questione morale. In pratica, però, queste non sono mai esaustive. Si può discutere se sia appropriato o meno
affidare scelte eticamente complesse e sensibili come quelle sull'aborto al potere giudiziario o se non sia meglio
che se ne occupi il legislatore (pur tenendo conto della natura contro-maggioritaria dei diritti, per cui si rischia
di produrre vincitori e perdenti morali assoluti).
A prescindere da questo, se si assume che il giudice, di fatto, non possa esimersi dal prendere decisioni
moralmente impegnative, bisognerà distinguere tra 2 tipi di decisioni:
1. quelle che riguardano una materia su cui vi siano standard morali fortemente e diffusamente accettati. Ad
es. se in una società vi è un consenso praticamente unanime sul carattere immorale della pena capitale, la
legittimità di una decisione giudiziale che stabilisce che la pena capitale viola la norma della costituzione
che viete le pene “crudeli e disumane” non dovrebbe essere contestata e on dovrebbe produrre problemi
pratici;
2. quelle che riguardano materie su cui manchi tale consenso perché:
A) vi è accordo morale sui principi ma non sulla loro applicazione, per questioni in cui è preferibile una
soluzione in sede giudiziale, in quanto posizione istituzionalmente più adeguata:
es. il principio di equità applicabile alle transazioni commerciali, nel caso in cui insorga un conflitto tra
2 individui relativamente a se uno dei 2 abbia agito secondo equità in una particolare transazione:
→ equità: principio di natura giuridica che dipende dalle convinzioni morali quando si tratta di
tracciare la linea che separa transazioni eque tra transazioni inique;
B) vi è accordo sui principi generali (es. democrazia liberale) ma non sulla loro applicazione (es. principi
che regolano la tassazione), per questioni in cui il giudice non è in posizione avvantaggiata rispetto
agli altri attori istituzionali:
→ Nozick, ha sostenuto l’immoralità della tassazione;
→ Rawls, ha argomentato che la tassazione è moralmente giustificata per sostenere standard
accettabili di giustizia distributiva;
C) vi sono divisioni profonde sui valori fondamentali: in questi casi è dubbio che il giudice si trovi in
posizione avvantaggiata e ciononostante non può esimersi dal coinvolgimento nel confronto morale.
L'aborto appartiene a quest'ultima categoria, sia che la Costituzione sia laconica in proposito, sia che lo regoli
espressamente. Il giudice non può sottrarsi dal ruolo di arbitro morale neanche trincerandosi dietro a filosofie
giudiziarie, come quella che non riconosce i diritti non enumerati: potrà essere tacciato dal fronte abortista di
aver violato il principio di eguaglianza di genere.
2. La moralità dell’aborto nella prospettiva di giudici diversi
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In tutte le decisioni concernenti l’aborto assunte da molteplici corti che hanno operato in sistemi diversi, con
tradizioni giuridiche diverse e con sistemi di giustizia costituzionale diversi, i giudici si sono confrontati con un
alto livello di indeterminatezza, perché l’ordinamento giuridico nel quale operavano non forniva indicazioni
univoche quanto all’esistenza, al contenuto e ai limiti del diritto di abortire, né conteneva una chiara definizione
di “persona”. Tale indeterminatezza, ha costretto i giudici ad entrare nel merito delle questioni e dei valori
morali che circondano l’aborto.
I valori morali possono essere:
costituzionalizzati (caso della dignità – Legge Fondamentale tedesca);
- possono rinvenirsi nelle tradizioni di un ordinamento, nelle sue leggi, nella giurisprudenza costituzionale
- (diritto alla privacy – decisione Griswold v. Connecticut);
in fonti esterne, come i trattati e le convenzioni internazionali, tra cui assumono una particolare importanza
- quelli a tutela dei diritti umani.
Pertanto i giudici usano gli argomenti morali in maniera diversa tra loro:
talvolta sono mascherati da argomenti giuridici;
- talvolta risultano indipendenti da qualsivoglia argomento giuridico.
-
Spesso, le conclusioni di natura giuridica a cui i giudici giungono nella decisione del caso, non appaiono
conseguenti rispetto alle argomentazioni morali utilizzate.
2.1. Argomenti solo apparentemente tecnico-giuridici che nascondono giudizi morali
Sentenza 27/1975, Corte Costituzionale italiana → la Corte prende atto della pluralità di standard morali
applicabili all'aborto, considerato storicamente lesivo di interessi disparati → nonostante questo, afferma
che la Costituzione difende la vita prenatale indirettamente, attraverso la protezione della maternità (art.
31) e direttamente, in base all'art. 2, “diritti inviolabili dell’individuo” → riconosce la parziale
decriminalizzazione dell'aborto, ma non il diritto (codice penale);
Roe v. Wade del 1973, Corte Suprema USA → stesso tipo di considerazioni → diritto all'aborto con limitate
eccezioni, feto non riconosciuto come “persona”, in quanto, pur mancando una definizione, ogni volta
che tale termine è usato in Costituzione si riferisce alla vita post-natale e quando si parla del concepito
non è mai considerato come persona in senso pieno. Va rilevato che ciò non è pertinente con il caso in
questione, in cui si parla di tutela della vita prenatale da un danno apportato intenzionalmente: pur
dichiarando di sottrarsi ad una presa di posizione riguardo a quando incominci la vita, la Corte stabilisce
un diritto, quello all'aborto, affermando di fatto che il feto non è una persona da tutelare;
“I Decisione sull'aborto” della Corte Costituzionale Federale Tedesca del 1975 → silenzio della
Costituzione → i giudici fanno propria la teoria per cui il feto è da considerarsi persona in senso pieno:
considerano il termine “ognuno” usato in Costituzione come “ogni essere umano vivente”. Lo giustificano
con motivazioni biologiche e fisiologiche: “la vita […] esiste fin dal quattordicesimo giorno dopo il
concepimento”; posto che la vita è il valore supremo dell'ordinamento in quanto condizione di godimento
di tutti gli altri beni fondamentali, non è bilanciabile con altri valori;
Corte Costituzionale della Colombia, decisione del 2006 → la Corte costruisce una differenziazione
giuridica tra valore della vita e diritto alla vita: quest'ultimo spetta solo agli individui già nati, mentre il
primo va contemperato con i diritti delle donne protetti dalla Costituzione e dalle varie convenzioni
costituzionali ratificate;
Sentenza SPUC (Irish Society for the Protection of Unborn Children) v. Grogan del 1991 della Corte di
Giustizia Europea (Lussemburgo) → problema se l'aborto costituisca un “servizio” ai sensi del diritto
comunitario → stabilisce che quando l'aborto è praticato da personale medico in uno Stato membro, nel
rispetto delle sue leggi, è da considerare un servizio, poiché i giudici non ritengono la vita prenatale
meritevole della stessa tutela della vita post-natale (il non nato non è a tutti gli effetti una persona).
2.2 Argomenti morali espliciti
In alcuni casi, i giudici avanzano argomenti esplicitamente morali:
Corte Costituzionale tedesca, sentenza del 1975 → “L'ordinamento giuridico deve esprimere la propria
disapprovazione per la terminazione della gravidanza ... Lo Stato non può non assumere le proprie
responsabilità e lasciare un vuoto normativo non esprimendo un giudizio morale e lasciando agli individui
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tale giudizio”;
Sentenza Carhart della Corte Suprema degli USA del 2007 → si fa riferimento ad una legge del Congresso
che vietava una particolare procedura abortiva (D&E → “dilatation and evacuation”), che i ricorrenti
ritenevano, in quanto priva di eccezioni, porre rischi per la salute femminile → definita “raccapricciante”
dalla Corte, che in più adduce l'argomento paternalistico per cui “le donne devono essere protette da loro
stesse, in quanto si pentirebbero della decisione di interrompere la gravidanza, che contrasta con la loro
natura di donne e madri … Il rispetto per la vita umana trova la sua massima espressione nel legame di
amore tra madre e figlio, e la legge riconosce questa realtà.”
3. La morale della dignità
La DUDU (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) del 1948 indica la dignità come inerente a tutti i membri
della famiglia umana; questo concetto ha matrici ideologiche diverse (di certo reazione all'Olocausto, ma anche
idea della dottrina sociale della Chiesa). L'uso del termine si diffonde in una moltitudine di documenti
internazionali e testi costituzionali: si tratta delle premesse per lo sviluppo di un sistema di diritti umani
universale o è in realtà un concetto illusorio? Di fatto non vi è accordo sul significato e sulle pratiche concrete
che riguardano la dignità, al punto che talvolta diverse interpretazioni arrivano a confliggere.
È emblematico il caso Wackenheim v. France, dove il ricorrente, il signor Wackenheim, si oppone a una legge
francese che impedisce gli spettacoli di “lancio del nano” in quanto lesivi della dignità.
→ Manuel Wackenheim, affetto da nanismo ed impiegato da una società che organizzava pubblici eventi, tra
cui, appunto “lanci di nani” nelle discoteche, rimase disoccupato a seguito degli effetti della circolare del 27
novembre 1991 del Ministero dell’Intero francese, con la quale furono proibiti alcuni tipi di spettacoli pubblici,
tra cui il “lancio dei nani”, sulla base della loro contrarietà all’art. 3 della CEDU (proibizione della tortura e dei
trattamenti inumani e degradanti) → il signor Wackenheim fece ricorso al Comitato dei Diritti dell’Uomo delle
Nazioni Unite: quest’ultimo non riscontrò la violazione invocata dal ric