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TEMA DELL’OMOGENEITA’

Costituisce una finzione, è una questione del tutto ideologica. Già la Francia quando si pone Stato

Assoluto dichiara l’omogeneità della sua lingua. L’atto che sancisce il francese come lingua del

diritto è una cesura che cancella il latino come lingua del diritto. Costituirà uno sforzo perché il

francese non è, in quel periodo, lingua veicolare; solo la minoranza parla il francese.

La nazionalizzazione del pensiero giuridico francese avrà la sua affermazione più piena con la

rivoluzione francese. La formazione dello Stato passa in Francia attraverso l’uniformità linguistica,

in altri luoghi si basa invece sull’uniformità religiosa.

Trattato di Westfalia: si ammette il pluralismo religioso sul continente europeo ma i singoli possono

professare pubblicamente la religione solo se l’autorità statale professa la stessa religione. Questo

porta a una piena identificazione fra Stato e religione.

Nonostante il 1648 sia una data di de-teologizzazione del potere, contestualmente si assiste alla

coincidenza fra religione e Stato. La religione è elemento forte per la costituzione dell’identità

nazionale. Il nazionalismo polacco nel 1800 si basa sull’elemento religioso (cattolico). Si affermano

le Chiese di Stato, le religioni ufficiali dei singoli Stati.

La Rivoluzione francese è in qualche modo contro la religione quindi la Francia non conosce questo

elemento di omogeneità, ma si caratterizza anche per il riconoscimento del principio di uguaglianza

che vede al centro del sistema il cittadino, che è una persona priva di qualsiasi elemento identitario.

Quindi il principio di eguaglianza si connette al divieto di discriminazione, per dar corpo al

principio lo strumento normativo della legge viene introdotto dallo Stato di diritto. La legge ha le

caratteristiche della generalità e dell’astrattezza. Si tengono quindi da parte le caratterizzazioni

individuali.

Il principio di eguaglianza formale è proprio degli Stati di diritto e degli ordinamenti democratici

moderni che introducono il principio di eguaglianza sostanziale il quale parte dall’idea che i

pubblici poteri sono consapevoli delle differenziazioni e operano per riequilibrare le differenze. E’

questo il caso di azioni positive.

Introduzione di atti che favoriscono membri di un gruppo ritenuto svantaggiato. La giustificazione

di questo trattamento differenziato è l’obiettivo dell’ordinamento di ridurre le differenze. Quindi la

torsione dell’eguaglianza formale si giustifica con il fine di ridurre il trattamento ingiusto. Se questo

è il ragionamento le azioni positive sono strumenti provvisori legittimati finché sussiste un

trattamento deteriore di un gruppo rispetto ad altri. Le azioni positive sono tradizionalmente ritenute

transitorie. Questo pone un’altra riflessione perché se prendiamo che il multiculturalismo parte

dall’idea che le differenze siano da promuovere, dobbiamo ripensare alle minoranze distinguendole

in “by force” (forzate) e “by will” (per volontà).

Le minoranze che hanno un’alterità la riconoscono come oggetto di esclusione (per quelle forzate).

Quelle volontarie invece vantano l’elemento di differenziazione e ne rivendicano la conservazione.

Quando parliamo di azioni positive relazioniamo individuo e gruppo.

Se ci poniamo nell’ottica dello Stato democratico-sociale dobbiamo vedere le azioni positive come

temporanee.

Il primo elemento è legato alla torsione del principio di eguaglianza formale. Il secondo elemento è

il nesso fra identità e gruppi. Quando ci spostiamo in un’ottica multiculturale abbiamo una relazione

fra singolo e gruppo. Possono aspirare a un trattamento particolare perché è il gruppo che viene

inquadrato come gruppo sociale in qualche modo svantaggiato. Emergerebbe accanto all’individuo

la visione comunitaria. Comunitarismo: è un evoluzione del pensiero che per molto tempo ha visto

la centralità del singolo e tende a recuperare la dimensione sociale, quella delle formazioni sociali.

Si parte dal presupposto che i singoli nel costruire un’identità personale, passano attraverso

l’interazione con un gruppo. Il singolo quindi si declina in senso religioso, razziale, etnico. Non più

l’individuo come una monade ma che costruisce la propria identità con l’interazione con un gruppo

a cui si sente affine.

Questo recupero del gruppo è riconducibile al comunitarismo, che trova radici nel pensiero

anglosassone. E’ sempre preso in opposizione al liberalismo. Quindi tornando alle azioni positive,

una delle critiche è proprio su questo ritorno al gruppo. C’è chi ha parlato della rinascita delle

comunità cetuali intermedie pre-rivoluzionarie.

Un’altra critica fatta alle azioni positive è che verrebbe meno il criterio del merito. In realtà questo

metodo delle azioni positive andrebbe ad incidere negativamente sull’acquisizione del beneficio per

merito. Le azioni positive sono lo strumento principe per l’affermazione dell’uguaglianza

sostanziale. Se noi ci caliamo in uno stato multiculturale riteniamo che l’elemento di

differenziazione debba essere salvaguardato. Queste idee della azioni positive permanenti si legano

al principio della tutela della dignità. Dal punto di vista giuridico la dignità come espressione e

tutela emerge nelle costituzioni dopo la Seconda Guerra Mondiale. La nostra Costituzione ne parla

all’art.3, all’art.41 e all’art.36. Quindi anche nella nostra Costituzione non ha rilevanza così

significativa. La legge fondamentale tedesca del 1949 pone il principio della dignità all’art.1 come

se permeasse l’ordinamento. Ciò si spiega con il risentire del periodo storico drammatico che era

appena passato. Era stata tale la compressione della dignità che ora bisognava riconoscerla.

Tutte le Costituzioni successive al 1989 (crollo del Muro di Berlino, fine regimi comunisti europei)

dell’Europa centro-est si troveranno a dover codificare la dignità. Fa acquisire la consapevolezza di

essere non solo meritevole di un trattamento paritario ma anche di essere tutelato in ciò che ritiene

essenziale per la propria identità individuale. Ciascuno può aspirare a vedersi riconosciuti tutti gli

elementi per costruire l’identità personale.

A questo punto i singoli possono aspirare a vedersi tutelata la propria differenza. Il connubio dei

due principi è la legittimazione alla richiesta ai pubblici poteri di salvaguardare, garantire,

promuovere la propria differenza.

Cambia quindi la prospettiva dei pubblici poteri da una parte e gruppi minoritari dall’altra. Fino a

un certo punto il loro rapporto si basava su una tutela che non escludeva pratiche di assimilazione.

Se invece all’eguaglianza affianchiamo la dignità, l’assimilazione (soppressione degli elementi di

differenziazione) sarebbe lesiva della dignità individuale ed è per questo che in un’ottica

multiculturale le minoranze non devono essere tutelate in senso discriminatorio ma devono essere

promosse.

Un’altra questione è capire se tutti possono aspirare a questa tutela o è possibile operare una

distinzione fra cittadini e stranieri. Questo è controverso come punto, ci si è molto affaticata la

dottrina. Storicamente il cittadino può vantare pretese superiori.

Nel catalogo dei diritti si fa una distinzione. Nell’art.3 si usa il termine “cittadino”, nell’art.16

anche. Nell’art. 19 invece si usa il termine “tutti” per la libertà religiosa.

I diritti sociali sono tutti non-subordinati alla cittadinanza. Tutte le Costituzioni distinguono fra

cittadino e straniero. Questa distinzione si riduce fortemente con un’eccezione che riguarda i diritti

politici riservata esclusivamente ai cittadini. Si spiega pensando allo Stato (sovranità, territorio,

popolo) dove il popolo sta per “cittadino” che grazie a questo status può aspirare alla sovranità. Se

si aprisse agli stranieri verrebbe meno l’essenza dello Stato. L’esclusione degli stranieri vale solo

per i diritti di partecipazione politica a livello nazionale. Per quanto riguarda gli stranieri

extra-comunitari (anche se residenti da molto) sono esclusi dai diritti di partecipazione politica

nazionale e locale mentre gli stranieri comunitari solo a livello nazionale.

TUTELA DELLA DIFFERENZA

Prevalentemente oggetto di esame della giurisprudenza nord-americana (USA-Canada).

Eguaglianza formale: necessita di far convivere identità culturali distinte sulla base de: “La legge

uguale per tutti” eliminando questo assioma e assumendo norme distinte a seconda del destinatario.

E’ l’affermazione piena della legge speciale che deroga alla legge generale. Le eccezioni, le

deroghe, prima dello Stato di diritto, facevano riferimento a dei privilegi. Le eccezioni possono

esistere o attraverso un riconoscimento normativo oppure più comunemente sono frutto di

un’operazione ermeneutica posta in essere dai giudici.

Deroghe espresse: nel diritto comparato le deroghe espresse sono la minoranza. Un ordinamento

con deroghe espresse è la Francia, nonostante sia lontana dai meccanismi multiculturali. L’art. 75

riconosce diritti differenziati basati sulla religione. Sono però deroghe che riguardano i territori

d’oltremare. L’art. 75 e la sua deroga permettono al cittadino di terre d’oltremare di mantenere lo

statuto personale a meno che non vi rinunci espressamente. Quindi i cittadini possono vedersi

applicato un diritto civile diverso da quello del codice civile francese. Quindi le controversie di

diritto civile(soprattutto famiglia e diritti reali) sono disciplinate da regole di diritto musulmano

(laddove vi sia prevalenza di islamici). E’ una deroga che viene concessa su richiesta, iscrivendosi

in un apposito registro. In caso di silenzio è applicato il codice civile francese.

Questo comporta che nei giudizi siedano non solo i giudici dell’amministrazione francese ma anche

giudici locali (Khadis) esperti di diritto musulmano. C’è comunque una tendenza a scoraggiare

questa pratica tanto che la legge dice che chi ha rifiutato questa possibilità non può tornare indietro.

La ragione di questa scelta è in parte legata a ragioni politiche ma è anche vero che il rispetto del

diritto musulmano deriva da un trattato fra il sultano dei luoghi e la Francia nel 1841.

Questo non ha vietato alla Francia di intervenire in senso opposto, ad esempio vietando la

poligamia. Il Consiglio ha escluso ce vi sia violazione dell’art.75 , sostenendo che il legislatore può

promuovere l’evoluzione dei cos

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
28 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/21 Diritto pubblico comparato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher derekwise di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto pubblico comparato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof Ceccherini Eleonora.