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TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA 114

Premessa. Il procedimento davanti all’organo giurisdizionale

monocratico: dalle direttive della legge delega per l’emanazione del

nuovo cpp alla riforma del giudice unico

Con la riforma del 1988 è stato dedicato un libro intero alla fase del

giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, prima procedimento

davanti al pretore (fino alla l 51\1998). Da un punto di vista strutturale, tale

procedimento fino al momento di entrata in vigore della l 479\1999 risultava

contraddistinto dall’assenza dell’udienza preliminare e pertanto poteva essere

ben ricondotto tra i procedimenti speciali ma la collocazione autonoma operata

dal legislatore mirava a sottolineare la consistenza qualitativa e quantitativa

tutt’altro che marginale delle fattispecie penali che potevano essere giudicate

da tale organo, dunque questo è un procedimento ordinario in senso stretto

anche in funzione delle regole stesse di svolgimento.

Nelle direttive della legge delega trovò ampia conferma la tendenza a

potenziare lo strumento della giustizia pretorile, che era già presente nel codice

del 1930, per quanto riguarda le forme del procedimento questo si doveva

basare su criteri di massima semplificazione, con esclusione dell’udienza

preliminare e con possibilità di incidenti probatori solo in casi eccezionali, con

la distinzione delle funzioni di pm e giudice che metteva fine alla figura del

pretore inquisitore, propria del codice del 1930, legittimato ad iniziare l’azione

penale per i reati di sua competenza e a provvedere a quant’altro rientrasse

nella funzione di pm e con la possibilità di emettere decreti di citazione a

giudizio anche senza alcuna verifica giurisdizionale; all’interno del processo

esistevano poi le figure dell’uditore giudiziario (vice pretore onorario) e un

funzionario di pubblica sicurezza, la cui capacità di contribuire al

contraddittorio era assai ridotta anche se tutto era teso allo scopo di potenziare

al massimo gli sbocchi diversi dal dibattimento secondo l’assunto che i fatti di

minor rilievo penale consentirebbero una trattazione processuale più agile e

meno garantita in considerazione delle ridotte difficoltà di reperimento e

valutazione della prova. Invero, se il discrimine utilizzato per assicurare o meno

un vaglio giurisdizionale predibbattimentale sull’esercizio dell’azione penale

doveva essere rinvenuto nella complessità delle indagini preliminari risultava

alquanto difficile sostenere poi la congruità della soluzione adottata nel codice

in presenza di fattispecie che per la loro complessità imponevano una

metodologia di verifica processuale analoga a quella prevista per i reati di

competenza di giudici collegiali.

Insomma, una corretta ricerca della massima semplificazione avrebbe

potuto essere invocata per legittimare l’eliminazione delle attività che

nell’esperienza giurisprudenziale si fossero rivelate inutili o formalistiche

attraverso la previsione, se del caso, di moduli processuali flessibili e

rapidamente modificabili in funzione della specifica situazione procedimentale;

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la figura del pretore era però accompagnata da perplessità che hanno poi

portato alla ristrutturazione degli uffici giudiziari di primo grado secondo il

modello del giudice unico: si è soppresso sia l’ufficio della procura della

repubblica presso la pretura trasferendo le funzioni alla procura presso il

tribunale e l’ufficio del pretore, le cui competenze sono state anch’esse

trasferite al tribunale, che doveva giudicare in composizione collegiale ogni

delitto punito con la pena della reclusione superiore nel massimo a 20 anni

mentre gli altri delitti erano di competenza del tribunale in composizione

monocratica a cui dovevano applicarsi tout court le norme vigenti per il

procedimento davanti al pretore. Tali scelte furono recepite come inadeguate

dal legislatore delegato tale da far immediatamente emergere la necessità di

ridisegnare il rito pretorile perché le esigenze di semplificazione a cui tendeva

non erano idonee ad assicurare sufficienti garanzie in rapporto a tipi di reato di

rilevante gravità; per tale motivo la data di efficacia della normativa delegata è

stata spostata al 2000 tramite il dl 145\1999 in modo da consentire un

adeguato riparto di competenze tra tribunale in composizione collegiale e in

composizione monocratica e dunque la corretta attribuzione tra gli uffici che è

arrivata in modo definitivo con l’approvazione della l 479\1999, divenuta

operativa con l’inizio dell’anno 2000 e che in primis ha ridotto a dieci anni di

reclusione il limite entro cui i delitti potranno essere oggetto di cognizione

davanti all’organo monocratico o reati ben determinati (es. reati in materia di

stupefacenti, taluni hanno anche pena fino a 30 anni); sul piano della

regolamentazione del procedimento si deve invece segnalare la previsione

dell’udienza preliminare a fronte di tutte le ipotesi di reato che non possono

essere oggetto della citazione diretta a giudizio da parte del pm e sono

predisposti dunque due moduli processuali, di cui il primo tendenzialmente

omogeneo a quello ordinario e l’altro determinato dall’assenza dell’udienza

preliminare con la possibilità per il pm di mandare direttamente l’imputato a

giudizio.

Le norme applicabili al procedimento davanti al tribunale in

composizione monocratica

Come norma d’apertura (art 549) è presente il rinvio alle norme

contenute negli altri libri del cpp in quanto applicabili, per cui si potrà applicare

quanto previsto per il procedimento ordinario se:

1. la materia non è regolata negli artt 550-559 per cui dovranno

essere considerate le disposizioni d’attuazione relative al

procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica ed

alle sezioni distaccate del tribunale come pure le disposizioni in

tema di organizzazione giudiziaria, tra le quali meritano specifica

attenzione quelle sui magistrati onorari della procura, sui delegati

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del procuratore e sui giudici onorari di tribunale e sezioni

distaccate;

2. si deve verificare la compatibilità delle previsioni de quibus con la

struttura del procedimento davanti al tribunale in composizione

monocratica con riguardo alla citazione diretta in giudizio.

La riforma ha operato nel senso di non operare un rinvio esplicito alle

norme generali per non ingenerare confusione, ad eccezione dell’indicazione

dell’applicabilità dell’art 415bis per i procedimenti nei quali il pm utilizza la

citazione diretta, anche se è una disposizione superflua.

La fase delle indagini preliminari

Non essendo presente alcuna norma specifica rispetto a tale fase ne

consegue che non sono riscontrabili differenze tra i procedimenti attribuiti al

tribunale in composizione collegiale e in composizione monocratica, anche se

nella disciplina originaria erano presenti significative differenze rispetto alle

norme del libro V in tema di incidente probatorio (cosa che è rimasta tutt’oggi

per cui può essere utilizzato solo in casi eccezionali), durata e chiusura delle

indagini preliminari. Con riferimento all’incidente probatorio, il carattere

dell’eccezionalità si riferisce all’urgenza nell’assunzione della prova che non si

esauriva nella semplice non rinviabilità a dibattimento, dovendosi prima

verificare se non era possibile soddisfare tale situazione mediante l’immediata

emissione del decreto di citazione a giudizio: con questa disciplina non era

stato congegnato un meccanismo davvero in grado di ridurre

significativamente le ipotesi applicative dell’istituto e si prevedeva

un’alternativa all’incidente probatorio irrispettosa delle esigenze di

tempestività nell’acquisizione della prova dovute al necessario rispetto dei

termini a difesa e di costituzione delle parti, è necessario però aggiungere che

la mancanza di decisioni sull’argomento suggerisce che nella prassi applicativa

l’uso dell’incidente probatorio non è frequente; non può quindi che essere

accolta con favore la scelta del legislatore che ha abbandonato l’idea di dover

regolamentare in maniera parzialmente autonoma detto istituto.

Anche all’interno della disciplina della durata delle indagini preliminari il

pm doveva compiere le indagini in un termine di 4 mesi anziché 6, con sole due

proroghe, ciascuna per un tempo non superiore a quattro mesi, solo che non

necessariamente i procedimenti davanti al tribunale in composizione

monocratica hanno dei tempi di indagine minori o meno complessi di quelli del

tribunale collegiale pertanto già nel 1990 sono stati eliminati gli aspetti che si

ponevano in deroga al regime dell’estensione temporale delle indagini

preliminari, per cui:

1. il termine ordinario di durata delle indagini è fissato in sei mesi (il

termine di un anno non si applica in quanto è disciplinato per i

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delitti ex art 407 2c, che sono di competenza del tribunale

collegiale);

2. la proroga ha un rinvio non integrale perché si provvede con

ordinanza in camera di consiglio senza intervento di pm e difensori

anziché la fissazione di un’udienza camerale ex art 406 5c, dove

era prevista solo per i procedimenti collegiali e che prevedeva un

contraddittorio con le parti; è necessario dire che il contraddittorio

c’è, ma è di tipo cartolare in quanto alle parti è permesso

presentare memorie entro 5 giorni dalla notificazione dell’udienza;

3. il termine massimo, compreso di proroghe, è stabilito in 18 mesi

anche se potrà arrivare fino a 2 anni se le investigazioni sono

particolarmente complesse.

Su tali termini è possibile riscontrare una certa irragionevolezza

riguardante la differenziazione della disciplina fondata in larga misura su

semplici diversità di cornici edittali e non legata ad una concreta verifica in

ordine alla maggiore o minore complessità dell’accertamento che avrebbe fatto

risultare praticabile una prospettiva di allargamento degli spazi operativi della

polizia, legittimata a svolgere entro un ragionevole arco di tempo le indagini in

tutti i casi in cui la fattispecie non fosse particolarmente difficile da accertare.

L’eliminazione dei contenuti derogatori riguardanti la fase delle indagini

preliminari ha consentito inoltre di superare un’ulteriore situazione di disparità

di trattamento ingiustificata, al riguardo, occorrerà dire che originariamente le

differenze rispetto al rito ordinario erano molto più marcate in quanto se il

giudice riteneva di non dover accogliere la richiesta di proroga disponeva

dell’uni

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A.A. 2013-2014
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SSD Scienze giuridiche IUS/16 Diritto processuale penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher marle_khaleesi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto processuale penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Marzaduri Enrico.