Diritto processuale civile - l'esecuzione per consegna o rilascio
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strumenti, nel senso della modificabilità e revocabilità del provvedimento sia
originario e sia modificato dalla Corte e, d'altra parte, la modificabilità da parte
dell'istruttore del provvedimento ancorché modificato dalla Corte d'appello,
stante la sua intrinseca provvisorietà.
Ancora con riguardo a questi provvedimenti, va tenuta presente la possibilità
(inclusi eventuali appositi differimenti) di assumere mezzi di prova ad istanza
di parte o d'ufficio nonché dell'audizione di figli minori; possibilità che detto
nuovo articolo prevede con riguardo a tutti i provvedimenti di cui all'art. 155
c.c., anche in via provvisoria.
D'altra parte, il nuovo legislatore si è dato carico dell'eventualità che, durante il
corso del procedimento di separazione, sorgano controversie tra i genitori in
ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità dell'affidamento. Al
riguardo, il nuovo art. 709 ter dispone che su tali controversie è competente il
giudice del procedimento in corso; aggiungendo poi - con riferimento
all'ipotesi che le suddette controversie sorgano quando i coniugi sono già in
stato di separazione - che per quelle controversie come, più in generale, per
quelle concernenti le modifiche delle condizioni di separazione previste
dall'art. 710 c.p.c., è competente il giudice del luogo di residenza del minore
(ovviamente, se di minore si tratta).
Per tutte queste ipotesi, il 2 comma di questo nuovo arto 709 ter, dispone che
<<.a seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti
opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino
pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità
dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche
congiuntamente: 1) ammonire ti genitore inadempiente; 2) disporre il
risarcimento dei danni; a carico di uno dei genitori; nei confronti del minore; 3)
disporre ti risarcimento dei danni; a carico di uno dei genitori, nei confronti
dell'altro; 4) condannare ti genitore inadempiente al pagamento di una sanzione
amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000
euro a favore della Cassa delle ammende. I provvedimenti assunti dal giudice
del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari», ossia l'appello e il
ricorso per cassazione ove il provvedimento abbia la più appropriata forma
della sentenza, mentre nel caso di pronuncia con ordinanza si dovrebbe
ipotizzare solo la revocabilità e la modificabilità.
c) Lo svolgimento del giudizio di separazione giudiziale successivo all' udienza
presidenziale. 1'ultrattività dell'ordinanza presidenziale
Il giudizio di separazione giudiziale prosegue, dopo la pronuncia dell'ordinanza
presidenziale, con le forme del giudizio ordinario di cognizione alla cui
disciplina la fase «speciale» del procedimento si aggancia con le modalità che
ci accingiamo ad esaminare e che la nuova legge ha finalmente dettato, così
consentendo di superare gravi divergenze interpretative che avevano diviso
dottrina e giurisprudenza.
Preliminarmente alla formulazione di tali modalità la nuova legge (nel nuovo
art. 709) riproponendo il testo precedente (che si riteneva implicitamente
abrogato per effetto dell'art. 23 L. div.), riconferma l'onere di notificazione
dell'ordinanza presidenziale al coniuge convenuto non comparso, cosi
eliminando ogni dubbio rispetto al momento nel quale il coniuge convenuto
deve assolvere al suo onere di costituzione, come si vedrà tra poco.
«L'ordinanza con la quale il presidente fissa l'udienza di comparizione davanti
al giudice istruttore - dispone dunque il l comma dell'art. 709 - è notificata a
cura dell'attore al convenuto non comparso, nel termine perentorio stabilito
nell’ordinanza stessa, ed è comunicata al pubblico ministero», poi precisando,
nel 2° comma che «tra la data dell'ordinanza ovvero tra la data entro cui la
stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell'udienza
di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all'art. 163-bis
ridotti a metà».
Segue poi, nel 3 comma, una serie di disposizioni palesemente ispirate da un
preciso criterio orientatore: quello di attribuire alla prima udienza davanti
all'istruttore il ruolo e la funzione che, nel procedimento ordinario spettano alla
prima udienza ora unificata, facendo in modo che a tale udienza entrambe le
parti giungano dopo aver integrato o comunque svolto le proprie difese, come
nel procedimento ordinario.
Con riguardo al ricorrente, la norma dispone che «con l'ordinanza il presidente
assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria
integrativa, che deve avere il contenuto di cui all'art, 163,3° comma, numeri 2),
3), 4), 5), 6). Ed è con questa memoria che l'attore completa e realizza la sua
costituzione.
Con riguardo al coniuge convenuto, lo stesso comma dispone che con
l'ordinanza il presidente assegna ad esso termine «per la costituzione in
giudizio ai sensi degli artt. 166 e 167, 1 ° e 2° comma, nonché per la
proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili
d'ufficio. L'ordinanza deve contenere l'avvertimento al convenuto che la
costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all'art. 167, 1
° e 2 ° comma, e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le
eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio».
La equiparazione della prima udienza innanzi all'istruttore alla prima udienza
di trattazione del procedimento ordinario è poi completata dallo comma dell'art.
709 bis ove si dispone senz'altro che: «all'udienza davanti al giudice istruttore
si applicano le disposizioni di cui agli artt. 180 e 183, commi l, 2, e dal 4° al
10°, Si applica altresì l'art, 184».
È il caso di rilevare la grande importanza di questa innovazione legislativa: si
tratta dell'atteso completamento della disciplina della fase introduttiva nella
quale si concentrano le specialità di questo procedimento, nella direzione
auspicata e proposta dalla dottrina prevalente e da qualche tempo fatta propria
anche dalla Cassazione. Più precisamente, nella direzione che lascia all'udienza
presidenziale la funzione parzialmente «precontenziosa» finalizzata al tentativo
di conciliazione e ai provvedimenti presidenziali per concentrare nella prima
udienza davanti all'istruttore gli adempimenti e i termini di costituzione del
coniuge convenuto, come nel giudizio ordinario. Ciò con l'implicito rifiuto
dell'orientamento che ispira il c.d, «rito ambrosiano» nel suo prediligere la
celerità del giudizio a scapito della ponderata valutazione delle possibilità di
conciliazione e/o di ripiego verso la separazione consensuale.
Da questa nuova disciplina risulta dunque che il legislatore,
contemporaneamente al mutamento della disciplina del procedimento ordinario
nel senso del superamento della scissione tra udienza di prima comparizione e
prima udienza di trattazione e così tutto concentrando nell'unica prima udienza
davanti all'istruttore, ha precisato con assoluta chiarezza che l'innesto della fase
«speciale» del procedimento di separazione nella disciplina del procedimento
ordinario avviene in occasione della prima udienza davanti all'istruttore,
eliminando ogni dubbio sul dato che:
la costituzione dell'attore, iniziata col deposito del ricorso, si completa con la
memoria integrativa di cui al 3° comma dell'art. 709 che, insieme col ricorso,
postula - anche agli effetti delle preclusioni e relative decadenze - tutti i
requisiti che, nel procedimento ordinario sono propri dell'atto di citazione;
mentre la costituzione del convenuto deve avvenire con la comparsa di risposta
(rispetto alla quale la memoria difensiva di cui al 3 ° comma dell'art. 706
costituisce solo una facoltativa e non esaustiva anticipazione), da redigersi con
le medesime modalità e negli stessi termini previsti dagli artt. 166 e 167 per il
procedimento ordinario, anche agli effetti delle preclusioni e delle conseguenti
decadenze, nonché con i medesimi avvertimenti previsti nel procedimento
ordinario.
Per quanto infine concerne gli adempimenti che la previgente disciplina
prevedeva per l'udienza di prima comparizione è fuori dubbio che, nel nuovo
sistema di unica prima udienza, a tali adempimenti l'istruttore dovrà assolvere
in detta prima udienza; ciò che peraltro non impedisce che i rilievi di eventuali
vizi che inficiano la regolarità del procedimento possano e debbano essere
compiuti dal presidente nell'udienza presidenziale, analogamente a quanto si è
veduto per l'eventuale rilievo dell'incompetenza.
Prima che la L. 80/2005 colmasse la carenza di disciplina sulle modalità di
aggancio della fase «speciale» al procedimento ordinario, tale carenza aveva
dato luogo, come sopra accennato, a gravi divergenze interpretative; in sintesi
alla contrapposizione tra l'orientamento che, lasciando all'udienza presidenziale
la sua natura precontenziosa finalizzata al tentativo di conciliazione,
riconduceva il suddetto aggancio alla prima udienza innanzi all'istruttore,
riferendo ad essa il termine di costituzione del convenuto (ritenendo l'attore già
costituito col deposito del ricorso); e un contrapposto orientamento (il c.d. rito
ambrosiano) che invece, privilegiando le ritenute esigenze di celerità anche con
riguardo all'udienza presidenziale, sosteneva che già a questa udienza si
dovessero riferire i termini di costituzione, con l'implicita configurazione di
decadenza (a carico del convenuto non comparso in quell'udienza) in realtà
priva di fondamento positivo.
Così riportato nel solco del giudizio ordinario, il giudizio si svolge secondo le
regole ordinarie, tenendo presente che, come già ricordato, è in questa fase che
deve avvenire l'intervento del P,M.
Durante il corso del giudizio, i rapporti tra i coniugi sono disciplinati, come si è
già veduto, dall'ordinanza presidenziale, la quale, come pure si è veduto, può
essere revocata o modificata dal giudice istruttore (art. 709, ultimo comma che
nel testo modificato dalla L. 80/2005, non condiziona più la revoca e la
modifica al mutamento delle circostanze). I fatti successivi all'ordinanza
presidenziale non rilevano agli effetti della pronuncia definitiva, ed in
particolare agli effetti dell'addebito se non posseggono autonoma incidenza
causale sull'improseguibilità del rapporto.
Se, nel corso del giudizio, i coniugi decidono di separarsi consensualmente,
come ora è previsto espressamente dall'art. 3 n. 2 L. div., non sembra più
necessario che il g.i. li rimetta innanzi al presidente per il tentativo di
conciliazione: e ciò perché quest'ultima disposizione si riferisce (per il decorso
del triennio che condiziona la proponibilità della domanda di divorzio), alla
comparizione dei coniugi dinnanzi al presidente, così presupponendo che detta
comparizione sia una sola; ne discende che il consenso può essere raccolto
dallo stesso g.i.
Dopo l'eventuale istruzione e la rimessione della causa al collegio (e ricordando
che questo giudizio è tra quelli la cui decisione è riservata - dall'art. 50 bis n. 1
(per l'obbligatorietà dell'intervento del P.M.) - appunto al collegio), il giudizio
si chiude con una sentenza, la cui provvisoria esecutività nella parte in cui
provvede sulle questioni di natura economica (art. 4, Il ° comma L. divo reso
applicabile dall'art. 23 L. 74/1987) è ora superata dalla generalizzata esecutività
delle sentenze di primo grado (mentre chi negasse l'operatività attuale dell'art.
23 neppure in via analogica, non potrebbe che ritenere applicabile
-limitatamente alla sentenza definitiva -la disciplina dell'appello nel
procedimento ordinario). Va inoltre tenuto presente che per effetto del nuovo
3° periodo che la L. 263/2005 ha aggiunto all'art. 709 bis, è prevista la
rimessione al collegio per la pronuncia della sentenza non definitiva di
separazione, sentenza impugnabile solo con l'appello immediato in camera di
consiglio (e con prosecuzione per le altre pronunce).
Con l'instaurazione del giudicato si introduce lo stato di separazione giudiziale,
eventualmente accompagnato dalla dichiarazione che la separazione è
«addebitabile» all'uno o all'altro coniuge o ad entrambi. La sentenza detta
anche una disciplina definitiva del regime della famiglia con riguardo alla prole
(il cui affidamento deve essere disposto «con esclusivo riferimento all'interesse
morale e materiale di essa»; e preferibilmente ad entrambi: art. 155 nuovo testo
c.c.), all'eventuale diritto al mantenimento del coniuge al quale la separazione
non sia addebitabile e sempre che egli non abbia adeguati redditi propri (art.
156 nuovo testo c.c.), all'eventuale assegnazione in uso della casa familiare
(art. 155 quater c.c.), nonché, oltre che sull' eventuale addebito, con riguardo
all' eventuale divieto alla moglie dell'uso del cognome del marito (art. 156 bis
c.c.), e agli eventuali provvedimenti a favore dei figli maggiorenni (art. 155
quinquies c.c.). In forza dell'art. 191 c.c., la sentenza di separazione determina -
quando passa in giudicato e con effetto ex nunc -lo scioglimento della
comunione legale.
La disciplina contenuta nella sentenza potrà, in seguito, essere mutata
(nonostante il giudicato che copre la sentenza) in applicazione della regola
generale per cui si possono sempre far valere i fatti successivi al giudicato.
Anzi, a questo riguardo, la legge prende in esplicita considerazione
l'eventualità della modificazione, disponendo (art. 710) che tale modificazione
può essere chiesta e concessa con le forme del procedimento in camera di
consiglio. Questo significa che, per ottenere tale modificazione, si deve
introdurre - dopo il passaggio in giudicato - un nuovo giudizio per mezzo di un
ricorso al tribunale in camera di consiglio. Tutto ciò, a prescindere della pura e
semplice «cessazione degli effetti della separazione» prevista, per l'ipotesi della
riconciliazione, dall'art. 157 c.c. con la conseguente possibilità di chiedere
nuovamente la separazione «soltanto in relazione a fatti o comportamenti
intervenuti dopo la riconciliazione» (art. 157, 2° comma c.c.), nonché a
prescindere dalla cessazione della materia del contendere da dichiararsi a
seguito della morte di uno dei coniugi.
Oltre che con la sentenza, il giudizio può chiudersi, come ogni altro giudizio di
cognizione, a seguito dell'estinzione per inattività delle parti o per rinuncia.
Accade, piuttosto di frequente, che i coniugi, dopo l'udienza presidenziale,
trascurino di costituirsi o comunque di comparire alle udienze e lascino che il
giudizio entri nello stato di quiescenza previsto dagli artt. 307 e 309 c.p.c., che
conduce all'estinzione il che avverrà tanto più facilmente, quanto più il
presidente avrà saputo, nella pronuncia dei suoi provvedimenti provvisori,
adeguarsi alle giuste esigenze della realtà, in modo che entrambi i coniugi
considerino giusto, o quanto meno accettabile, il regime introdotto con questi
provvedimenti e che può essere protratto, come stiamo per vedere.
Con riguardo a questa eventualità, e sulla base della considerazione che la fase
più propriamente contenziosa del giudizio tra i coniugi è sempre dannosa (per
l'inevitabile reciproca animosità) ai coniugi stessi e soprattutto alla prole, la
legge (art. 189 disp. atto c.p.c., 2° comma), quasi a favorire la desistenza dalla
prosecuzione del giudizio, stabilisce che l'ordinanza presidenziale conserva la
sua efficacia anche dopo l'estinzione del processo finché non sia sostituita con
altro provvedimento emesso a seguito di nuova presentazione di altro ricorso.
In tal modo il regime di separazione provvisoria si può protrarre
indefinitamente.
Quanto, infine, all'ipotesi che nella pendenza del giudizio, si verifichi la morte
di uno dei coniugi, la giurisprudenza suole ricorrere alla dichiarazione della
cessazione della materia del contendere, salvo poi a vederne le diverse
modalità, possibilità ed effetti nei diversi gradi di giudizio e come può
coordinarsi o sostituirsi (o essere sostituita) con l'eventuale previa interruzione,
comunque esclusa in cassazione.
Il procedimento di separazione consensuale
Il procedimento di separazione consensuale si articola in due fasi, la prima
delle quali - quella presidenziale - è disciplinata in modo quasi identico alla
fase presidenziale del procedimento di separazione giudiziale.
Quanto alla competenza per materia del tribunale, il codice non dice nulla
rispetto alla competenza per territorio, mentre la norma dettata con riguardo
alla separazione giudiziale (1'art. 706, l comma) fa riferimento alla residenza o
al domicilio del coniuge convenuto. Poiché nella separazione consensuale non
c'è un coniuge propriamente convenuto al luogo dell'ultima residenza comune
dei coniugi o, in mancanza (in quanto la domanda può essere proposta da
entrambi i coniugi, e anche quando è proposta da uno solo non è proposta
contro l'altro), nella mancanza di un'ultima residenza comune dei due coniugi,
non resterebbe che concludere che è competente il tribunale del luogo della
residenza o del domicilio del coniuge che non propone la domanda, mentre nel
caso che la domanda sia proposta da entrambi, si ha una competenza facoltativa
in capo ai tribunali dei luoghi di residenza e di domicilio di entrambi i coniugi
(qualora siano diversi).
La legittimazione ad agire per la separazione consensuale spetta a ciascuno dei
due coniugi o anche ad entrambi congiuntamente. Con riguardo alla
legittimazione processuale non abbiamo che da richiamarci a quanto detto a
proposito della separazione giudiziale. Quanto all'interesse ad agire, si deve
invece tener presente che qui non soltanto non si pretende di far valere le
conseguenze di un comportamento lesivo neppure sotto il profilo marginale
dell' «addebitabilità» della separazione, ma neppure si vuol far valere un
diritto; ciò che sta in relazione col fatto che il procedimento in discorso non ha
caratteristiche di cognizione, ma di giurisdizione volontaria. In realtà, la
ragione della domanda qui sta semplicemente nel fatto che i coniugi hanno
raggiunto o ritengono di poter raggiungere l'accordo sulla separazione e sulle
relative modalità, e perciò chiedono di manifestarlo nelle forme che la legge
considera rilevanti.
La domanda si propone con ricorso al tribunale che, come abbiamo già
accennato, può essere sottoscritto da uno o da entrambi i coniugi (art. 711, l e 2
comma), In tale ricorso possono essere già contenute le modalità
(eventualmente già concordate) della separazione, ma è comunque sufficiente
l'asserzione che si è raggiunto l'accordo o che si ritiene che esso possa essere
raggiunto.
Il meccanismo d'inoltro del ricorso e della fissazione dell'udienza presidenziale
è identico a quello veduto per la separazione giudiziale. Va solo precisato che
la notificazione all'altro coniuge del ricorso e del decreto (steso in calce) che
fissa l'udienza innanzi al presidente è necessaria soltanto quando il ricorso è
presentato da uno solo dei due coniugi (art. 711, 2 comma).
L'udienza presidenziale si svolge come nel caso della separazione giudiziale.
Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della
conciliazione (art. 708, 2 comma). Se invece la conciliazione non riesce, «si dà
atto, nel processo verbale, del consenso dei coniugi alla separazione e delle
condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole» (art. 711, 3 comma).
A differenza di quanto accade nel procedimento di separazione giudiziale che,
proprio dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, inizia la sua fase
propriamente contenziosa, il procedimento di separazione consensuale è ormai
giunto quasi al suo epilogo.
Il «quasi» è riferito al fatto che occorre ancora l' omologazione del tribunale.
Occorre ancora cioè quell'ulteriore breve fase - nelle cui more il consenso non
può essere revocato unilateralmente - che conduce alla pronuncia
del1'omologazione, da effettuarsi - così dispone l'art. 711, 4 comma - «dal
tribunale in camera di consiglio su relazione del presidente». Ed è appunto
questa fase che è più propriamente caratterizzata dalle forme proprie della
giurisdizione volontaria.
L'omologazione è in sostanza un controllo (di legittimità; ma anche di
opportunità) intorno alle modalità con le quali i coniugi hanno deciso di
separarsi, e che sono riportate sul processo verbale di separazione. Tale
controllo si effettua, senza bisogno di alcuna particolare istanza da parte dei
coniugi, mediante la trasmissione degli atti al tribunale riunito in camera di
consiglio, ossia senza la partecipazione delle parti e tanto meno dei difensori,
ma previa trasmissione degli atti al P.M. (art. 70, n. 2 e art. 738).
Il presidente riferisce al tribunale (ossia al collegio in camera di consiglio; e
questo decide di omologare oppure di non omologare, senza cioè poter
modificare di sua iniziativa alcuna delle clausole relative alla modalità della
separazione. Il possibile rifiuto dell'omologazione è ora espressamente previsto
dall'arto 158 c.c., ossia, più precisamente, dal suo 2 comma, introdotto dalla L.
151/1975, ove si stabilisce che «quando l'accordo dei coniugi relativamente
all'affidamento o al mantenimento dei figli è in contrasto con l'interesse di
questi, il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da
adottare nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare
allo stato l'omologazione». Le condizioni di separazione sono quelle - e
soltanto quelle - che risultano dal verbale di omologazione o che sono in questo
espressamente richiamate; eventuali patti modificativi non assoggettati al
controllo del tribunale sono inefficaci.
L'art. 711, dopo aver disciplinato che la separazione consensuale acquista
efficacia con l'omologazione, non precisa quando il decreto di omologazione
acquista, a sua volta, efficacia. Si deve pertanto ricorrere alla disciplina dettata
in sede di «disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio», dalla
quale emerge che il provvedimento di cui trattasi è soggetto a reclamo innanzi
alla Corte d'appello sia ad opera delle parti che ad opera del P.M. (artt. 739 e
740) entro dieci giorni dalla comunicazione; che il decreto acquista efficacia
quando sono decorsi i termini per il suddetto reclamo (art. 741) e che il
medesimo decreto è soggetto a revoca (art. 742), escluso, peraltro, che questa
revoca possa bastare per far cessare lo status di separazione. Quest'ultima
caratteristica - con la conseguente esclusione dell'idoneità al giudicato - è
quella più tipicamente rivelatrice della natura di giurisdizione volontaria del
provvedimento (e dell'intero procedimento).
Con l'acquisizione dell'efficacia del decreto di omologazione, i due coniugi
acquisiscono lo stato di coniugi separati, col conseguente reciproco obbligo di
osservare le condizioni concordate, rispetto al cui adempimento il decreto di
omologazione funge da titolo esecutivo.
La modificabilità del regime di separazione è fondata su un atto di consenso tra
i coniugi, mutabile col mutare delle circostanze, sicché i coniugi potranno
sempre accordarsi su un nuovo e diverso regime di separazione consensuale, da
introdursi con le forme or ora vedute. E’prevista all'art. 711, ultimo comma
c.p.c. per i coniugi separati consensualmente la facoltà di chiedere la
modificazione delle condizioni di separazione, attraverso un giudizio di
cognizione. Nessuna influenza è determinata sul giudizio di separazione
dall'eventuale pendenza di un giudizio di nullità del matrimonio (civile o
concordatario) poiché tra i due giudizi non sussiste un rapporto di
pregiudizialità idoneo a fondare la sospensione del giudizio di separazione,
IL GIUDIZIO DI DIVISIONE
Il procedimento di divisione o di scioglimento delle comunioni
L'oggetto del giudizio di divisione o, di scioglimento delle comunioni, è
duplice: 1) l'accertamento del diritto che ha ogni partecipante ad una
comunione (anche ereditaria), allo scioglimento della comunione stessa, così
come espressamente prevedono gli artt. 713 e 1111 del c.c. e, 2) l'attuazione di
quel diritto nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione.
In correlazione con le caratteristiche proprie di questo complesso e mutevole
oggetto sostanziale, l'ordinamento processuale appronta per il procedimento in
discorso, una disciplina capace di adattarsi alle diverse esigenze e cioè non
univoca. Da un lato, infatti, configura l'avvio ad una prima possibilità di
soluzione del giudizio con le forme proprie del processo di cognizione,
disponendo che esso è introdotto con un atto di citazione, è istruito e diretto dal
giudice istruttore (che poi decide in veste di giudice monocratico), con
sentenza soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione ed idonea a passare in
giudicato. Dall'altro lato non esita a stabilire che il giudizio in discorso, può,
una volta introdotto, svolgersi e concludersi con forme diverse, anche di tipo
non contenzioso, in relazione ai diversi possibili atteggiamenti delle parti. Più
precisamente: mentre l'impiego integrale delle forme del processo di
cognizione viene riservato all'eventualità che sorgano contestazioni sul diritto
alla divisione (o comunque venga richiesto l'accertamento di tale diritto) o si
controverta sui criteri e sulle modalità concrete della sua attuazione, la legge si
preoccupa di aprire la via a soluzioni più sollecite ogni qual volta si delinea la
possibilità di una divisione concordata o anche semplicemente non contestata.
L'organo che ha il compito di effettuare le verifiche intorno a queste possibilità
è il giudice istruttore, al quale la legge affida, fin dalla prima udienza, il
compito di rilevare l'esistenza o meno di contestazioni sul diritto alla divisione
(art. 785 c.p.c.), di riscontrare cioè se uno o più dei comproprietari nega al
richiedente tale diritto in quanto nega ad esempio la comproprietà o la
partecipazione ad essa del richiedente o l'entità della sua quota. In questa
ipotesi, sorge una questione che è pregiudiziale rispetto all'attuazione della
divisione e che rientra tra quelle questioni che l'art. 187, 2 comma, chiama
preliminari di merito e con riferimento alle quali il giudice istruttore - tenuto
presente che il nuovo art. 50 bis c.p.c. non include più le cause di divisione tra
quelle riservate alla decisione del collegio effettua la rimessione (totale) in
decisione in applicazione dell'art. 187, che è per l'appunto richiamato dall'art.
785.
Il giudice monocratico, a seguito di questa rimessione, pronuncia sentenza che
è «definitiva» se dichiara l'insussistenza del diritto alla divisione e «non
definitiva» nel caso opposto. Se invece il giudice istruttore riscontra che il
diritto alla divisione non è contestato, pronuncia ordinanza con la quale
dispone la divisione, salva, s'intende, l'eventualità di un'istruzione che potrebbe
anche riguardare possibili domande cumulate e/o riconvenzionali. Ed allo
stesso modo provvede l'organo decidente dopo aver respinto con sentenza non
definitiva l'eventuale contestazione circa il diritto alla divisione.
Le operazioni di divisione possono essere effettuate o direttamente dal giudice
istruttore, oppure essere, da quest'ultimo, delegate ad un notaio, anche nel corso
di esse (art. 786 c.p.c.).
In questa fase sono presenti alcuni caratteri assimilabili a quelli della fase
conclusiva dell'espropriazione, ciò che induce taluno ad attribuire natura
esecutiva a questa fase del processo divisorio.
La legge disciplina distintamente le modalità con le quali il giudice istruttore,
da un lato, e il notaio, dall'altro, fanno emergere la possibilità di una divisione
concordata (o semplicemente non contestata) da porre a base della eventuale
definizione non contenziosa del giudizio. Ma poiché ciò presuppone,
ovviamente, la concreta predisposizione dei lotti, la legge incomincia col
disporre genericamente che il giudice istruttore (o il notaio) predispongono un
«progetto di divisione» e con l'indicare il modo di superare il possibile ostacolo
determinato dalla eventuale necessità (per formare i lotti) di vendere uno o più
dei cespiti mobiliari o immobiliari appartenenti al patrimonio da dividere. Per
questa eventualità, gli artt. 787 e 788 c.p.c. dispongono che a tali vendite si
procede con le forme della vendita all'incanto se non sorge controversia sulla
necessità della vendita, mentre nel caso contrario, o comunque se c'è pretesa
all'intero, la vendita non può essere disposta se non con sentenza dell'organo
decidente.
Una volta superati questi eventuali ostacoli, il giudice istruttore o il notaio
predispongono il progetto di divisione sul cui fondamento la legge cerca di
favorire la definizione non contenziosa del giudizio.
Se tale progetto è stato predisposto dal giudice istruttore, questi - così dispone
l'art. 789, l comma - lo «deposita in cancelleria e fissa con decreto l'udienza di
discussione del progetto, ordinando la comparizione dei condividenti e dei
creditori intervenuti». Il 2 comma del medesimo articolo aggiunge poi che «il
decreto è comunicato alle parti» e il 3° comma prosegue disponendo che «se
non sorgono contestazioni il giudice istruttore, con ordinanza non impugna
bile, dichiara esecutivo il progetto, altrimenti provvede a norma dell'art. 187».
In quest'ultima ipotesi, il provvedere a norma dell'art. 187 (per la rimessione in
decisione, previa l'eventuale istruzione) non è che una logica deduzione tratta
dal rilievo della presenza di contestazioni che rendono inevitabile la soluzione
contenziosa. Nel caso, invece, dell' «assenza di contestazioni», la conseguente
ordinanza che dichiara esecutivo il progetto (integrata dalle disposizioni
necessarie per l'estrazione a sorte dei lotti, secondo il disposto dell'ultimo
comma del medesimo art. 789) offre lo strumento per la soluzione non
contenziosa, resa possibile, appunto, dalla mancanza di contestazioni. Si tratta
di una soluzione che non è contenziosa sia per la forma del provvedimento (che
è quella di un'ordinanza, non idonea, per se stessa, al giudicato e non impugna
bile con mezzi processuali) e sia anche, e correlativamente, per il contenuto,
che è semplicemente quello del prendere atto della suddetta assenza di
contestazioni sul progetto. Certo, «assenza di contestazioni» non equivale ad
accordo; ma è tuttavia una situazione che, sul presupposto della previa
osservanza delle forme obbiettivamente idonee ad instaurare un possibile
contraddittorio (ossia la comunicazione alle parti del decreto che fissa l'udienza
di discussione del progetto) è, dalla legge, ritenuta sufficiente per fondare la
definizione non contenziosa del giudizio di divisione.
La soluzione non contenziosa del giudizio è invece fondata senz' altro su un
accordo, nell'ipotesi che l'incarico di dirigere le operazioni di divisione sia
affidato al notaio. In tal caso se il progetto di divisione è predisposto dal notaio
occorrerà il consenso espresso di tutti i condividenti nel processo verbale che
verrà redatto, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo il notaio
redigerà processo verbale che trasmetterà al giudice istruttore affinché questi
disponga la fissazione della udienza di comparizione e quindi emetta i
provvedimenti ex art. 187, ossia la rimessione previa eventuale istruzione.
Infine, si procederà all’estrazione a sorte dei lotti in base ad ordinanza del
giudice istruttore o sentenza passata in giudicato.
IL PROCEDIMENTO DI CONVALIDA DI SFRATTO
E’ una forma speciale di procedimento di cognizione, e più precisamente di
condanna. Anch'esso è caratterizzato, dall'esigenza di conseguire rapidamente
il titolo esecutivo nonché, dal punto di vista strutturale, dalla eventuale
sommarietà della cognizione. Appartiene alla categoria degli «accertamenti con
prevalente funzione esecutiva» e agli accertamenti sommari.
Solo che qui la sommarietà, anziché essere determinata dalla superficialità
della cognizione, è determinata o senz' altro e direttamente dalla acquiescenza
o dalla incompletezza della cognizione..
La funzione consta nell'esigenza di ovviare alle lungaggini del procedimento
ordinario di cognizione, per conseguire rapidamente il titolo esecutivo
attraverso un determinato accorgimento che faccia salvi i diritti del
contraddittorio. Questo accorgimento è tuttavia, qui, notevolmente diverso, in
relazione anche al diverso diritto che si fa valere: il rilascio di un immobile a
favore del locatore o del concedente in conseguenza della fine o della
risoluzione del contratto di locazione, di mezzadria, di affitto o di colonia.
Non è richiesto alcun tipo particolare di prova; inoltre la distinzione in due fasi
non è qui così netta ed evidente come nel procedimento ingiuntivo. Più
precisamente: mentre nel procedimento ingiuntivo c'è una prima fase del
tutto senza contraddittorio, ossia che si chiude con un provvedimento
pronunciato inaudita altera parte; alla quale fase può seguire, ed anche non
seguire, una seconda fase a contraddittorio pieno e da introdursi con atto
autonomo; qui manca totalmente la fase senza contraddittorio, poiché qui (e
salvo solo il caso dell'opposizione c.d. tardiva) l'atto introduttivo è uno solo
e già idoneo ad instaurare il contraddittorio, trattandosi di un atto di
citazione.
Col procedimento in titolo si può far valere soltanto il diritto al rilascio di un
immobile a favore del locatore o del concedente in forza di un contratto di
locazione, di affitto, di mezzadria o di colonia, oppure in forza di un contratto
di locazione d'opera avente come corrispettivo (totale o parziale) il godimento
di un immobile.
Tuttavia il diritto al rilascio a favore del locatore può essere (facoltativamente)
fatto valere con le forme di questo procedimento soltanto nei casi
espressamente previsti, mentre in tutti gli altri casi si applicano le norme del
giudizio ordinario in materia locatizia con le forme del rito locatizio salva una
residua marginale applicabilità di talune norme procedimentali contenute nella
L. 392/1978 detta dell'«equo canone».
D'altra parte, il diritto al rilascio può essere fatto valere anche in taluni casi in
cui ciò non sarebbe ancora possibile secondo le regole comuni del diritto
sostanziale e processuale. Più precisamente: mentre, secondo le norme
sostanziali in tema di contratti, e quelle che più specificamente riguardano i
contratti sopra ricordati, il diritto al rilascio sorge solo quando il contratto è
scaduto oppure quando si è verificato un fatto che dà luogo alla risoluzione
l'azione nelle forme speciali di cui trattasi è concessa anche prima della
scadenza ed indipendentemente da un fatto idoneo alla risoluzione. In termini
processuali, ciò significa che l'azione di condanna, sempre con queste forme
speciali, è concessa anche quando, mancando ancora l'attualità del diritto al
rilascio, manca pure, a maggior ragione, la sua violazione. E poiché l'azione è
tuttavia concessa, ciò implica un allargamento eccezionale dell'interesse ad
agire. Un allargamento determinato dal fatto che la legge ha ravvisato
l'opportunità che il futuro creditore del rilascio possa procurarsi il titolo
esecutivo anche prima della scadenza, per poter subito (ossia al momento della
scadenza) far luogo all'esecuzione, nel caso probabile di mancato rilascio in
quel momento.
Un'ulteriore particolarità del procedimento in esame, con riguardo ancora
all'ipotesi dell'azione prima della scadenza è la particolarità per cui l'atto
introduttivo del giudizio si compie contestualmente con un atto di schietta
efficacia sostanziale, ossia l'atto della licenza o disdetta previsto dall'art. 1596 e
che produce l'effetto (sostanziale) di evitare la c.d. tacita riconduzione quando
l'atto contenente tale disdetta sia notificato e la disdetta intimata nei termini
previsti dal contratto, dalla legge o dagli usi. Ed è appunto in relazione a ciò
che l'art. 657, 1 comma qualifica l'atto introduttivo come intimazione della
licenza con testuale citazione per la convalida. «Il locatore o il concedente -
recita dunque la norma in discorso - può intimare al conduttore, all'affittuario
coltivatore diretto, al mezzadro o al colono, licenza per finita locazione prima
della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida,
rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali».
Tali forme sono infatti utilizzabili anche nell'ipotesi in cui il diritto al rilascio è
già attuale perché la scadenza si è già verificata, nonché nell'ipotesi in cui il
diritto al rilascio può divenire attuale in conseguenza della risoluzione del
contratto che il giudice può pronunciare per effetto della morosità.
Con riferimento alla prima di queste due ipotesi il locatore o il concedente può
intimare senz'altro lo «sfratto» e non, dunque, la licenza prevista dal l comma
purché non si sia, in precedenza, già verificata la tacita riconduzione; la quale
tacita riconduzione dovrà essere stata impedita o in virtù del contratto stesso o
per effetto di una disdetta (o licenza) intimata in precedenza nei termini di
legge, di contratto o di uso.
Mentre, per la seconda delle due suddette ipotesi (ossia la morosità), la legge
configura uno strumento che consente di conseguire rapidamente i risultati
propri di un'azione costitutiva di risoluzione del contratto per in adempimento,
nonché quelli di una conseguente, anche se contemporanea, azione di condanna
al rilascio ed al pagamento dei canoni. L'art. 658 c.p.c., infatti, disponendo che
«il locatore può intimare al conduttore lo sfratto con le modalità stabilite
nell'articolo precedente anche in caso di mancato pagamento del canone di
affitto alle scadenze», offre innanzi tutto la possibilità di fruire delle forme
accelerate del procedimento di convalida per ottenere il provvedimento di
rilascio, che naturalmente implica la pronuncia della risoluzione e che perciò
ha, al tempo stesso, natura costitutiva e di condanna. Inoltre offre anche la
possibilità di fruire contemporaneamente delle forme proprie del procedimento
ingiuntivo per ottenere «il pagamento dei canoni scaduti».
L'impiego delle forme del procedimento speciale per convalida implica,
innanzi tutto, l'osservanza di regole inderogabili circa la competenza. Sotto il
profilo della materia, la competenza spetta, inderogabilmente al tribunale. Sotto
il profilo del territorio, è inderogabilmente competente il giudice de1luogo in
cui si trova la cosa locata.
L'atto introduttivo è l'atto di citazione che tuttavia può avere un contenuto più
ampio di quello dei normale atto di citazione poiché può includere, nel suo
contesto, anche un atto di portata sostanziale ossia l'intimazione della licenza o
dello sfratto. La quale intimazione costituisce, anzi, l'elemento che concreta il
contenuto anche della domanda al giudice davanti al quale l'intimato viene
citato, ed al quale viene chiesta, per l'appunto, in contraddittorio con l'intimato,
la convalida dell'intimazione.
La notificazione di questo atto va effettuata con maggiori cautele; perciò, da un
lato, è esclusa la validità della notificazione al domicilio eletto e, dall'altro, si
dispone che quando la notificazione non avviene «in mani proprie», l'ufficiale
giudiziario deve avvertire l'intimato dell'effettuata notificazione, con lettera
raccomandata, allegandone la ricevuta all'originale dell'atto.
Nell'atto di citazione, il locatore deve dichiarare la propria residenza o eleggere
domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito; altrimenti, le notificazioni
delle opposizioni o di ogni eventuale altro atto possono avvenire nella
cancelleria.
In questo procedimento, la prima udienza assurge a particolare importanza,
poiché è appunto in relazione al comportamento delle parti in tale udienza che
il procedimento può sfociare in una immediata pronuncia sommaria, oppure
trasformarsi in un ordinario processo di cognizione.
Avuto riguardo alla suddetta possibilità di pronuncia sommaria, l'art. 660
dispone che, nell'atto di citazione, l'invito e l'avvertimento che, per il giudizio
ordinario sono configurati dall'arto 163,3° comma n. 7, siano formulati in
maniera diversa; dispone, cioè, che la citazione per la convalida contenga, nei
confronti del convenuto, «l'invito a comparire nell'udienza indicata» e
«l'avvertimento che, se non comparisce, o comparendo non si oppone, il
giudice convalida la licenza o lo sfratto ai sensi dell'art. 663».
Il nuovo 4 comma dispone che «tra il giorno della notificazione
dell'intimazione e quello dell'udienza debbono intercorrere termini liberi non
minori di venti giorni», salva abbreviazione alla metà su istanza dell'intimante;
mentre il nuovo 5° comma dispone che «le parti si costituiscono depositando in
cancelleria l'intimazione con la relazione di notificazione o la comparsa di
risposta oppure presentando tali atti al giudice in udienza». Il che implica che
la costituzione dell'una e/o dell'altra parte è tempestiva, anche agli effetti delle
preclusioni conseguenti, anche se effettuata all'udienza.
Le diverse situazioni che possono verificarsi alla prima udienza: può accadere,
innanzi tutto, che alla prima udienza non compaia l'intimante: in tale ipotesi -
dispone l'art. 662 - l'intimazione perde efficacia,
Ma l'ipotesi più importante è quella della mancata comparizione dell'intimato,
alla quale la legge equipara, sotto ogni profilo, l'ipotesi in cui l'intimato, pur
essendo comparso davanti al giudice, non si opponga alla convalida. Per queste
ipotesi la legge (art, 663) dispone che il giudice, previo ordine di rinnovare la
citazione ogni qualvolta sussista il dubbio che l'intimato non comparso non ne
abbia avuto conoscenza o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza
maggiore, «convalida la licenza o lo sfratto e dispone, con ordinanza in calce
alla citazione: "apposizione su di essa della formula esecutiva». In pratica, ciò
significa che il giudice pronuncia, seduta stante, un provvedimento con la
forma dell’ordinanza ed il contenuto, assai semplice, della convalida
dell’intimazione con la conseguente apposizione, in calce ad essa, della
formula esecutiva. In tal modo l'ordinanza assume la portata d/una condanna
immediatamente esecutiva al rilascio, riferita, per ogni suo elemento e
modalità, all'intimazione; perciò il titolo esecutivo è costituito, in quanto
documento dall'intimazione, integrata dalla stesura, in calce, dell'ordinanza di
convalida, e dall'apposizione della formula esecutiva.
L'efficacia esecutiva viene in essere, tuttavia - nel caso che l'intimato non sia
comparso - soltanto dopo trenta giorni dalla data di apposizione della formula.
L'ordinanza di convalida costituisce un provvedimento di condanna - che, tra
l'altro, in quanto definisce un procedimento di cognizione, sia pure speciale:
deve pronunciare sulle spese - dotato di immediata efficacia esecutiva (salva la
protrazione di cui si è appena fatto cenno), e con l'ulteriore caratteristica che,
quando si tratta d'intimazione prima della scadenza, costituisce una condanna
in futuro.
Ma, oltre che di efficacia. esecutiva, l'ordinanza di convalida è dotata, come il
decreto ingiuntivo non opposto, di autentica efficacia di cosa giudicata.
Contro l'ordinanza in discorso, l'intimato può proporre opposizione (c.d.
opposizione tardiva da proporsi innanzi al tribunale che ha pronunciato
l'ordinanza e con le forme dell'opposizione tardiva al decreto ingiuntivo) in
quanto provi di non aver avuto conoscenza dell'intimazione, per irregolarità
della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore e sempre in quanto non
siano decorsi dieci giorni dall'inizio dell'esecuzione.
Questo significa che, .quando non sussistono le suddette circostanze
eccezionali non è possibile proporre l'opposizione. E poiché la legge non
contempla alcun altro mezzo d'impugnazione contro l'ordinanza in discorso,
salve solo le impugnazioni straordinarie rese ora ammissibili dalla Corte
costituzionale, ne deriva la sua definitività e idoneità al giudicato.
Secondo la Cassazione, la pronuncia al di fuori dei presupposti di legge, e
quindi con una forma diversa da quella con la quale il provvedimento avrebbe
dovuto essere pronunciato, dovrebbe fondare l'applicazione della regola c.d.
della prevalenza della sostanza (che qui sarebbe di sentenza) sulla forma, con la
conseguente impugnabilità del provvedimento con l'appello.
Ma le riserve che si debbono sollevare contro la suddetta regola, insieme con le
riserve che, d'altra parte, impediscono di accettare l'opinione di coloro che
considerano proponibile, contro l'ordinanza de qua, l'actio nullitatis,
eventualmente con le forme dell'opposizione all'esecuzione, ed insieme, infine,
col rilievo che siamo di fronte ad un provvedimento su un diritto configurato
dalla legge come idoneo al giudicato ancorché pronunciato con forme diverse
da quelle che passano attraverso i mezzi ordinari di impugnazione,
porterebbero a ritenere preferibile la soluzione (per la verità non molto
accreditata in dottrina e giurisprudenza) dell'impugnabilità col ricorso
straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.
Nel caso dello sfratto per morosità, il locatore può chiedere anche la condanna,
con decreto ingiuntivo, al pagamento dei canoni scaduti c da scadere fino
all'esecuzione dello sfratto. In tal caso, il giudice pronuncia un decreto
ingiuntivo, che costituisce un provvedimento autonomo da stendersi in calce ad
un'altra copia dell'intimazione da conservarsi in cancelleria; il decreto è
immediatamente esecutivo, ma suscettibile di opposizione nel termine consueto
di quaranta giorni. D'altra parte la richiesta del decreto ingiuntivo per il
pagamento dei canoni costituisce, per l'intimante, una semplice facoltà e non un
onere (v, art. 669), Un vero e proprio onere per l'intimante è invece previsto
dall’art. 663, 3 comma, sempre con riguardo all'intimazione di sfratto per
morosità: si tratta dell'attestazione in giudizio che la morosità persiste. E poiché
la legge subordina a tale attestazione la pronuncia dell'ordinanza di convalida,
se ne desume che fino a quel momento l'intimato può utilmente sanare la
morosità.
L'altra ipotesi che può verificarsi alla prima udienza è quella che l'intimato
compaia all'udienza e si opponga alla convalida.
La legge prende in particolare considerazione l'ipotesi che l'opposizione non sia
fondata su prova scritta; e, per tale ipotesi, prevede la pronuncia di un
provvedimento che, pur non essendo definitivo come l'ordinanza di convalida,
ha tuttavia il carattere di un provvedimento a cognizione sommaria, più
precisamente sommaria perché incompleta, L'art. 665 dispone infatti che « se
l'intimato comparisce e oppone eccezioni non fondate su prova scritta, il
giudice, su istanza del locatore, se non sussistono gravi motivi in contrario,
pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio con riserva delle eccezioni del
convenuto». Questo significa che l'intimante dispone immediatamente di un
titolo esecutivo fondato su un provvedimento che, da un lato, non è
impugnabile, ma che, dall'altro, non è neppure definitivo.
Egli, infatti, in relazione all'incompletezza della cognizione su cui si fonda, non
chiude il procedimento; tale procedimento deve in realtà proseguire per
quell'esame delle eccezioni dell'intimato, che, come si è veduto, è,
nell'ordinanza in discorso, fatto oggetto di espressa riserva, Ed è chiaro che se
tale esame dovesse dare esito favorevole all'intimato, l'ordinanza di rilascio
rimarrebbe caducata e posta nel nulla.
Ben diversa natura e struttura ha l'opposizione che l'intimato propone
comparendo alla prima udienza e che, per distinguerla da quella tardiva, è
chiamata, da taluno, «tempestiva». Con questa opposizione, infatti, non ci si
oppone ad un provvedimento già pronunciato, ma alla pronuncia (non ancora
avvenuta, ed impedita proprio con quell'atto) della convalida. Perciò l'intimato
si limita ad opporsi all'accoglimento della domanda dell'intimante, ossia
propone quella domanda di rigetto che è la reazione tipicamente propria del
convenuto rispetto alla domanda dell'attore; e pertanto introduce una nuova
fase del giudizio solo nel senso particolare per cui, come stiamo per vedere,
d'ora innanzi il giudizio si svolge secondo le regole ordinarie nella materia
locatizia.
L'opposizione «tempestiva», dunque, non è altro che una contestazione rispetto
alla pronuncia del provvedimento chiesto dall'attore; una domanda di rigetto
che non abbisogna neppure di alcuna forma particolare.
Di solito viene compiuta nella comparsa di risposta come conclusione
principale di quell'atto.
Ma, proprio perché la legge non richiede, per essa, alcuna forma particolare, si
ritiene che possa essere utilmente compiuta anche verbalmente all'udienza,
come ora è enunciato dall'art. 660,6° comma c.p.c. E’ sufficiente, insomma,
che l'intimato compaia e dichiari, in qualunque modo, che intende opporsi alla
intimazione.
A questo punto il procedimento rientra nel giudizio locatizio, con la
conseguenza che mentre, da un lato non sono più richiesti i presupposti
specifici del procedimento speciale, dall' altro lato, tornano ad applicarsi le
regole ordinarie, che peraltro rimandano ancora alla competenza del tribunale e
al rito «locatizio».
IL PROCESSO DI ESECUZIONE NEI SUOI ASPETTI GENERALI
E ATTI PREPARATORI
Il processo esecutivo è spiegato all’interno del terzo Libro del Codice di
procedura Civile (art.474-632), che comprende anche la disciplina di altri
procedimenti strutturalmente di cognizione, ma funzionalmente coordinati
all’esecuzione forzata: le opposizioni al processo esecutivo.
La cognizione consiste nell’accertamento dell’esistenza del diritto da tutelare,
l’esecuzione forzata consiste nell’attuazione pratica in via coattiva o forzata di
tale diritto accertato.
Il processo esecutivo. Sue caratteristiche e suoi principi
Al centro dell’attività processuale esecutiva si trova l’organo esecutivo:
l’ufficiale giudiziario nel quadro di un ufficio giudiziario il Tribunale , e sotto
il controllo di un giudice.
Le parti nel processo di esecuzione si distinguono in creditore, colui cha da
inizio all’azione di esecuzione, e debitore, colui che è destinatario di questa
procedura esecutiva, a differenza del processo di cognizione dove distinguiamo
in parte attrice e parte convenuta.
L’attività del giudice, nel processo di esecuzione, si realizza nell’emanazione
di provvedimenti ordinatori per lo più ordinanza o decreto, la sentenza è invece
propria ed esclusiva del processo di cognizione.
Operano il principio della domanda, il principio dell’impulso di parte, il
principio della disponibilità dell’oggetto del processo, il principio della
congruità delle forme allo scopo, ed è applicabile la disciplina della nullità
degli atti.
Non vige il principio della disponibilità delle prove, né il principio
dell’eguaglianza delle parti, né il principio del contraddittorio.
I diversi tipi di esecuzione forzata e di processo esecutivo
L’esigenza tendenziale è quella di far conseguire al creditore “tutto quello e
proprio quello cui ha diritto”.
I tipi di processo esecutivo che realizzano l’esecuzione forzata in forma
specifica sono: l’esecuzione forzata per consegna di cosa mobili o rilascio di
immobili, e l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare.
L’esecuzione in forma generica è costituita dall’esecuzione per espropriazione.
Condizione necessaria e sufficiente dell’ azione esecutiva è l’accertamento del
diritto sostanziale fatto valere, punto di arrivo nell’azione di cognizione.
Il documento che racchiude questo accertamento è il titolo esecutivo, che
costituisce la condizione necessaria e sufficiente per procedere all’esecuzione
forzata, (nulla executio sine titulo).
L’azione esecutiva è un diritto autonomo dal diritto sostanziale poiché rivolta
ad una parte diversa e tende ad una prestazione diversa. Tutti gli elementi
dell’azione esecutiva: personae, petitum, causa pretendi, risultano dal titolo
esecutivo.
I soggetti del processo esecutivo sono: l’organo esecutivo (l’ufficiale
giudiziario) opera nell’ambito di un ufficio giudiziario il Tribunale, il giudice
dell’esecuzione, il presidente del tribunale, il cancelliere, le parti, il creditore e
il debitore che risultano dal titolo, ovvero coloro che, di fatto assumono o ai
quali viene fatto assumere quel ruolo.
I presupposti del processo di esecuzione: presupposti generali (competenza,
capacità, e legittimazione processuale) e speciali (previa notificazione del titolo
e del precetto).
Presupposti del processo di cognizione: la competenza sia dell’ufficiale
giudiziario (la circoscrizione alla quale è addetto), sia dell’ufficio giudiziario
(per materia sempre il tribunale, per territorio il luogo dove si trovano le cose o
deve essere eseguita l’obbligazione o dove risiede il terzo debitore); la
legittimazione processuale con riferimento alla capacità processuale da un lato,
e alla rappresentanza processuale dall’altro lato, il compimento degli atti
preparatori , notificazione del titolo esecutivo e del precetto.
Il difensore nel processo esecutivo è soltanto eventuale e facoltativo.
Gli atti conclusivi del processo esecutivo risultano privi dell’incontrovertibilità
del giudicato.
Il carico delle spese processuali va addossato alla parte debitrice o
soccombente che con la sua resistenza ha reso necessario il processo esecutivo.
GLI ATTI PREPARATORI DEL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA
L’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per
un diritto certo, liquido, ed esigibile.
Il requisito della certezza è dato come conseguenza dell’esistenza del titolo
stesso contenente un atto di accertamento di un diritto.
Il requisito della liquidità è dato dal credito in denaro esattamente quantificato
nel suo ammontare.
Il requisito della esigibilità è dato dal credito in denaro non più sottoposto a
condizione o a termine.
I titoli esecutivi si distinguono in titoli giudiziali e stragiudiziali.
Sono giudiziali: le sentenze di condanna esecutive, le ordinanze o i decreti ai
quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, es. decreto
ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, l’ordinanza di convalida di sfratto
assieme con l’atto di intimazione, l’ordinanza presidenziale nel giudizio di
separazione dei coniugi, le ordinanze di rilascio.
Sono titoli stragiudiziali: le cambiali, le scritture private autenticate con atto
notarile, o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, gli altri
titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente l’efficacia esecutiva,
le scritture private autenticate afferenti ad obbligazioni di somme di denaro.
Con riguardo alle sentenze, solo le sentenze di condanna passate in giudicato,
ovvero siano giudicate esecutive dalla legge o dal giudice, le sentenze di primo
grado in materia di lavoro valgono ai fini dell’esecuzione, non valgono ai fini
dell’esecuzione, pertanto, né le sentenze di mero accertamento, né le sentenze
costitutive.
Se la sentenza successivamente viene riformata e privata dell’esecutività si
determinerà l’immediato arresto del processo di esecuzione forzata, fondando il
ripristino della situazione anteriore.
La c.d. spedizione in forma esecutiva
L’art 475 stabilisce che tutti i titoli giudiziali e quelli di formazione notarile
debbano, per valere come titoli esecutivi, essere muniti della formula esecutiva,
di un “comando di eseguire” , c.d. spedizione del titolo in forma esecutiva che
presuppone un controllo solo formale effettuato non dal giudice ma dal
cancelliere o dal notaio. La spedizione in forma esecutiva può essere effettuata
una sola volta, col rilascio di una sola copia in forma esecutiva, occorrendo per
il rilascio di altre copie un espresso “giusto motivo” (art. 476 c.p.c.). L’azione
esecutiva spetta a colui che dal titolo risulta debitore ed ai suoi successori, di
contro il titolo esecutivo contro il debitore ha efficacia contro gli eredi, (art.
477 c.p.c.) purché decorrano almeno 10 giorni dalla notificazione del titolo
prima della notificazione del precetto (estensione soggettiva).
Gli atti preparatori anteriori all’inizio del processo esecutivo
a) la notificazione del titolo esecutivo
La notificazione del titolo esecutivo e del precetto consiste nella consegna alla
parte personalmente di copia autentica del titolo spedito in forma esecutiva e
del precetto da parte dell’ufficiale giudiziario, con funzione di preavvisare
l’intenzione di procedere a esecuzione forzata. Ad un anno dalla morte del
debitore, la notificazione può essere effettuata agli eredi collettivamente e
impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto.
b) il precetto e la sua notificazione
Il precetto consiste nell’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo
esecutivo, entro un termine non inferiore a 10 giorni con l’avvertimento che in
mancanza si procederà ad esecuzione forzata. Il precetto è atto recettizio del
creditore nei confronti del debitore, al quale l’atto va notificato personalmente.
Sono invece, richiesti a pena di nullità, i requisiti dell’indicazione delle parti e
dell’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo. Il precetto può
essere redatto di seguito al titolo esecutivo, ed essere notificato assieme ad esso
personalmente al debitore.
La mancata sottoscrizione del precetto può generare la sua nullità. L’efficacia
del precetto è sottoposta al termine acceleratorio, infatti, se entro 90 giorni
dalla sua notificazione, non è iniziata l’esecuzione, esso perde efficacia.
Il Presidente del Tribunale può con decreto in calce al precetto, e trascritto
nella copia da notificarsi, autorizzare l’esecuzione immediata con dispensa dal
termine dei 10 giorni. Il precetto vale come costituzione in mora agli effetti
dell’interruzione della prescrizione.
IL PROCESSO DI ESECUZIONE NEI SUOI ASPETTI
GENERALI
E ATTI PREPARATORI
Il processo esecutivo è spiegato all’interno del terzo Libro del Codice di procedura Civile (art.474-
632), che comprende anche la disciplina di altri procedimenti strutturalmente di cognizione, ma
funzionalmente coordinati all’esecuzione forzata: le opposizioni al processo esecutivo.
La cognizione consiste nell’accertamento dell’esistenza del diritto da tutelare, l’esecuzione forzata
consiste nell’attuazione pratica in via coattiva o forzata di tale diritto accertato.
Il processo esecutivo. Sue caratteristiche e suoi principi
Al centro dell’attività processuale esecutiva si trova l’organo esecutivo: l’ufficiale giudiziario nel
quadro di un ufficio giudiziario il Tribunale , e sotto il controllo di un giudice.
Le parti nel processo di esecuzione si distinguono in creditore, colui cha da inizio all’azione di
esecuzione, e debitore, colui che è destinatario di questa procedura esecutiva, a differenza del
processo di cognizione dove distinguiamo in parte attrice e parte convenuta.
L’attività del giudice, nel processo di esecuzione, si realizza nell’emanazione di provvedimenti
ordinatori per lo più ordinanza o decreto, la sentenza è invece propria ed esclusiva del processo di
cognizione.
Operano il principio della domanda, il principio dell’impulso di parte, il principio della disponibilità
dell’oggetto del processo, il principio della congruità delle forme allo scopo, ed è applicabile la
disciplina della nullità degli atti.
Non vige il principio della disponibilità delle prove, né il principio dell’eguaglianza delle parti, né il
principio del contraddittorio.
I diversi tipi di esecuzione forzata e di processo esecutivo
L’esigenza tendenziale è quella di far conseguire al creditore “tutto quello e proprio quello cui ha
diritto”.
I tipi di processo esecutivo che realizzano l’esecuzione forzata in forma specifica sono: l’esecuzione
forzata per consegna di cosa mobili o rilascio di immobili, e l’esecuzione forzata degli obblighi di
fare e non fare.
L’esecuzione in forma generica è costituita dall’esecuzione per espropriazione.
Condizione necessaria e sufficiente dell’ azione esecutiva è l’accertamento del diritto sostanziale
fatto valere, punto di arrivo nell’azione di cognizione.
Il documento che racchiude questo accertamento è il titolo esecutivo, che costituisce la condizione
necessaria e sufficiente per procedere all’esecuzione forzata, (nulla executio sine titulo).
L’azione esecutiva è un diritto autonomo dal diritto sostanziale poiché rivolta ad una parte diversa e
tende ad una prestazione diversa. Tutti gli elementi dell’azione esecutiva: personae, petitum, causa
pretendi, risultano dal titolo esecutivo.
I soggetti del processo esecutivo sono: l’organo esecutivo (l’ufficiale giudiziario) opera nell’ambito
di un ufficio giudiziario il Tribunale, il giudice dell’esecuzione, il presidente del tribunale, il
cancelliere, le parti, il creditore e il debitore che risultano dal titolo, ovvero coloro che, di fatto
assumono o ai quali viene fatto assumere quel ruolo.
I presupposti del processo di esecuzione: presupposti generali (competenza, capacità, e
legittimazione processuale) e speciali (previa notificazione del titolo e del precetto).
Presupposti del processo di cognizione: la competenza sia dell’ufficiale giudiziario (la
circoscrizione alla quale è addetto), sia dell’ufficio giudiziario (per materia sempre il tribunale, per
territorio il luogo dove si trovano le cose o deve essere eseguita l’obbligazione o dove risiede il
terzo debitore); la legittimazione processuale con riferimento alla capacità processuale da un lato, e
alla rappresentanza processuale dall’altro lato, il compimento degli atti preparatori , notificazione
del titolo esecutivo e del precetto.
Il difensore nel processo esecutivo è soltanto eventuale e facoltativo.
Gli atti conclusivi del processo esecutivo risultano privi dell’incontrovertibilità del giudicato.
Il carico delle spese processuali va addossato alla parte debitrice o soccombente che con la sua
resistenza ha reso necessario il processo esecutivo.
GLI ATTI PREPARATORI DEL PROCESSO DI ESECUZIONE
FORZATA
L’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo,
liquido, ed esigibile.
Il requisito della certezza è dato come conseguenza dell’esistenza del titolo stesso contenente un
atto di accertamento di un diritto.
Il requisito della liquidità è dato dal credito in denaro esattamente quantificato nel suo ammontare.
Il requisito della esigibilità è dato dal credito in denaro non più sottoposto a condizione o a termine.
I titoli esecutivi si distinguono in titoli giudiziali e stragiudiziali.
Sono giudiziali: le sentenze di condanna esecutive, le ordinanze o i decreti ai quali la legge
attribuisce espressamente efficacia esecutiva, es. decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo,
l’ordinanza di convalida di sfratto assieme con l’atto di intimazione, l’ordinanza presidenziale nel
giudizio di separazione dei coniugi, le ordinanze di rilascio.
Sono titoli stragiudiziali: le cambiali, le scritture private autenticate con atto notarile, o da altro
pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, gli altri titoli di credito ai quali la legge
attribuisce espressamente l’efficacia esecutiva, le scritture private autenticate afferenti ad
obbligazioni di somme di denaro.
Con riguardo alle sentenze, solo le sentenze di condanna passate in giudicato, ovvero siano
giudicate esecutive dalla legge o dal giudice, le sentenze di primo grado in materia di lavoro
valgono ai fini dell’esecuzione, non valgono ai fini dell’esecuzione, pertanto, né le sentenze di mero
accertamento, né le sentenze costitutive.
Se la sentenza successivamente viene riformata e privata dell’esecutività si determinerà l’immediato
arresto del processo di esecuzione forzata, fondando il ripristino della situazione anteriore.
La c.d. spedizione in forma esecutiva
L’art 475 stabilisce che tutti i titoli giudiziali e quelli di formazione notarile debbano, per valere
come titoli esecutivi, essere muniti della formula esecutiva, di un “comando di eseguire” , c.d.
spedizione del titolo in forma esecutiva che presuppone un controllo solo formale effettuato non dal
giudice ma dal cancelliere o dal notaio. La spedizione in forma esecutiva può essere effettuata una
sola volta, col rilascio di una sola copia in forma esecutiva, occorrendo per il rilascio di altre copie
un espresso “giusto motivo” (art. 476 c.p.c.). L’azione esecutiva spetta a colui che dal titolo risulta
debitore ed ai suoi successori, di contro il titolo esecutivo contro il debitore ha efficacia contro gli
eredi, (art. 477 c.p.c.) purché decorrano almeno 10 giorni dalla notificazione del titolo prima della
notificazione del precetto (estensione soggettiva).
Gli atti preparatori anteriori all’inizio del processo esecutivo
a) la notificazione del titolo esecutivo
La notificazione del titolo esecutivo e del precetto consiste nella consegna alla parte personalmente
di copia autentica del titolo spedito in forma esecutiva e del precetto da parte dell’ufficiale
giudiziario, con funzione di preavvisare l’intenzione di procedere a esecuzione forzata. Ad un anno
dalla morte del debitore, la notificazione può essere effettuata agli eredi collettivamente e
impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto.
b) il precetto e la sua notificazione
Il precetto consiste nell’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, entro un
termine non inferiore a 10 giorni con l’avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione
forzata. Il precetto è atto recettizio del creditore nei confronti del debitore, al quale l’atto va
notificato personalmente. Sono invece, richiesti a pena di nullità, i requisiti dell’indicazione delle
parti e dell’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo. Il precetto può essere redatto
di seguito al titolo esecutivo, ed essere notificato assieme ad esso personalmente al debitore.
La mancata sottoscrizione del precetto può generare la sua nullità. L’efficacia del precetto è
sottoposta al termine acceleratorio, infatti, se entro 90 giorni dalla sua notificazione, non è iniziata
l’esecuzione, esso perde efficacia.
Il Presidente del Tribunale può con decreto in calce al precetto, e trascritto nella copia da notificarsi,
autorizzare l’esecuzione immediata con dispensa dal termine dei 10 giorni. Il precetto vale come
costituzione in mora agli effetti dell’interruzione della prescrizione.
L’ESPROPRIAZIONE FORZATA IN GENERALE E
PIGNORAMENTO
L’espropriazione è lo strumento processuale esecutivo coattivo per i crediti in denaro con tutti i beni
presenti e futuri. Occorre distinguere 3 tipi di espropriazione:
1) espropriazione mobiliare del debitore, quando attiene a denaro o altri beni mobili;
2) espropriazione presso terzi, quando i crediti del debitore o altre cose mobili sono nella
disponibilità di terzi;
3) espropriazione immobiliare, allorché afferente a beni immobili del debitore.
L’espropriazione è diretta dal giudice dell’esecuzione il quale può emettere ordinanze caratterizzate
dalla revocabilità e modificabilità. Contro tali ordinanze è esperibile l’opposizione agli atti
esecutivi. Per giudice competente per l’esecuzione si intende l’ufficio giudiziario. L’attività del
giudice dell’esecuzione è ordinatoria, afferente all’opportunità delle modalità dell’espropriazione.
Il cancelliere deve formare il fascicolo dell’esecuzione, dopo il deposito in cancelleria dell’atto
notificato col quale ha inizio l’espropriazione, il pignoramento. Entro due giorni dalla formazione
del fascicolo il presidente del tribunale designa il giudice dell’esecuzione. Davanti al giudice
dell’esecuzione, quindi, si svolgerà poi l’udienza di fissazione della vendita delle cose pignorate,
mediante fissazione dell’udienza con decreto del giudice, da comunicarsi da parte del cancelliere.
(art. 490 c.p.c.) stabilisce che deve darsi pubblicità agli atti dell’espropriazione, con affissione per
tre giorni consecutivi nell’albo degli uffici giudiziari, con l’inserzione sui quotidiani della stampa di
maggiore diffusione nazionale, ovvero su inserzione su siti internet per beni immobili di valore
superiore a €. 25.000,00, almeno 45 giorni prima del termine della presentazione delle offerte o
della data dell’incanto.
Il pignoramento (in generale)
a) funzione ed effetti
L’atto con il quale inizia l’espropriazione forzata è il pignoramento che ha la funzione di vincolare
determinati beni del debitore alla soddisfazione del credito, ed ha l’effetto di rendere inefficaci nei
confronti del creditore procedente gli atti con il quale il debitore esecutato intende alienare le cose
pignorate (inefficacia relativa), cosicché l’atto di alienazione del debitore è inefficace rispetto
all’espropriazione. Gli atti di alienazione o disposizione anteriori al pignoramento prevalgono sul
pignoramento a condizione che questi siano stati trascritti anteriormente, trasmessi anteriormente al
pignoramento, in quanto siano stati notificati e accettati anteriormente al pignoramento.
b) la struttura. La conversione e la riduzione del pignoramento
I caratteri essenziali del pignoramento sono dettati dall’art. 492 c.p.c., che enuncia: “il
pignoramento consiste in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore, di astenersi da
qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si
assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi”. Pertanto, sotto il profilo soggettivo il
pignoramento è l’atto dell’ufficiale giudiziario, il quale lo attiva su istanza del creditore, dietro
esibizione del titolo esecutivo e del precetto ritualmente notificati; mentre sotto il profilo oggettivo
consiste nell’ingiunzione al debitore di non sottrarre i beni alla garanzia del credito.
Importanti integrazioni all’art. 492 c.p.c. sono intervenute con la L. 80/2005 e L. 263/2005 e L.
52/2006 che hanno introdotto:
1) l’invito al debitore a dichiarare la propria residenza o domicilio in uno dei comuni del
circondario in cui ha sede il giudice per l’esecuzione con l’avvertimento che in difetto le notifiche
avverranno in cancelleria del giudice dell’esecuzione;
2) l’avvertimento può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati, una somma di denaro
comprensiva del debito interessi e spese, pari ad 1/5 da depositare in cancelleria prima che venga
disposta la vendita o l’assegnazione. Se i beni pignorati risultano insufficienti, l’ufficiale giudiziario
invita il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, i luoghi ove si trovano ovvero le
generalità dei terzi debitori, con avvertimento della sanzione prevista per l’omessa o falsa
dichiarazione.
L’ufficiale giudiziario, su istanza del creditore, qualora i beni pignorati risultino insufficienti, può
rivolgersi a gestori dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche.
I medesimi beni possono essere pignorati da più creditori. Al momento del pignoramento il debitore
può evitarlo versando all’ufficiale giudiziario la somma per cui si procede comprensiva delle spese
da consegnare al creditore. Inoltre, in qualsiasi momento anteriore alla vendita il debitore può
chiedere per una sola volta la conversione del pignoramento in una somma di denaro pari
all’importo dovuto oltre le spese allegando all’istanza 1/5 del dovuto. Il giudice dell’esecuzione può
consentire nel pignoramento immobiliare al versamento rateale per un massimo di 18 mesi se
ricorrono “giustificati motivi”. Inoltre è possibile la riduzione del pignoramento quando il valore dei
beni pignorati è superiore all’importo dei crediti per cui si procede. L’efficacia del pignoramento è
soggetta al termine perentorio di giorni 90. Se entro tale termine non viene compiuto il successivo
atto il pignoramento diviene inefficace.
L’intervento dei creditori nell’espropriazione (in generale)
I creditori intervenuti concorrono insieme con creditore procedente alla ripartizione del ricavato
della vendita dei beni pignorati in misura proporzionale al credito di ciascuno, salvi i diritti di
prelazione di altri creditori che risultino da pubblici registri o scritture contabili.
Il creditore pignorante ha facoltà di indicare ai creditori intervenuti tempestivamente l’esistenza di
altri beni del debitore utilmente pignorabili con diritto di essere preferito in sede di distribuzione in
mancanza di estensione del pignoramento.
Gli intervenienti per somme risultanti da scritture contabili debbono allegare a pena di
inammissibilità, l’estratto autentico notarile.
Il debitore nei riguardi dei creditori privi di titolo deve, in udienza di comparizione, dichiarare se
riconosce in tutto o in parte i debiti. I crediti riconosciuti partecipano alla distribuzione, quelli non
riconosciuti hanno diritto all’accantonamento delle somme previa istanza entro 30 giorni successivi
all’udienza.
L’intervento si pone in essere con ricorso tempestivo anteriore all’udienza di vendita o di
assegnazione, che deve contenere l’indicazione del credito e quella del titolo, la domanda di
partecipazione alla distribuzione della somma ricavata. Se l’intervento è successivo all’udienza di
vendita o assegnazione, ovvero è tardivo, esso dà diritto soltanto alla partecipazione alla
distribuzione della parte che sopravanza dopo la soddisfazione del creditore pignorante, dei
creditori privilegiati, e degli intervenuti anteriormente.
Vendita forzata assegnazione e distribuzione della somma
ricavata
(in generale)
L’atto successivo al pignoramento è l’istanza di vendita da proporre al giudice dell’esecuzione entro
un termine di 90 giorni dal pignoramento, ma non prima di 10 giorni dal pignoramento. La vendita
forzata che può avvenire con incanto es. asta, ovvero senza incanto svolge la funzione di
trasformare i beni pignorati in denaro liquido. L’assegnazione è l’attribuzione diretta del bene
pignorato al creditore in base ad un determinato valore che copra le spese e consenta la par condicio
tra i creditori intervenenti non privilegiati. La fase successiva alla vendita forzata o all’assegnazione
è la distribuzione della somma ricavata che avviene mediante ordinanza del giudice dell’esecuzione
con riparto proporzionale e previo accantonamento delle somme per i creditori intervenenti privi di
titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore. In caso di
contestazione dei creditori intervenenti sui crediti degli altri la soluzione è risolta dal giudice
dell’esecuzione con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini dell’opposizione agli atti
esecutivi. Inoltre, il giudice dell’esecuzione può provvedere alla sospensione della distribuzione
della somma ricavata ovvero al quale è ammesso reclamo.
L’ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL DEBITORE
Il pignoramento mobiliare (art. 513 c.p.c.)
Il pignoramento mobiliare è posto in essere, ad istanza verbale del creditore, dall’ufficiale
giudiziario munito del titolo esecutivo e del precetto. L’ufficiale giudiziario effettua il
pignoramento previa esibizione del titolo e del precetto e deve ricercare i beni da pignorare nella
casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti es. negozio, ufficio, officina, ovvero in
luoghi appartenenti ad un terzo, purché si tratti di cose di cui il debitore può disporre direttamente e
sia stato preventivamente autorizzato dal Presidente del Tribunale, mediante decreto su istanza del
creditore. L’accesso, eventualmente forzoso, non può avvenire nei giorni festivi, né nelle ore
notturne. La scelta dei beni da pignorare effettuata dall’ufficiale giudiziario, esclusi i beni per legge
impignorabili ex art. 514 c.p.c., es. il letto, i libri, la fede nuziale, gli oggetti sacri, deve avere come
preferenza il denaro e oggetti preziosi o beni di pronta e facile liquidazione. L’ufficiale giudiziario
redige processo verbale delle operazioni compiute, descrivendo i beni pignorati con il loro valore,
menzionando le disposizioni per la conservazione degli stessi, depositato in cancelleria e inserito
nel fascicolo entro 24ore, e consegnando un avviso dell’avvenuta ingiunzione al debitore. Il denaro
e gli oggetti preziosi viene depositato in depositi giudiziari o affidato a custodi.
L’intervento dei creditori (nell’espropriazione mobiliare) (art. 499
c.p.c.)
Solo creditori muniti di titolo esecutivo, i creditori che avevano eseguito un sequestro, i titolari di
prelazione risultante da pubblici registri o da scritture contabili, possono intervenire
nell’espropriazione, ma non oltre l’udienza di fissazione della vendita o dell’assegnazione e prima
del provvedimento di distribuzione. Oltre tali termini, l’interveniente tardivo parteciperà
all’eventuale residuo.
Vendita, assegnazione e distribuzione (nell’espropriazione
mobiliare) (art. 530)
Nel termine di 90 o 10 giorni dal pignoramento i creditori devono proporre l’istanza di vendita al
giudice dell’esecuzione, il quale fissa l’udienza per l’audizione delle parti ad eccezione che nella
piccola espropriazione ovvero fino a €. 20.000,00, in tal caso provvede con decreto l’assegnazione o
la vendita. All’udienza le parti possono fare osservazioni circa le modalità della vendita o
l’assegnazione. Il giudice decide le opposizioni con sentenza e dispone con ordinanza
l’assegnazione o la vendita, senza incanto a mezzo del commissionario, o all’incanto fissando un
prezzo base di vendita dal quale si può derogare al 2° esperimento di vendita. Sugli eventuali
reclami sulle operazioni di vendita è ammesso ricorso, che non sospende dette operazioni, al giudice
dell’esecuzione che provvede con decreto reclamabile allo stesso giudice. Il ricavato della vendita è
distribuito secondo preventivi accordi dei creditori o su un piano di riparto, ed è assegnato dal
giudice con il provvedimento che ordina il pagamento delle singolo quote.
L’ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO TERZI
L’atto di pignoramento dei crediti del debitore e delle cose del
debitore detenute dal terzo (c.d. pignoramento presso terzi) (art. 543
c.p.c.)
L’atto di pignoramento presso terzi è un atto scritto complesso che prevede la notifica personale a
due destinatari: al terzo e al debitore. L’atto oltre all’ingiunzione al debitore deve contenere: 1)
l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; 2) l’indicazione
delle cose e delle somme dovute, l’intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice; la
dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio; 4) la citazione del terzo e del debitore a
comparire davanti al giudice dell’esecuzione affinché faccia dichiarazione (art. 547) e il debitore sia
presente alla dichiarazione ed agli atti ulteriori con invito al terzo a comparire quando il
pignoramento riguarda somme dovute per stipendi, salari, e assimilati e negli altri casi comunicare
la dichiarazione al creditore procedente entro 10 giorni a mezzo raccomandata. L’atto di
pignoramento presso terzi è la citazione che conterrà l’indicazione della data di udienza di
comparizione innanzi al giudice dell’esecuzione ove ha residenza il terzo. Nel caso di pignoramento
presso più terzi, il debitore può chiedere al giudice la riduzione proporzionale o la dichiarazione di
inefficacia di alcuni di essi. I crediti per alimenti sono pignorabili previa autorizzazione del giudice
solo per cause di alimenti. I crediti per stipendi, salari ed indennità sono pignorabili nella misura
determinata dal giudice per cause di alimenti e in misura non superiore a 1/5 o pari alla metà.
La dichiarazione del terzo e il susseguente eventuale giudizio.
L’intervento dei creditori
(art. 543 c.p.c.)
All’udienza fissata per la dichiarazione del terzo, il quale potrà comparire oppure non comparire, il
terzo personalmente comparso o a mezzo di mandatario personale dichiara di quali somme o di
quali cose si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna, dichiarando
altresì se vi sono altri precedenti pignoramenti o sequestri. Se il creditore procedente ed il debitore
non hanno contestazioni circa la dichiarazione del terzo, in caso contrario, se il terzo non compare
ovvero rifiuta la dichiarazione, si svolgerà un giudizio di cognizione che si concluderà con sentenza,
il giudice provvederà per l’assegnazione o la vendita, sentite le parti.
L’assegnazione e la vendita (nell’espropriazione presso terzi)
(artt. 552 - 553c.p.c.)
Se il terzo volontariamente o giudizialmente è dichiarato possessore di beni del debitore, il giudice
provvederà alla loro assegnazione o vendita, sentite le parti. Se il terzo si è riconosciuto debitore si
somme nei confronti del debitore, il giudice provvederà alla sua assegnazione eventualmente previa
ripartizione pro quota e pro solvendo con i creditori concorrenti. Se il credito è esigibile in un
termine superiore a 90 giorni, l’assegnazione è possibile solo se concordata da tutti i creditori,
altrimenti il credito verrà venduto coattivamente.
L’ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE
Il pignoramento immobiliare
Il pignoramento immobiliare è compiuto dal creditore procedente che dovrà indicare i beni
immobili appartenenti al debitore intende pignorare al fine di soddisfare il suo credito. L’atto di
pignoramento immobiliare è un atto complesso predisposto e sottoscritto dal creditore procedente
con l’esatta indicazione dei beni e dei diritti immobiliari che si intendono sottoporre ad esecuzione
che lo consegna all’ufficiale giudiziario, il quale lo integra con l’ingiunzione al debitore di non
sottrarre i beni alla garanzia del credito e provvede alla notificazione. Successivamente il creditore
procedente o l’ufficiale giudiziario provvederanno affinché l’atto notificato in duplice copia sia
trascritto nei pubblici registri immobiliari. L’originale dell’atto di pignoramento notificato deve
essere depositato nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, nel fascicolo dell’esecuzione nel
quale il creditore pignorante dovrà inserire –entro 10 giorni dal pignoramento- il titolo esecutivo e il
precetto nonché la nota di trascrizione. Il giudice dell’esecuzione può nominare custode dei beni
pignorati il debitore o una persona diversa rendendo periodicamente conto della gestione e
depositando le rendite. Il giudice dispone con provvedimento non impugnabile la liberazione
dell’immobile pignorato.
L’intervento dei creditori (nell’espropriazione immobiliare)
I soggetti legittimati all’intervento sono quelli indicati dall’art. 499 c.p.c. Occorre distinguere in
intervento tempestivo effettuato entro la prima udienza per l’autorizzazione alla vendita, e
intervento tardivo dopo la prima udienza di autorizzazione alla vendita, ma prima del
provvedimento di distribuzione, i quali possono soddisfarsi sul residuo.
La vendita (nell’espropriazione immobiliare) Cenni sulle c.d.
esecuzioni speciali
(art. 580 c.p.c.)
Il creditore per richiedere la vendita deve proporre ricorso al giudice dell’esecuzione con il termine
dilatorio di 10 giorni dal pignoramento. Al ricorso sono da allegare entro 120 giorni dal suo
deposito l’estratto del catasto nei 20 anni anteriore alla trascrizione del pignoramento ovvero da
certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. I predetti
documenti consentono al giudice dell’esecuzione di stabilire il valore base dell’immobile che viene
inserito nel provvedimento di vendita e che viene pronunciato in sede di udienza di autorizzazione
della vendita. Il giudice dell’esecuzione entro 30 giorni dal deposito dei documenti nomina l’esperto
e fissa l’udienza per la comparizione delle parti. Se non vengono sollevate contestazioni ovvero si
raggiunge l’accordo su di esse, il giudice emette ordinanza di vendita e fissa il termine per la
proposizione delle offerte d’acquisto entro un termine non inferiore a 90 giorni e non superiore a
120 giorni. Il giudice fissa nella stessa ordinanza la cauzione da versare. Le opposizioni sono decise
dal Tribunale con sentenza e il giudice dispone la vendita con ordinanza da notificare ai creditori
iscritti che non sono comparsi. La vendita senza incanto consiste nell’esame da parte del giudice
dell’esecuzione e nell’eventuale accoglimento delle offerte di acquisto che chiunque – tranne il
debitore può presentare per l’acquisto del mobile pignorato. L’offerta è depositata in cancelleria da
parte dell’offerente. Essa è irrevocabile salvo che il giudice ordini l’incanto o siano decorsi 120
giorni dalla sua presentazione ed essa non sia stata accolta. L’offerta deve essere depositata in busta
chiusa da aprire in presenza di tutti gli offerenti. Il giudice delibera sull’offerta in accordo con il
creditore procedente ovvero qualora non ritenga più favorevole procedere con la vendita con
incanto. Quando il giudice dispone la vendita emette decreto con il quale indica le modalità di
pagamento, indi, a pagamento avvenuto pronuncia altro decreto con il quale l’immobile viene
trasferito in proprietà all’acquirente. La vendita con incanto si apre con ordinanza pubblicata a cura
del cancelliere, con la quale il giudice, fissa i termini elencati ex art. 576 ( prezzo, giorno ora
dell’incanto, misura minima di aumento delle offerte, cauzione minima da depositare
preventivamente, termine di versamento del prezzo, il termine che deve intercorrere tra le forme di
pubblicità e l’incanto. Tutti tranne il debitore possono partecipare all’incanto previo versamento
della cauzione. L’incanto ha luogo in udienza davanti al giudice dell’esecuzione, e diventa
assegnatario l’offerente la cui offerta non è superata entro il periodo di 3 minuti. Dopo l’incanto
possono essere proposte nel termine di 10 giorni offerte che non superano di almeno 1/5 il prezzo
raggiunto nell’incanto previa eventuale gara tra più offerenti. Le offerte dopo l’incanto vanno
depositate in cancelleria prestando cauzione per il doppio della cauzione versata ai sensi dell’art.
580. Il giudice indice la gara della quale il cancelliere dà pubblico avviso e comunicazione
all’aggiudicatario. Alla gara possono partecipare anche gli offerenti al precedente incanto che
abbiano integrato la cauzione. L’aggiudicatario per divenire proprietario a pieno titolo dovrà
provvedere a versare il prezzo nel termine e nel modo fissati nell’ordinanza di vendita, consegnando
al cancelliere il documento comprovante l’avvenuto pagamento. Solamente dopo il versamento del
prezzo il giudice pronuncia decreto di trasferimento all’aggiudicatario per il rilascio dell’immobile.
Il decreto contiene l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto e
costituisce titolo esecutivo. Inoltre, il giudice dell’esecuzione può sospendere la vendita quando
ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto. Il prezzo deve essere
depositato dall’aggiudicatario nei termini stabiliti, pena la decadenza dell’aggiudicatario
pronunciata dal giudice dell’esecuzione, con perdita della cauzione a titolo di multa e nuovo incanto
con eventuale rivendita in danno all’aggiudicatario precedente qualora il ricavato sia inferiore
all’offerta del nuovo aggiudicatario.
Delega a un professionista della vendita immobiliare
Gli art. 591 bis - 591 ter, prevedono la delega a un professionista delle operazioni di vendita con
incanto, es. un notaio, o un avvocato, o un commercialista, da parte del giudice dell’esecuzione
quando provvede sull’istanza di vendita. Il giudice stabilisce il termine per lo svolgimento delle
operazioni della procedura di vendita, i termini, le modalità, il luogo della presentazione delle
offerte, ecc., ecc. L’ambito della delega comprende tutte le operazioni della procedura di vendita
con incanto sino al decreto di trasferimento riservato al giudice dell’esecuzione. Le operazioni
delegate sono ex art. 591 bis; art. 576-ss. Il professionista redige il verbale dell’incanto. Se il prezzo
non è versato nel termine stabilito, questi ne dà avviso al giudice, mentre se avviene il versamento il
professionista predispone il decreto di trasferimento, trasmettendo il fascicolo al giudice al fine
della pronuncia da parte del giudice. Gli eventuali reclami ai provvedimenti del delegato sono posti
con ricorso al giudice che provvede con ordinanza, mentre gli eventuali problemi sono reclamabili
al giudice che provvede con decreto reclamabile innanzi allo stesso giudice. L’opposizione agli atti
esecutivi non esperibile contro i provvedimenti del delegato professionista né contro i decreti del
giudice è proponibile contro le ordinanze che il giudice pronuncia seguito di reclamo.
Assegnazione, amministrazione giudiziaria e distribuzione del
ricavato (nell’espropriazione immobiliare)
L’assegnazione è proposta dal creditore procedente entro 10 giorni prima dalla data dell’incanto.
Se la vendita all’incanto non si verifica per mancanza di offerte e vi sono domande di assegnazione,
il giudice provvede sulle istanze di assegnazione, fissando un termine per l’assegnatario per il
versamento del conguaglio. Se la vendita all’incanto non si verifica e le istanze di assegnazione non
sono accoglibili, il giudice può disporre: 1) nuova vendita all’incanto con diverse condizioni; 2)
l’amministrazione giudiziaria, una misura provvisoria della durata non superiore a 3 anni affidata ad
uno o più creditori o ad un istituto autorizzato, oppure allo stesso debitore su accordo dei creditori.
L’amministratore tiene un rendiconto e le rendite possono essere assegnate ai creditori in detrazione
del loro credito. Durante l’amministrazione giudiziaria ognuno può fare offerta di acquisto, o
chiedere al giudice dell’esecuzione di procedere a nuova vendita per incanto oppure
all’assegnazione. Allo scadere dei 3 anni l’amministrazione cessa e viene indetto un nuovo incanto.
La distribuzione del ricavato è basata sul progetto di distribuzione che il giudice dell’esecuzione
predispone entro 30 giorni dal versamento del prezzo, che contiene la c.d. graduazione dei creditori
in relazione ai rispettivi diritti di prelazione, e la relativa liquidazione. Tale progetto è depositato in
cancelleria, il giudice emette ordinanza di fissazione d’udienza con la quale le parti sono invitate ad
approvare il progetto oppure a raggiungere un accordo. Di ciò viene redatto processo verbale e il
giudice ordina il pagamento delle singole quote. L’eventuale mancanza di un accordo produce una
vera e propria contestazione sull’esistenza del diritto di uno o più creditori o della relativa
prelazione da risolversi con un vero e proprio giudizio di cognizione.
L’ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI E
L’ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO
PROPRIETARIO
L’espropriazione di beni indivisi
Oggetto di questo tipo di espropriazione è la quota (ideale) di un bene indiviso. Quando il
procedente è creditore di uno solo dei comproprietari, o vuole agire contro uno solo,
l'espropriazione deve colpire solo la quota di questo, senza violare i diritti dei comproprietari.
Inoltre, occorre evitare che i comproprietari colludano col debitore per attuare una divisione in
pregiudizio del creditore. In tal senso l'art. 599, 2° comma prevede che del pignoramento sia
notificato avviso, a cura del creditore pignorante, anche agli altri comproprietari ai quali da quel
momento è fatto divieto di lasciare separare dal debitore, la sua parte delle cose comuni senza
ordine del giudice. Inoltre, occorre predeterminare un iter che consenta di espropriare quella sola
quota del bene indiviso che appartiene al debitore. Ciò può avvenire in tre maniere diverse: 1) la
separazione, 2) la vendita della quota indivisa e 3) la divisione. La separazione è la soluzione
preferita dal codice, che all'art, 600, 1 comma prevede che essa venga disposta dal giudice
dell'esecuzione quando è possibile. «Se la separazione non è chiesta o non è possibile» - aggiunge il
2° comma del medesimo art. 600 - il giudice dell'esecuzione «dispone che si proceda alla divisione
a norma del codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota individuale ad un
prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell'art. 568», Se si deve far
luogo alla divisione - precisa infine l'art. 601 - l'esecuzione è sospesa finché sulla divisione non sia
raggiunto un accordo tra le parti, o pronunciata una sentenza passata in giudicato o quanto meno di
secondo grado.
Avvenuta la divisione, il processo esecutivo deve essere riassunto ex.- art.
627 dopo ciò si procede alla vendita o all'assegnazione dei beni attribuiti al
debitore.
La procedura ora descritta trova applicazione con riguardo ad ogni tipo di
comunione, compresa quella tra coniugi per debiti personali di uno dei coniugi
ai termini dell'art. 189 c.c., nonché quella di crediti incorporati in un libretto
bancario di risparmio ordinario nominativo intestato a più soggetti.
L'espropriazione contro il terzo proprietario
Tale istituto trova applicazione, quando il proprietario del bene espropriato, pur essendo estraneo al
rapporto debitorio “terzo”, è tuttavia gravato da responsabilità per debito altrui. Ciò si verifica, da
un lato, nei casi in cui il bene del terzo sia gravato da ipoteca, pegno o privilegio con sequela, per
avere il terzo acquistato il bene già onerato o per aver egli fornito garanzia reale per un debito altrui;
e, dall' altro lato, nel caso in cui l'alienazione del bene del debitore al terzo sia stata revocata per
frode ai termini dell'art. 2901 c.c.
In tutti i casi espressamente indicati dall'art. 602, l'espropriazione colpisce un soggetto diverso dal
debitore e pertanto si parla di espropriazione contro il «terzo proprietario». Ma la situazione
descritta costituisce soltanto, la premessa del processo espropriativo di cui trattasi, poiché, nel
momento stesso in cui viene instaurato il processo espropriativo contro il «terzo», questo «terzo»
cessa di essere tale sul piano processuale, in quanto, essendo lui il vero soggetto passivo
dell'espropriazione come risulta indirettamente dal disposto generico dell'art. 602, egli è in realtà
parte nel processo esecutivo, pur rimanendo terzo sul piano puramente sostanziale.
La legge, dispone così, che il titolo esecutivo e il precetto siano notificati anche al terzo,
aggiungendo anzi che nel precetto si deve fare precisa menzione del bene del terzo che si intende
espropriare art. 603; enuncia nella maniera più chiara che tutti gli atti di espropriazione si compiono
«nei confronti del terzo, al quale si applicano tutte le disposizioni relative al debitore» eccezion fatta
soltanto per quella che concerne il divieto al debitore di rendersi acquirente del bene espropriato
(art. 604,10 comma); ed infine dispone che ogni qual volta sia prevista l'audizione del debitore,
deve essere sentito anche il terzo (art. 604, 2 comma).
Pertanto, questa espropriazione si compie congiuntamente nei confronti di due soggetti: il debitore
in una posizione processuale, di parte in un senso puramente formale, e il terzo, vero soggetto
passivo della espropriazione, considerato dalla legge come se fosse il debitore, parte nel processo
esecutivo.
L’ESECUZIONE DIRETTA O IN FORMA SPECIFICA
L’esecuzione per consegna o rilascio
Fondamento della procedura per consegna o rilascio è l’art. 2930 c.c. che, enuncia l'eseguibilità
specifica dell'obbligo di consegnare una cosa mobile o di rilasciare una cosa immobile. Con la
parola «obbligo» la legge si riferisce ad ogni situazione passiva che si presenta come obbligo al
momento dell'esecuzione, e cioè, oltre ai casi in cui l'obbligo è legato ad un diritto di natura
obbligatoria o personale, anche i casi in cui l'obbligo è legato a un diritto reale la cui violazione dà
luogo all'obbligo della restituzione mediante consegna o rilascio.
Con riguardo ad entrambi i tipi di procedimento, la legge detta innanzi tutto una disposizione che
concerne un atto anteriore all'inizio del procedimento, ossia il precetto. Più precisamente, dispone
che il precetto, la cui notificazione, nel procedimento in esame, come in ogni altro procedimento
esecutivo, deve precedere l'inizio del procedimento stesso (insieme o successivamente alla
notificazione del titolo esecutivo), ha qui un requisito in più, e cioè la descrizione sommaria dei
beni sui quali si intende procedere con l'esecuzione per consegna o rilascio; ed in ciò si può
ravvisare il fondamento, che il precetto, che può e deve avere portata generica quando preannuncia
l'esecuzione per espropriazione, deve invece avere una portata specifica quando preannuncia
un'esecuzione in forma specifica. D'altra parte, anche nell'intimazione ad adempiere, il creditore
deve, nel precetto, riferirsi al termine eventualmente disposto nel titolo esecutivo e che potrebbe
essere più lungo di quello di cui all'art. 482.
Nel corso dell'esecuzione, sorgano «difficoltà che non ammettono dilazione», stabilendo - per
questa eventualità - che ciascuna parte può chiedere al giudice dell'esecuzione, anche verbalmente, i
provvedimenti temporanei occorrenti revocabili e modificabili.
Queste «difficoltà» non sono vere e proprie contestazioni di natura giuridica sulla legittimità del
«se» o del «come» dell'esecuzione, poiché siffatte contestazioni esigono un giudizio di cognizione e
perciò possono essere sollevate solo con un'opposizione per la cui proposizione, peraltro, l'iniziativa
in discorso può offrire l'occasione. Si tratta invece di questioni di opportunità o di modalità
dell'esecuzione: quelle questioni che, nell'espropriazione, costituiscono il campo d'azione del potere
direttivo del giudice dell'esecuzione. Perciò i provvedimenti sul punto non hanno carattere
decisorio. Anche da questa disposizione si può dedurre che, in questo procedimento, pur non
essendo espressamente disciplinata la nomina di un giudice dell'esecuzione, ne sono previste le
funzioni, ancorché in via eventuale. Eventuale perché l'esecuzione di cui trattasi è caratterizzata da
atti tanto semplici, da poter essere affidati senz'altro all'organo esecutivo, ossia all'ufficiale
giudiziario; mentre il giudice rimane come sullo sfondo. Le norme concernenti la competenza per
questo procedimento debbono essere intese come riguardanti più propriamente l'ufficio giudiziario,
ossia il tribunale, al quale appartengono sia l'organo esecutivo (ufficiale giudiziario) e sia il giudice
dell'esecuzione (le cui funzioni sono solo eventuali).
Nel quadro di questo ruolo che ha il giudice dell'esecuzione, va veduta la sua funzione di liquidare a
norma degli artt. 91 e ss. le spese dell'esecuzione: ciò che il giudice compie, sulla base di una
specifica effettuata dall'ufficiale giudiziario, con un decreto che costituisce titolo esecutivo.
Il procedimento per consegna di cose mobili si sostanzia con un semplice atto dell'ufficiale
giudiziario a seguito di richiesta anche verbale del creditore della consegna. Dopo la notificazione
del titolo e del precetto, ed il decorso del relativo termine, il creditore può, esibendo titolo e
precetto, rivolgere la suddetta richiesta all'ufficiale giudiziario, il quale si reca (munito, appunto, del
titolo e del precetto) sul luogo in cui le cose si trovano, e le ricerca con le modalità stabilite dall'art.
513. Dopo averle rinvenute, se ne impossessa e ne fa consegna alla parte istante o a persona da lui
designata.
Nell'esecuzione per il rilascio di immobili, le forme procedimentali sono lievemente meno semplici.
Il nuovo art. 608 prevede che: «L'esecuzione inizia con la notifica dell' avviso con il quale l'ufficiale
giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l'immobile, il
giorno e l'ora in cui procederà».
Con la quale disposizione la legge prende tra l'altro posizione sulla questione del momento d'inizio
di questa esecuzione (soprattutto rilevante con riguardo alle modalità di proposizione delle
opposizioni).
Nel giorno e nell’ora stabiliti, l’ufficiale giudiziario munito del titolo esecutivo e del precetto si reca
sul luogo dell’esecuzione, ed immette ex art. 513 la parte istante o una persona da lei designata nel
possesso dell’immobile del quale consegna le chiavi.
Qualora l'immobile sia detenuto da terzi nomine debitoris (ad es. conduttori o affittuari) la cui
detenzione non impedisce il trasferimento del possesso, l'ufficiale giudiziario ingiunge a tali
eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore, Qualora invece il terzo detentore vanti un
titolo di possesso autonomo da quello del debitore, o comunque non assoggettato espressamente
dalla legge all'efficacia del titolo contro il debitore, l'esecuzione non può, almeno in linea di
principio, proseguire fino a quando non sia stata respinta l'opposizione nella quale la pretesa del
detentore dovrebbe concretarsi ed alla quale esso detentore sarebbe legittimato in quanto
assoggettato all'esecuzione, e fino a quando il creditore non si sia munito di un titolo nei confronti
del terzo. Se nell'immobile si trovano cose mobili estranee all'esecuzione, e che non vengano
immediatamente asportate dal debitore, l'ufficiale giudiziario può disporne la custodia sul posto o il
trasporto altrove. L'art. 609, 2° comma, prevede, tuttavia, che, se le cose sono pignorate o
sequestrate, l'ufficiale giudiziario dà immediatamente notizia dell' avvenuto rilascio al creditore su
istanza del quale fu eseguito il pignoramento o il sequestro, e al giudice dell'esecuzione per
l'eventuale sostituzione del custode.
L'ufficiale giudiziario può, avvalersi dell' assistenza della forza pubblica; la cui effettiva
concessione è affidata alla discrezionalità dell'autorità amministrativa, è considerata essenziale dagli
ufficiali giudiziari.
Diversamente dalla consegna delle cose mobili, l'eventuale pignoramento o sequestro dell'immobile
non ne impedisce il rilascio.
Le spese anticipate dal procedente sono specificate dall'ufficiale giudiziario nel verbale e sono poi
liquidate dal giudice dell'esecuzione con decreto che costituisce titolo esecutivo.
L’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare
Questa forma di esecuzione forzata specifica realizza gli obblighi positivi di fare, oppure quelli,
consistenti nel divieto di fare, che, a seguito della violazione di questo divieto, sono divenuti
anch'essi positivi, in quanto trasformati nell'obbligo di eliminare ciò che è stato fatto in violazione
dell'originario obbligo di non fare.
L’'espressione «obbligo» è intesa in relazione alla situazione successiva alla pronuncia della
sentenza di condanna, e perciò l'obbligo eseguibile specificamente può essere, oltre che
un'obbligazione in senso proprio anche l'obbligo conseguente alla violazione di un diritto assoluto
(ad es. demolizione di una costruzione effettuata in violazione di una servitus altius non tollendi) e,
secondo l'opinione prevalente, anche gli obblighi conseguenti all'affidamento dei minori.
Il limite all'utilizzazione di questo strumento processuale non è dato dunque dalla natura del diritto
da cui è sorto l'obbligo di fare o di non fare, ma soltanto dalla obiettiva possibilità dell' esecuzione
forzata, in quanto questa avviene - come sempre - prescindendo dalla volontà dell'obbligato o
addirittura contro la sua volontà, Sotto questo profilo,.
L’art. 612 c.p.c. riconduce assai chiaramente il procedimento in esame alla «sentenza di condanna»,
lasciando intendere che questo sia il tipo di titolo esecutivo come l'unico idoneo a fondare
l'esecuzione in argomento.
Le funzioni del giudice dell' esecuzione non sono soltanto quelle eventuali del risolvere le difficoltà
che possono nascere nel corso del procedimento.
Più precisamente, il creditore istante - dopo aver provveduto alla notificazione del titolo esecutivo e
del precetto - deve inoltrare al giudice dell' esecuzione un ricorso col quale chiede che siano
determinate le modalità dell'esecuzione.
Il giudice, a seguito di questo ricorso, deve attuare il contraddittorio, ossia disporre l'audizione delle
parti; dopo averle sentite, pronuncia il provvedimento (ordinanza) con il quale determina le
modalità dell'esecuzione, designando l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le
persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla eliminazione di
quella compiuta.
Successivamente, spetta all'ufficiale giudiziario realizzare l'esecuzione secondo le modalità indicate
nell'ordinanza, salva la sua richiesta al giudice dell'esecuzione di provvedimenti per eliminare le
eventuali difficoltà, ai termini del già veduto art. 613. Il giudice dell'esecuzione provvede poi, con
decreto ingiuntivo «a norma dell' art. 642», alla liquidazione delle spese limitatamente, però, a
quelle proprie dell'esecuzione.
LE OPPOSIZIONI NEL PROCESSO ESECUTIVO
Non esiste, nel processo esecutivo, un vero e proprio contraddittorio: del quale non c'è necessità per
il semplice motivo che non c'è luogo ad alcun giudizio poiché l'esecuzione deve effettuarsi con
riferimento a quella situazione giuridica che è rappresentata nel titolo, prescindendosi da tutto ciò
che dal titolo non risulta.
Per evitare di compromettere quell'efficacia incondizionata o «isolante» del titolo, che è essenziale
per la funzionalità dell'esecuzione, non c'è che un modo: consentire di far valere quelle eventuali
discordanze dalla realtà o quelle eventuali illegittimità, anziché nel processo esecutivo in
un'autonoma sede di cognizione, quella appunto, delle opposizioni nel processo esecutivo.
Sede di cognizione, poiché si tratta di un accertamento, che è compito tipico del giudice, in sede di
cognizione; autonoma, nel senso che postula un autonomo atto introduttivo di un giudizio che - per
quanto funzionalmente coordinato col processo esecutivo, si svolge in modo autonomo, ad
iniziativa di chi vuol far valere quella discordanza o illegittimità.
Colui che assume questa iniziativa - debitore o terzo - assume la veste di opponente e, come tale, è
un vero e proprio attore, mentre convenuto è il credito re o colui che si vanta tale con una concreta
iniziativa di avvio o di preannuncio del processo esecutivo.
Processo autonomo, ma funzionalmente coordinato col processo esecutivo. Infatti, le opposizioni
sono determinate da un processo esecutivo iniziato o almeno preannunciato e per questo motivo,
esse debbono poter influire - sia pure indirettamente - su quel processo. Più esattamente,
l'opposizione opera sul titolo, togliendolo di mezzo quando con essa si contesta il «se»
dell'esecuzione (opposizione all'esecuzione); oppure opera sugli atti del processo esecutivo, quando
con essa si contesta il «come» dell'esecuzione (opposizione agli atti esecutivi e opposizione del
terzo nel processo esecutivo). L'eliminazione del titolo o la dichiarazione di illegittimità di
determinati atti del processo esecutivo travolge o arresta questo processo; e questa è l'efficacia
indiretta che le parentesi di cognizione in argomento producono sul processo esecutivo nel quale si
inseriscono o che comunque le occasiona.
L’opposizione all’esecuzione
Le opposizioni nel processo esecutivo del debitore sono: 1) l'opposizione all'esecuzione; 2)
l'opposizione agli atti esecutivi.
Con l’opposizione all'esecuzione si contesta il «se» dell'esecuzione, e più precisamente «si contesta
il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata».
Sotto il profilo soggettivo attivo, risulta evidente che l'opposizione in esame può essere proposta
(nella veste di opponente o attore in opposizione) da tutti coloro che in concreto subiscono
l'esecuzione (o il suo preannuncio, con l'intimazione del precetto), coloro ai quali la parte istante
attribuisce o pretende di attribuire il ruolo di «debitore».
Sotto il profilo oggettivo, «il diritto di procedere ad esecuzione forzata» non è altro che!'azione
esecutiva che si fonda sul titolo esecutivo. Si tratta dunque di contestare il tipico effetto processuale
del titolo attraverso la negazione dell’ esistenza di un titolo, fin dall'origine, o per sopravvenuta
caducazione; o attraverso la negazione della idoneità soggettiva del titolo a fondare l'esecuzione ad
opera di quel soggetto o contro quel soggetto; o attraverso la negazione della idoneità del titolo a
fondare quella esecuzione; o attraverso la negazione della corrispondenza della misura richiesta col
contenuto del titolo; oppure per ragioni di merito, attraverso la negazione dell'esistenza attuale del
diritto per la cui attuazione si procede ad esecuzione forzata, contestando la situazione sostanziale
così come è enunciata nel titolo, attraverso la allegazione di fatti impeditivi o estintivi.
In quest'ultimo caso (c.d. opposizione di merito all'esecuzione) l'ambito delle possibilità di
contestare da parte del debitore è diverso a seconda che il titolo sulla cui base si procede sia
giudiziale oppure stragiudiziale; ed infatti nel caso dell'opposizione di merito, come anche in quello
in cui si fanno valere i vizi processuali di formazione del titolo (c.d. vizi di costruzione), la natura
giudiziale del titolo fa sì che le contestazioni di merito o processuali incontrano il limite generale e
assoluto determinato dal giudicato che copre il dedotto ed il deducibile e sana i vizi processuali; e
perciò tali contestazioni possono fondarsi soltanto su fatti estintivi ed impeditivi successivi alla
formazione del giudicato. Inoltre le contestazioni in discorso incontrano il limite, ugualmente
generale, determinato dalla litispendenza o dalle preclusioni eventualmente verificatesi, nel senso
che le eccezioni e contestazioni di merito o processuali costituiscono, presumibilmente, già oggetto
del giudizio di impugnazione comunque non possono essere sollevate se non in quella sede salvi
solo i vizi di inesistenza.
Se l’esecuzione non ancora iniziata, l’opposizione si instaura con un normale atto di citazione
innanzi al giudice competente.
Ma poiché, in pratica, il debitore della consegna o del rilascio teme le conseguenze del possibile
inizio dell'esecuzione, il nuovo testo dell'art. 615, venendo incontro a queste esigenze in modo che
supera gli espedienti ai quali la giurisprudenza era solita ricorrere, dispone che «il giudice,
concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo».
Si svolgerà così, ad iniziativa del debitore (che diviene opponente, ossia attore in opposizione) o di
colui che è equiparato al debitore, un normale giudizio di cognizione (destinato a concludersi con
una sentenza ora non impugnabile, ma solo ricorribile per cassazione ex art. 111 cost.) il cui
collegamento con l'esecuzione sta in ciò che la sentenza alla quale tende è destinata ad influire sul
titolo o per negare o per riaffermare la sua efficacia, ossia per negare o riaffermare l'esistenza
dell'azione esecutiva.
Diversamente, quando l'esecuzione è già iniziata, da un lato, occorre evitare il già attuale pericolo in
ipotesi irreparabile - che venga esecutivamente attuato un diritto che si assume inesistente; e perciò
occorre poter fermare provvisoriamente l'esecuzione.
Per tali ragioni l’art. 615, 2° comma dispone che, quando l'esecuzione è già iniziata, l'opposizione
all'esecuzione va proposta con ricorso al giudice dell'esecuzione, il quale fissa, con decreto in calce
al ricorso stesso, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé (udienza che per il nuovo art. 185
disp. att., si svolge con le forme del giudizio camerale) ed un termine perentorio per la notificazione
del ricorso e del decreto. Alla udienza così fissata, il giudice dell'esecuzione - che in quel momento
assomma le funzioni di organo del processo esecutivo e di giudice dell'opposizione si pronuncia
sull'eventuale istanza di sospensione dell'esecuzione, concedendo tale sospensione qualora
sussistano gravi motivi.
Pertanto, il giudizio di opposizione si svolgerà d'ora innanzi in modo autonomo secondo le consuete
regole del giudizio di cognizione, a cominciare da quelle sulla competenza: nell'ipotesi che queste
regole sulla competenza indichino come competente per la causa di opposizione il tribunale al quale
appartiene il giudice dell'esecuzione, i due processi (quello esecutivo e quello di opposizione)
procederanno in modo autonomo l'uno dall'altro sicché le funzioni di giudice istruttore potrebbero
essere affidate ad altro magistrato designato dal presidente. In questa ipotesi – così l'art. 616 nel
testo integrato della L. 52/2006, che competente per la causa sia l'ufficio giudiziario al quale
appartiene il giudice dell'esecuzione, questo «fissa un termine perentorio per l'introduzione del
giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione
a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'art. 163 bis, o altri, se
previsti; ridotti alla metà. Altrimenti rimette la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente
assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa».
Così se le regole della competenza indicano come competente un altro giudice mentre i criteri della
competenza per territorio riconducono al luogo dell'esecuzione, la norma sopra riportata dispone
che il giudice dell'esecuzione, con ordinanza, rimette le parti davanti all'ufficio giudiziario
competente, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a
quest'ultimo. Si tratta di provvedimento ordinatorio che non implica pronuncia sulla competenza e
perciò non è impugnabile col regolamento.
La parte convenuta - che è la parte che chiede l'esecuzione - si può costituire con comparsa di
risposta e può svolgere la sua attività difensiva che di solito consisterà nella richiesta del rigetto
dell' opposizione con la contestazione del suo fondamento sia processuale che di merito; si ritiene,
d'altra parte, che il creditore opposto possa anche superare l'ambito della semplice attività difensiva
e proporre anche domanda riconvenzionale (ad es. per chiedere la condanna, se l'esecuzione si
svolge sul fondamento di un titolo stragiudiziale), ma non sarebbe corretto configura re questo
potere come un onere perché l'oggetto del processo consiste nella contestazione del diritto di
procedere ad esecuzione soltanto per il motivo dedotto dall' opponente e non per tutti i possibili
motivi. Se la parte istante. rinuncia al precetto, non ne consegue l'estinzione del giudizio di
opposizione, ma la cessazione della materia del contendere, mentre la decisione avverrà con
sentenza; in caso di competenza del tribunale, di regola senza previa rimessione al collegio, per cui
la decisione di queste cause spetta al tribunale in composizione monocratica.
La sentenza che conclude il giudizio dopo l'eventuale istruzione, e che, come si è veduto, è
dichiarata non impugnabile, sarà di accoglimento o di rigetto dell' opposizione. In quest'ultimo caso
la sentenza passata in giudicato ha portata di mero accertamento del legittimo svolgimento e della
proseguibilità dell'esecuzione sotto il profilo dedotto come motivo dell'opposizione. Nel caso
dell'accoglimento, la sentenza passata in giudicato ha la portata - pure dichiarativa - di negare
l'esistenza o l'efficacia attuale del titolo esecutivo o comunque dell' azione esecutiva nel suo
concreto esercizio, con la conseguente invalidazione degli atti compiuti e negazione radicale (che
cioè trascende il motivo addotto) del potere di iniziare o di proseguire il processo esecutivo.
L'opposizione all'esecuzione non è sottoposta ad alcun termine, ma, presupponendo la pendenza del
processo esecutivo, non può essere iniziata dopo la pronuncia del provvedimento che chiude tale
processo.
La procedura di legge è estesa anche al caso dell'opposizione che riguarda la pignorabilità dei beni.
L’opposizione agli atti esecutivi
L'opposizione agli atti esecutivi è la seconda delle due opposizioni che si ricollegano all'iniziativa
del debitore.
Sotto il profilo della legittimazione attiva, con riguardo all'opposizione all'esecuzione va solo
aggiunto il rilievo che la contestazione del «come» che è l'oggetto di questa opposizione, in quanto
può investire i singoli atti per se stessi, allarga 1'ambito dei soggetti legittimati all' opposizione
formale, rispetto a quelli legittimati all'opposizione all'esecuzione. L'opposizione in discorso può,
infatti, essere proposta, oltre che dal debitore dal terzo assoggettato all'esecuzione, anche da tutti i
soggetti destinatari dei singoli atti interessati a rimuoverli, compresi gli intervenienti e quelli che nel
processo esecutivo hanno un ruolo marginale.
La legittimazione passiva spetta alla parte istante, ma anche ai creditori intervenuti e gli altri
interessati sono litisconsorti necessari.
Con riguardo all'oggetto, si è già detto che qui si contesta il «come» dell'esecuzione, ossia non si
nega che il creditore abbia l'azione esecutiva, ma si contesta la legittimità del modo col quale
l'esercizio dell’azione è avvenuto, o è stato preannunciato; si contesta, in altri termini, la regolarità
formale dei singoli atti o di un singolo atto del processo esecutivo o degli atti che lo preannunciano.
La irregolarità formale che costituisce il fondamento dell'opposizione in discorso, è più ampia della
nullità, in quanto la comprende senza esaurirsi in essa, lasciando un margine per le ipotesi di
irregolarità che non sono nullità, e nel quale vanno incluse tutte quelle divergenze dalla fattispecie
legale che, da un lato, non sono espressamente previste dalla legge come nullità e, dall'altro lato,
non consistono in difetti di requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell'atto.
La eventuale contestazione che può sollevarsi con l'opposizione in parola è configurata, dall'art.
617, 1° comma, come contestazione della regolarità formale del titolo esecutivo. Ma si noti:
contestazione della sola regolarità formale, poiché se si sostenesse la nullità del titolo o, a maggior
ragione, la sua inesistenza (o si negasse la qualità di titolo esecutivo) si rientrerebbe nel campo
dell'opposizione all'esecuzione.
Altra ipotesi di contestazione configurata espressamente dallo comma dell'art. 617 consiste nella
contestazione della regolarità formale del precetto: si pensi al caso in cui nel precetto manca la data
della notificazione del titolo, avvenuta in precedenza; ma qui la nozione di regolarità non è più
contrapposta a quella della nullità, bensì comprensiva di essa; così come anche nel caso della
contestazione della regolarità della notificazione del titolo e del precetto nonché nel caso di
omissione della notifica del titolo.
Il vizio di regolarità investe un atto anteriore all'inizio dell'esecuzione; ma può anche accadere che il
vizio investa un atto successivo all'inizio dell'esecuzione stessa: ad es. un vizio di forma del
pignoramento o dell'istanza di vendita.
Venendo al modo col quale si propone questa opposizione, anche per l'opposizione agli atti
esecutivi, come per l'opposizione all'esecuzione, la legge distingue tra i casi di opposizione quando
l'esecuzione non è ancora iniziata e i casi di 0pposizione successiva all'inizio dell'esecuzione. Nella
prima ipotesi - in cui si contesta la regolarità formale del titolo o del precetto, poiché questi sono i
soli atti relativi al processo esecutivo, anteriori all'inizio del processo stesso - l'art. 617, 1° comma
dispone che l'opposizione si propone con atto di citazione. Più precisamente, essa si propone dal
«debitore» con atto di citazione davanti al giudice da notificarsi entro 20 giorni dalla notificazione
del titolo esecutivo o del precetto. Ed è bene notare subito che questo termine già di 5 e ora di 20
giorni è un elemento caratteristico e costante dell'opposizione di cui trattasi; si può dire infatti, in
linea generale, che questa opposizione va sempre proposta entro venti giorni dal compimento o
dalla notificazione dell'atto che si assume viziato o irregolare.
Il termine di 20 giorni decorre dal compimento del primo atto di esecuzione, quando - venendo così
ai casi di opposizione proposta dopo l'inizio dell'esecuzione - si fa valere il vizio della notificazione
del titolo o del precetto, oppure un vizio di regolarità del titolo o del precetto che non sia stato
possibile far valere prima dell'inizio dell'esecuzione. Infine, tale termine decorre dal giorno del
compimento di ciascun singolo atto, quando si contesta la regolarità di un qualsiasi atto successivo
all'inizio dell' esecuzione e comunque dal momento in cui le parti del processo esecutivo vengono a
conoscenza dell'atto stesso, o dell'atto conclusivo della relativa fase.
In tutti questi casi di opposizione successiva all'inizio dell'esecuzione, la opposizione stessa va
proposta anziché con citazione, con ricorso al giudice dell’esecuzione analogamente a quanto si è
visto per l'opposizione alla esecuzione.
Anche qui il giudice dell'esecuzione fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a
sé e il termine perento rio per la notificazione del ricorso e del decreto, pronunciando nei casi
urgenti gli eventuali provvedimenti opportuni, inoltre, in questa udienza potrà anche revocare i
provvedimenti urgenti eventualmente già pronunciati.
Ora sia che il giudizio sia stato iniziato con citazione prima dell'inizio dell'esecuzione, e sia che sia
stato iniziato con ricorso dopo tale inizio, esso si svolge con le regole proprie del giudizio di
cognizione, analogamente a quanto si è visto per il giudizio di opposizione all'esecuzione e fermo
restando che l'opponente si costituisce col semplice deposito del ricorso mentre il convenuto
opposto potrà costituirsi prima dell'udienza fissata per il giudizio di merito, ferma la validità della
prassi secondo la quale, nelle opposizioni ad esecuzione iniziata, il convenuto suole costituirsi alla
prima udienza di comparizione innanzi al giudice dell'esecuzione,
Tuttavia, rispetto a questo ultimo giudizio, possiamo evidenziare alcune ulteriori essenziali
differenze che inducono una parte della dottrina a considerare l'opposizione agli atti esecutivi come
una fase incidentale inserita nel processo esecutivo, e che comunque autorizzano a considerare il
giudizio sull'opposizione agli atti esecutivi come meno autonomo rispetto al processo esecutivo, di
quanto non lo sia il giudizio sull'opposizione all'esecuzione.
Ciò va detto specialmente con riguardo alla competenza, che rimane ferma, in tutto il corso del
giudizio, nel giudice (nel senso di ufficio giudiziario) competente per l'esecuzione; nonché alla non
impugnabilità che da sempre è caratteristica delle sentenze che definiscono questo giudizio
(ancorché ora estesa anche alle sentenze sull'opposizione all'esecuzione). Va peraltro aggiunto che
la suddetta non impugnabilità rimane temperata dalla possibilità - ormai pacificamente riconosciuta
dalla giurisprudenza - di proporre, contro la sentenza in discorso, il ricorso per cassazione previsto
dall'art, 111 della Costituzione che è ora proponibile per tutti i motivi di cui all'art 360.
L'eventuale accoglimento dell'opposizione di cui trattasi darà luogo alla dichiarazione di nullità
degli atti esecutivi contestati, con la conseguente eventuale dichiarazione d'invalidità degli atti
successivi che ne sono dipendenti e così, eventualmente, dell'intero processo esecutivo; la nullità
non ha effetto nei confronti dei terzi acquirenti, salvo il caso di collusione.
Col medesimo atto possono invece essere proposte congiuntamente sia un'opposizione
all'esecuzione e sia un'opposizione agli atti esecutivi o che, d'altra parte, contro due distinte
pronunce contenute in una sentenza formalmente unica, siano proposte le due distinte opposizioni.
L’opposizione del terzo nel processo esecutivo
Con l’opposizione nel processo esecutivo il terzo può far valere eventuali errori nell’esecuzione che
sebbene ritualmente diretta verso il debitore, abbia per errore colpito beni di sua proprietà.
Questo fenomeno si verifica tipicamente nell’espropriazione, quando accade (e l'ipotesi è
particolarmente frequente nell'espropriazione mobiliare presso il debitore) che il pignoramento
colpisca, per errore, beni appartenenti non al debitore, ma ad un terzo, per errore, poiché sappiamo
che il titolo esecutivo non ha alcuna efficacia contro il terzo, e l'ufficiale giudiziario non potrebbe
colpire scientemente beni di un terzo, né il creditore procedente avrebbe interesse a che ciò
avvenisse. Tuttavia, può accadere che l'ufficiale giudiziario pignori beni di un terzo, nella
convinzione che essi appartengano al debitore, secondo la presunzione conseguente al fatto che tali
beni si trovano in luoghi appartenenti al debitore; né sarebbe concepibile che l'ufficiale giudiziario
si astenesse dal pignorare, per il solo fatto che il debitore gli affermasse che quei determinati beni
appartengono ad un terzo; se ciò fosse sufficiente, sarebbe troppo facile, per il debitore, sottrarsi all'
esecuzione forzata. Perciò può accadere che il pignoramento colpisca beni sui quali un terzo
pretenda di avere dei diritti; dando luogo ad un'esigenza di accertamento tipica de processo di
cognizione.
In tali situazioni, la legge lascia l'iniziativa per contestare la legittimità dell'esecuzione non già al
debitore, ma a colui che è direttamente interessato, ossia il terzo. A questo terzo la legge attribuisce
la legittimazione a proporre un'opposizione, con le forme e le caratteristiche del giudizio di
cognizione, in contraddittorio non solo col creditore, ma anche col debitore (quest'ultimo, infatti,
potrebbe contestare il diritto del terzo; mentre è chiaro che l'eventuale riconoscimento spontaneo di
questo diritto da parte del debitore non potrebbe essere decisivo, per l’ipotesi della troppo facile
collusione) nonché degli eventuali più creditori pignoranti. Il conseguente autonomo giudizio di
cognizione dà luogo ad un accertamento (sul diritto vantato dal terzo), che è determinante, in un
senso o nell'altro, sulla legittimità del pignoramento e degli atti successivi e quindi sull'ulteriore
procedibilità dell'esecuzione. Si ritiene che questo accertamento abbia efficacia anche autonoma,
ossia al di fuori dell' esecuzione, naturalmente se ed in quanto su di esso sia sceso il giudicato.
Pertanto, l’art. 619 nel disciplinare questa opposizione, ne determina l'oggetto nella pretesa del
terzo di «avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati), ossia con una formula sembra
non lasciar margine né per far valere vizi del procedimento (salvo specifico interesse), né per una
sua applicazione a fenomeni analoghi. Tali fenomeni analoghi potrebbero essere, da un lato, il caso
in cui, sempre nell'ambito dell'espropriazione, il terzo vanti, sulle cose pignorate, un diritto non
reale, ma personale; e, dall'altro lato, il caso in cui il processo esecutivo sia diverso dalla
espropriazione, ossia consista in una esecuzione diretta.
Con riguardo al fatto che l'art. 619 fa riferimento, per l'opposizione in discorso, alla sola
espropriazione - che la palese limitazione della formula della legge all'espropriazione e ai diritti
reali eventualmente pregiudicati dal pignoramento, ha la sua ragion d'essere in ciò che solo
l'espropriazione coinvolge, con le sue particolari modalità, beni diversi da quelli che costituiscono
oggetto del diritto che si porta ad esecuzione, mentre nelle esecuzioni dirette la coincidenza tra il
bene colpito e il bene oggetto del diritto, di solito esclude la stessa possibilità dell'errore; in altri
termini l'errore che sta alla base del fenomeno sopra descritto è un errore tipicamente inerente a
quella scelta dei beni da pignorare che è propria dell'espropriazione, mentre nell'esecuzione
specifica quell'errore è reso difficilmente immaginabile dal fatto che il titolo esecutivo indica, per
eseguire un diritto ben determinato, un iter altrettanto ben determinato: poiché, di solito, avuto
riguardo alle caratteristiche dell' esecuzione diretta, tale diritto ed iter risulta, già nel titolo,
ingiustamente pregiudizievole per il terzo, questi avrà a disposizione i consueti rimedi del giudizio
di cognizione (tipicamente, l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.
L'opposizione di cui trattasi - che non è proponibile prima del pignoramento - non è assoggettata a
termini di preclusione. Tuttavia, la necessità di tener conto dei diritti di coloro che, per effetto
dell'espropriazione, siano divenuti acquirenti delle cose pignorate, pone un limite alla funzionalità
dell'opposizione, a partire dal momento della vendita o dell'assegnazione; non che l'opposizione in
discorso non possa essere proposta anche dopo tale momento; solo che, in tal caso, gli eventuali
diritti del terzo non possono essere fatti valere che sulla somma ricavata e naturalmente se ed in
quanto questa somma non sia stata ancora distribuita.
L'iter procedimentale è analogo a quello contemplato per l'opposizione all'esecuzione dopo l'inizio
dell'esecuzione stessa: ricorso al giudice dell'esecuzione, fissazione, con decreto, da parte di
quest'ultimo, dell’udienza di comparizione delle parti - che sono, oltre al terzo, anche,
necessariamente, il creditore e il debitore e del termine perentorio per la notificazione del ricorso e
del decreto; designazione del giudice istruttore, quando è competente l'ufficio giudiziario al quale
appartiene il giudice dell'esecuzione o, in caso contrario - che peraltro potrà difficilmente verificarsi
a seguito della soppressione dell'ufficio del pretore - fissazione all'opponente di un termine
perentorio per la riassunzione della causa davanti all'ufficio giudiziario competente per valore; il
tutto, previo eventuale provvedimento di sospensione della vendita.
Tutto ciò è ora espresso sinteticamente nel testo (modificato dalla L. 52/2006) dell'art. 619 ove si
stabilisce che, ove le parti non raggiungano un accordo, il giudice provvede ai sensi dell'art. 616,
tenuto conto della competenza per valore; così richiamando la norma che disciplina l'intero
procedimento di opposizione all'esecuzione (compresa la non impugnabilità della sentenza).
L’eventuale acquiescenza del debitore alle pretese del terzo non può essere ritenuta sufficiente,
stante il pericolo di collusione tra il debitore e il terzo per frustrare l'esecuzione. Il legislatore pone
dei limiti severi ai mezzi di prova di cui il terzo può servirsi per provare il diritto da lui vantato. Più
precisamente, l'art. 621 nega al terzo opponente la possibilità di provare con testimoni il suo vantato
diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore. Questa disposizione va posta
in relazione col rilievo che la stessa presenza di tali beni in luoghi appartenenti al debitore crea una
sorta di presunzione di appartenenza a quest'ultimo, presunzione che il legislatore non considera
superabile se non con la particolare efficacia dello scritto (e, naturalmente, deve trattarsi di scritto
avente data certa anteriore al pignoramento o quanto meno in presenza di particolari circostanze
inerenti alla professione o al commercio esercitato dal terzo o dal debitore, circostanze che rendono
verosimile la suddetta presenza di cose del terzo presso il debitore. E pertanto, solo in quest'ultimo
caso la legge consente al terzo la prova per testimoni.
SOSPENSIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO
ESECUTIVO
La sospensione del processo esecutivo produce conseguenze praticamente analoghe a quelle
prodotte dalla sospensione del processo di cognizione. La sospensione dà luogo ad un arresto della
sequenza degli atti processuali, e nessun atto esecutivo può essere compiuto, salva diversa
disposizione del giudice dell'esecuzione.
Diverso è invece il fenomeno che costituisce la ragione della sospensione. Mentre nel processo di
cognizione tale ragione sta sempre nel fatto che il giudizio in corso dipende dall'esito di un altro
giudizio (pregiudizialità), nel processo esecutivo la ragione della sospensione solo eccezionalmente
consiste nel suddetto rapporto di pregiudizialità. Di solito, nel processo esecutivo, tale ragione sta
nel fatto che in un giudizio di cognizione in corso (in sede di opposizione o anche di impugnazione:
ad es. quando è in corso l'appello contro una sentenza provvisoriamente esecutiva) è in
contestazione 1'esistenza dell' azione esecutiva o la legittimità delle modalità con le quali si sta
svolgendo l'esecuzione. La quale contestazione potrebbe in ipotesi concludersi con una pronuncia di
totale o parziale inesistenza dell'azione o di illegittimità dell'esecuzione.
Di fronte a questa eventualità - il cui grado di probabilità dovrà essere valutato di volta in volta - si
delinea il pericolo che la prosecuzione dell'esecuzione comprometta la situazione di fatto in modo
irreparabile o difficilmente riparabile. Di cui l'opportunità di un arresto provvisorio dell'esecuzione
fino alla definizione del giudizio di cognizione. Non si tratta dunque di ragioni di necessità più o
meno imposta dalla priorità logica; si tratta solo di ragioni di opportunità che stanno palesemente in
relazione con finalità di natura genericamente cautelare.
La portata generale, dell' art. 623, secondo la quale l'esecuzione non può essere sospesa che con
provvedimento del giudice dell'esecuzione, premette una salvezza, per l'ipotesi che la sospensione
sia disposta dalla legge o dal «giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo», con un
evidente riferimento ai casi d'impugnazione, in senso proprio, dei provvedimenti giudiziari che
siano già esecutivi, ma non ancora passati in giudicato.
L'art 624 prevede poi, più dettagliatamente, la sospensione a seguito della proposizione delle
opposizioni di cui agli artt. 615 e 619, comprese le controversie che sorgono in sede di distribuzione
della somma ricavata, ma omettendo ogni accenno all'opposizione agli atti esecutivi.
Tuttavia tale omissione non significa che quella opposizione non possa dar luogo a sospensione
poiché soccorre il potere che l'art. 618 attribuisce, come si è veduto, al giudice dell'esecuzione, di
pronunciare «i provvedimenti opportuni», tra i quali il più recente testo della norma prevede
espressamente la sospensione della procedura dei singoli atti esecutivi. Mentre, d'altra parte, il fatto
stesso della proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi sospende il decorso del termine di
efficacia del pignoramento.
Il nuovo testo dell'art. 624 contiene ora un secondo comma, nel quale si dispone che «contro
l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 669
terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimento di cui
all'art. 512, 2 comma».
Un'ulteriore innovazione è stata poi introdotta dal 3 comma di questo art, 624, con l'offerta,
all'opponente che ha ottenuto la sospensione (non reclamata o disposta o confermata in sede di
reclamo), di un'alternativa rispetto all'instaurazione del giudizio di merito (che può comunque
essere instaurato da ogni interessato). Questa alternativa consiste nella facoltà di chiedere al giudice
dell' esecuzione 1'estinzione del pignoramento previa eventuale cauzione e con salvezza degli atti
compiuti: ciò con ordinanza non impugnabile ad efficacia endoprocessuale, ossia non invocabile in
un diverso processo. Si tratta in sostanza della facoltà di sostituire un provvedimento strumentale (la
sospensione) con un provvedimento definitivo (l'estinzione).
D'altra parte, la nuova legge, venendo incontro ad un'esigenza assai avvertita, disciplina, in un
nuovo art, 624 bis, la sospensione su istanza concorde delle parti, così legittimando e regolando una
prassi già in atto,
«Il giudice dell'esecuzione - dispone dunque l'art. 624 bis - su istanza di tutti i creditori muniti di
titolo esecutivo, può, sentito il debitore, sospendere il processo fino a ventiquattro mesi. L'istanza -
così la norma come ora integrata dalla L. 263/2005 - può essere proposta fino a venti giorni prima
della scadenza del termine per il deposito delle offerte di acquisto o, nel caso in cui la vendita senza
incanto non abbia luogo, fino a quindici giorni prima dell'incanto. Sull'istanza, il giudice provvede
nei 10 giorni successivi al deposito e, se l'accoglie, dispone, nei casi di cui al 2 comma dell' art, 490,
che, nei cinque giorni successivi al deposito del provvedimento di sospensione, lo stesso sia
comunicato al custode e pubblicato sul sito Internet sul quale è pubblicata la relazione di stima. La
sospensione è disposta per una sola volta. L'ordinanza è revocabile in qualsiasi momento, anche su
richiesta di un solo creditore e sentito comunque il debitore. Entro 10 giorni dalla scadenza del
termine la parte interessata deve presentare istanza per la fissazione dell’udienza in cui il processo
deve proseguire”.
L'art. 625 dispone poi che sull'istanza di sospensione - che, come si è veduto, può essere proposta
anche indipendentemente dalla pendenza di un'opposizione - il giudice provvede con ordinanza
sentite le parti, ossia previa instaurazione di un contraddittorio sia pure limitato. Soltanto nei casi
urgenti, il giudice può disporre la sospensione prima di instaurare il contraddittorio, provvedendo
con un decreto col quale fissa l'udienza di comparizione delle parti. All'udienza provvede poi con
ordinanza (art. 625, 2 comma).
L'art. 627 disciplina l'iter per la ripresa del processo esecutivo dopo la sospensione. Tale ripresa
avviene con un atto impropriamente definito «riassunzione» in analogia col fenomeno
corrispondente nel giudizio di cognizione. È previsto un ricorso da inoltrarsi nel termine perentorio
fissato dal giudice dell'esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in
giudicato della sentenza che rigetta l'opposizione, o dalla sua comunicazione, se si tratta di sentenza
d'appello. L'istanza è rivolta al giudice dell'esecuzione che, con decreto, dispone la comparizione
delle parti.
L’estinzione del processo esecutivo
L’estinzione del processo esecutivo è stato configurata dal legislatore secondo uno schema analogo
quello proprio dell'istituto medesimo nel processo di cognizione, senza che peraltro sia stato tenuto
adeguatamente conto della profonda differenza strutturale dei due processi. Ciò costringe
l'interprete a compiere un delicato lavoro di adattamento.
Occorre, ricordare che l'estinzione del processo di cognizione è configurata dal legislatore come una
ipotesi di fine anormale del processo stesso, per cause diverse da quella fine normale che è
determinata dall'esaurimento della serie degli atti. Ed inoltre occorre tener presente che questo
esaurimento della serie normale degli atti (con conseguente fine normale del processo) si verifica,
nel processo esecutivo, sia nell'ipotesi che sia stato conseguito il risultato di attuazione coattiva del
diritto e sia nell'ipotesi che questo non sia stato conseguito (per ragioni contingenti, come ad es.,
nell'espropriazione, la mancanza o l'insufficienza dei beni del patrimonio del debitore;
l'irreperibilità della cosa da consegnare nell'esecuzione per consegna, ecc.).
Le ragioni che possono dar luogo alla fine anormale del processo sono, anche qui, come nel
processo di cognizione, di due ordini e fanno capo ai due tipi di estinzione:
a) La rinuncia, da compiersi, prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, «personalmente» dal
creditore procedente e dai creditori intervenienti. La rinuncia anche di questi ultimi è necessaria
solo se essi sono muniti di titolo esecutivo; ma se la rinuncia avviene dopo la vendita, occorre che
sia effettuata da tutti i creditori anche non muniti di titolo.
Le modalità della rinuncia, la legge dichiara applicabile, in quanto possibile, la norma dell'art. 306,
che disciplina la rinuncia nel processo di cognizione;
b) per inattività delle parti, che si verifica o per il difetto di atti d'impulso (prosecuzione o
riassunzione) nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice (art. 630, l0 comma), oppure
per mancata comparizione all'udienza, secondo il meccanismo che l'art. 631 configura in modo
analogo a quello col quale opera l'art. 309 c.p.c. nel processo di cognizione tenendo peraltro
presente che - come previsto da un inciso che la L. 263/2005 ha inserito nell'arto 631 - dalle udienze
alla cui diserzione consegue l'estinzione va esclusa quella in cui ha luogo la vendita.
Non sembra infine che sussistano i presupposti normativi per immaginare una diversa forma di
estinzione d'ufficio dell'esecuzione da alcuni ipotizzata come conseguenza della riscontrata
impossibilità di vendita. D'altra parte, il venir meno dei presupposti del processo esecutivo (come,
in particolare, l'efficacia del titolo) non potrebbe essere oggetto che di un provvedimento di
cognizione.
Anche per l'estinzione del processo esecutivo, la legge riproduce il disposto dell'art. 307 ultimo
comma; e qui le perplessità sono ancora maggiori poiché alla contraddizione tra l'operare di diritto e
l'onere di eccezione nella prima difesa (contraddizione da risolversi anche qui, come nel giudizio di
cognizione, ammettendo che gli effetti dell'estinzione, avvenuta di diritto, possono essere eliminati
dalla eventuale mancata eccezione).
Se, quando si verifica l'estinzione, pendono opposizioni, occorre distinguere a seconda che si tratti
di contestazioni sul «come» o di contestazioni sul «se» dell'esecuzione, Nel primo caso, il giudizio
di opposizione si svuota della materia del contendere; non così nel secondo caso, poiché il giudizio
in corso investe i rapporti tra creditore, debitore ed eventualmente un terzo,
Anche nel processo esecutivo, le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno
anticipate. Inoltre, nel processo esecutivo non opera l'interruzione.
Sommario
IL PROCESSO DI ESECUZIONE NEI SUOI ASPETTI GENERALI ........... 89
E ATTI PREPARATORI .................................................................................. 89
Il processo esecutivo. Sue caratteristiche e suoi principi .................................. 89
I diversi tipi di esecuzione forzata e di processo esecutivo ............................... 90
GLI ATTI PREPARATORI DEL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA
.......................................................................................................................... 90
L’ESPROPRIAZIONE FORZATA IN GENERALE E PIGNORAMENTO ... 92
......................................................................................................................... 93
Il pignoramento (in generale) ............................................................................ 93
L’intervento dei creditori nell’espropriazione (in generale) ............................. 94
Vendita forzata assegnazione e distribuzione della somma ricavata ................ 94
(in generale)
...................................................................................................... 94
L’ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL DEBITORE ..................... 95
L’ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO TERZI .................................. 96
L’ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE ......................................................... 97
L’ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI E L’ESPROPRIAZIONE
CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO ........................................................ 100
L’ESECUZIONE DIRETTA O IN FORMA SPECIFICA ............................. 101
L’esecuzione per consegna o rilascio .............................................................. 101
LE OPPOSIZIONI NEL PROCESSO ESECUTIVO .................................... 104
SOSPENSIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO ........... 110
L’estinzione del processo esecutivo ................................................................ 113
Sommario
........................................................................................................ 114
I PROCEDIMENTI SOMMARI DI ACCERTAMENTO CON PREVALENTE
FUNZIONE ESECUTIVA
PROCEDIMENTO D'INGIUNZIONE
Il procedimento d'ingiunzione è un procedimento di cognizione, e più
precisamente di condanna. Esso appartiene alla categoria di quegli
accertamenti che sono detti «accertamenti con prevalente funzione esecutiva»
in quanto caratterizzati dall'esigenza di conseguire, il più rapidamente
possibile, il titolo esecutivo e con esso l'avvio dell'esecuzione forzata; nonché,
dalla sommarietà della cognizione. La cognizione è, in questo procedimento,
sommaria perché superficiale.
La sommarietà (c.d. superficialità) della cognizione costituisce, dunque, nel
procedimento di ingiunzione, lo strumento strutturale per mezzo del quale la
legge vuole conseguire lo scopo di ottenere, in determinati casi, la rapida
formazione di un titolo esecutivo.
Appare, pertanto, evidente che i casi nei quali la sommarietà della cognizione
appare possibile, prima ancora che opportuna, sono quelli nei quali il giudizio
può risultare più semplice, e più probabile l'effettiva esistenza del diritto che si
fa valere; e ciò sia per la natura e l'oggetto del diritto stesso e sia per la
particolare attendibilità della prova offerta a fondamento di quel diritto. In
secondo luogo appare evidente che la sommarietà della cognizione deve
assolvere a due esigenze che di solito sono tra loro contrastanti: eliminare le
complessità del giudizio ordinario di cognizione in funzione delle esigenze del
contraddittorio, senza d'altra parte eliminare le garanzie di uguaglianza insite
nel contraddittorio stesso. Il conseguimento della prima di queste esigenze,
senza sacrificare l'altra, costituisce un problema di tecnica processuale che i
legislatori di molti paesi risolvono con l'impiego di un espediente: quello di
articolare il procedimento in due fasi. Una prima fase (che è la sola che
presenta i caratteri della sommarietà della cognizione) si instaura ad iniziativa
di chi fa valere un diritto di credito (ossia colui che si afferma creditore), si
svolge in modo rapidissimo, senza contraddittorio, e si conclude con un
provvedimento (decreto ingiuntivo) pronunciato - qui sta appunto la
sommarietà (per superficialità) della cognizione - addirittura inaudita altera
parte; ed una seconda fase che può svolgersi ad eventuale iniziativa di colui nei
cui confronti è stato pronunciato il decreto ingiuntivo (c.d. debitore ingiunto) e
nella quale quest'ultimo, fruendo di tutte le garanzie del contraddittorio, può
ovviare al pregiudizio che può aver subito per la sommarietà della cognizione
nella prima fase. In sostanza, il debitore ingiunto, dopo la pronuncia inaudita
altera parte del decreto ingiuntivo e la successiva notificazione a lui di questo
provvedimento, può, entro un breve termine perentorio esercitare un potere in
tutto analogo a quello di un'impugnazione (opposizione). La proposizione
dell'opposizione instaura un giudizio che si svolge con tutte le garanzie del
contraddittorio (c.d. contraddittorio differito), e che è ancora di primo grado in
quanto si sostituisce interamente (come giudizio, appunto, di primo grado) a
quello svoltosi sommariamente nella prima fase.
Il decreto ingiuntivo viene così sostituito dalla sentenza che chiude la fase di
opposizione.
L'art. 633 e ss. indica, sotto la generica denominazione di «condizioni di
ammissibilità», i requisiti necessari per poter impiegare le forme del
procedimento d'ingiunzione. Tali requisiti concernono, il diritto che si può far
valere con queste forme; la prova su cui tale diritto si fonda; ed infine, tal une
modalità particolari che concernono da un lato l'ipotesi che il diritto fatto valere
dipenda da una controprestazione e, dall'altro lato, il luogo nel quale il decreto
dovrebbe essere notificato.
A) Con riguardo al diritto che si fa valere. In base al disposto del l comma
dell'art. 633, le forme del procedimento d'ingiunzione possono essere
impiegate, innanzi tutto, soltanto per far valere un credito: ma - si noti - un
credito, nel senso ampio per cui è credito ogni diritto ad un'altrui prestazione.
Inoltre, codesto credito deve essere esigibile ed avere ad oggetto o una somma
di denaro o una quantità di cose fungibili; ma è essenziale che tale somma sia
liquida (ossia precisata nel suo importo) e che tale quantità sia determinata;
infine, il credito può avere ad oggetto la consegna di una cosa mobile
determinata. Rimangono così esclusi, oltre ai crediti di fare e di non fare, solo i
crediti di rilascio di cose immobili e quelli aventi ad oggetto quantità non
determinate di denaro o di altre cose mobili fungibili; nel primo caso,
l'esclusione è dovuta all'inopportunità e mancanza di necessità di un
accertamento accelerato; nel secondo caso, all'incompatibilità tra la tecnica con
cui la legge realizza questo accertamento accelerato e l'indeterminatezza del
credito.
Tuttavia, quando il credito ha per oggetto:
a) onorari o rimborso di spese a favore di avvocati, procuratori o di chi in
generale ha prestato la propria opera in occasione di un processo;
b) onorari di notai o di altri esercenti una professione per la quale esiste una
tariffa legalmente approvata il requisito della prova scritta è di regola sostituito
con quello della parcella sottoscritta dal creditore e corredata dal parere della
competente associazione professionale.
B) Con riguardo alla prova. Di regola l'accesso alle forme del procedimento
ingiuntivo dipende anche dal fatto che del diritto fatto valere si dia prova
scritta. Tale requisito sta in relazione col fatto che la funzione e la tecnica del
procedimento di cui trattasi esigono da un Iato una forte probabilità di esistenza
del credito e, dall'altro lato, una rapida riscontrabilità di tale esistenza o, quanto
meno, di tale probabilità. La nozione di prova scritta che qui viene in rilievo
non è del tutto la stessa che emerge dalla disciplina contenuta nel codice civile
e negli altri libri del codice di procedura civile. La differenza consiste in un
lieve allargamento della portata probatoria, allargamento che sta in relazione
col fatto che, nella mancanza di ogni onere di contestazione, non si può qui
configura re alcuna efficacia di prova legale; il che dà luogo ad un più ampio
affidamento alla libera valutazione del giudice. Più in concreto, tale
allargamento riguarda innanzi tutto il fatto che, contrariamente a quanto si è
veduto per il processo ordinario, può attribuirsi qui efficacia probatoria anche
allo scritto proveniente da un terzo, nonché il rilievo che le scritture private
provenienti dal debitore hanno efficacia probatoria sebbene non ancora
riconosciute (salva naturalmente la facoltà di disconoscerle nella fase di
opposizione) e, più in generale, anche in mancanza dei requisiti prescritti dal
codice civile. In secondo luogo, tale allargamento consiste nel fatto che gli
estratti autentici delle scritture contabili di un imprenditore regolarmente
bollate e vidimate, costituiscono prova a suo favore non solo nei rapporti con
altro imprenditore (come previsto dall'art. 2710 c.c.), ma anche nei confronti di
chi non è imprenditore.
C) Con riguardo all'ipotesi che il diritto dipenda da una controprestazione. In
questa ipotesi occorre che il ricorrente offra elementi idonei a far presumere
l'adempimento della controprestazione o l'avveramento della condizione.
D) Con riguardo al luogo di notificazione, l'art. 633, 3 comma disponeva che
l'accesso alle forme dell'ingiunzione fosse consentito solo quando la
notificazione di cui all'art. 643 dovesse avvenire nel territorio della
Repubblica. Ma questa anacronistica disposizione, a lungo criticata dalla
dottrina unanime, è stata finalmente abrogata dal D.Lgs. 9 ottobre 2002 n.
231.
La domanda introduttiva del procedimento ingiuntivo è proposta con ricorso.
La differenza più rilevante tra questo atto e quello con cui si propone la
domanda in via ordinaria (ossia l'atto di citazione) sta nel fatto che esso ha la
struttura formale di un atto che si rivolge direttamente al giudice senza
previamente provocare l'altra parte al contraddittorio: in sostanza esso contiene
solo la proposizione della domanda al giudice (editio actionis) e non anche la
vocatio in jus della controparte. Il ricorso deve contenere oltre all'indicazione
del giudice competente, del creditore ricorrente (e del suo procuratore), nonché
del debitore, l'esposizione del fatto e l'affermazione del credito, l'elezione di
domicilio, l'indicazione delle prove (scritte) che si producono. Quando la
domanda riguarda la consegna di una quantità di cose fungibili, il ricorrente
deve inoltre dichiarare, nel ricorso, la somma di denaro che è disposto ad
accettare in mancanza della prestazione in natura.
Il ricorso, una volta redatto, corredato con la procura e sottoscritto dal
procuratore, non viene notificato all'altra parte, ma senz'altro depositato -
insieme con i documenti che costituiscono la necessaria prova scritta - nella
cancelleria del giudice competente.
Giudice competente è esattamente quello che sarebbe competente per la
domanda proposta in via ordinaria. Va tuttavia tenuta presente una particolarità
che consegue al rilievo che la funzione e la struttura di questa prima fase
esigono una pronuncia immediata, quale può essere effettuata soltanto da un
giudice unipersonale. In relazione a ciò, mentre non sorge alcun problema
quando la competenza spetta al giudice di pace quando viceversa la
competenza spetta al tribunale, occorre che la domanda sia proposta ad un
organo uni personale di questo giudice: perciò la legge che prevede la
proposizione al tribunale in composizione monocratica. Sempre a proposito
della competenza, va rilevata anche una competenza aggiuntiva e facoltativa
per i crediti a favore degli avvocati, in capo sia al giudice che ha deciso la
causa alla quale il credito si riferisce, e sia al giudice del luogo dove ha sede il
Consiglio dell'ordine al quale è iscritto l'avvocato creditore.
Il ricorso, corredato con i documenti, depositato in cancelleria, viene, dal
cancelliere, sottoposto immediatamente all'esame del giudice, il quale,
pronunciandosi inaudita altera parte può rigettare oppure accogliere la
domanda.
Il rigetto della domanda consegue al difetto di uno o più dei presupposti o
requisiti specifici sopra esaminati oppure ad una insufficiente giustificazione
della domanda. In quest'ultimo caso, il giudice, prima di pronunciare il rigetto,
dispone che il cancelliere inviti il ricorrente ad eventualmente integrare la
documentazione. Se questa integrazione non viene effettuata o risulta
insufficiente o comunque se la domanda non appare fondata, il giudice la
rigetta con decreto motivato. La caratteristica di questo decreto di rigetto sta
nel fatto che esso non pregiudica minimamente la riproposizione della
domanda né in via ingiuntiva né in via ordinaria. In altri termini, esso non dà
luogo al giudicato e, correlativamente, non è impugnabile, mancando, tra
l'altro, ogni ragion d'essere dell'impugnazione.
Se invece esistono le condizioni previste dalla legge ed il giudice ritiene
fondata la domanda, il giudice accoglie la domanda; per far ciò pronuncia, in
calce al ricorso, un decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal
deposito del ricorso che è appunto il decreto ingiuntivo - col quale ingiunge al
ritenuto debitore di pagare la somma entro il termine di quaranta giorni.
Se l'intimato risiede in uno degli altri Stati dell'Unione europea il termine è di
cinquanta giorni e può essere ridotto fino a venti giorni. Se l'intimato risiede in
altri Stati, il termine è di sessanta giorni e, comunque non può essere inferiore a
trenta né superiore a centoventi.
Nel medesimo decreto è contenuto l'espresso avvertimento:
a) che nel termine suddetto può essere proposta, dallo stesso ritenuto debitore,
l'opposizione che introduce la seconda fase e di cui si parlerà tra poco
b) che, se il suddetto termine trascorrerà senza che l'opposizione sia stata
proposta, si procederà ad esecuzione forzata. Ancora col medesimo decreto, il
giudice liquida a favore del creditore le spese del procedimento e ne ingiunge il
pagamento.
Naturalmente il decreto ingiuntivo non acquista efficacia esecutiva se non se e
quando sia decorso il termine dei quaranta giorni senza che sia stata proposta
opposizione. Tuttavia, la legge contempla alcune ipotesi eccezionali nelle quali
il decreto ingiuntivo può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo. Tali
ipotesi eccezionali possono riscontrarsi o al momento stesso della pronuncia
del decreto, oppure nel momento iniziale della fase di opposizione.
Se il credito è fondato su cambiale, assegno, certificato di borsa o atto notarile
o, comunque, su atto pubblico, e sempre che il creditore ne abbia fatta richiesta
col ricorso, nonché quando il credito concerne il recupero di contributi
obbligatori da parte degli enti previdenziali, il giudice attribuisce al decreto
efficacia esecutiva provvisoria; più precisamente, ingiunge al debitore di
adempiere all'obbligazione immediatamente (cioè subito dopo la notificazione)
autorizzando, in mancanza, l'esecuzione provvisoria. Ciò naturalmente non
costituisce ostacolo alla proposizione dell'opposizione, in funzione della quale,
pertanto, il giudice ha ancora motivo di fissare il termine che di solito è di
quaranta giorni. Oltre che per queste ragioni di particolare qualificazione della
prova scritta, l'esecutorietà provvisoria può essere attribuita al decreto
ingiuntivo nell'eventualità che sussista un pericolo di grave pregiudizio nel
ritardo.
Se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore comprovante
il diritto fatto valere»; il giudice può tuttavia imporre al ricorrente una
cauzione. Nell'uno e nell'altro caso, il giudice può anche dispensare il creditore
dall'osservanza del termine che di regola deve essere concesso col precetto.
Non mancano, infine, ipotesi eccezionali nelle quali il decreto ingiuntivo è
esecutivo ex lege.
Mentre l'originale del ricorso, con l'originale del decreto steso in calce ad esso,
rimane depositato in cancelleria insieme con i documenti il ricorrente deve aver
cura di provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto in copia
autentica.
Se tale notificazione non avviene entro il termine di sessanta giorni dalla
pronuncia del decreto, quest'ultimo perde ogni sua efficacia; salva tuttavia la
possibilità di riproporre la domanda.
L'atto della notificazione del ricorso e del decreto assume un'evidentissima
importanza rispetto alla tecnica su cui è imperniato il procedimento ingiuntivo
e rispetto alla sua funzione. Basti tener presente, al riguardo, che appunto
attraverso quella notificazione l'asserito debitore viene finalmente a conoscere
la domanda del ricorrente, di cui fino a quel momento era rimasto all'oscuro; ed
insieme viene a conoscere il decreto pronunciato contro di lui e senza il suo
contraddittorio. Nel momento in cui apprende tutto ciò, il debitore si sente
provocato al contraddittorio in quanto legge sul decreto che, se ha ragioni da
far valere, e per le quali ritiene ingiusto il decreto, può proporre opposizione
nel termine; e contemporaneamente legge che se lascerà decorrere tale termine
senza aver proposto l'opposizione, egli subirà l'esecuzione forzata; e ciò in
forza di un provvedimento che, sebbene pronunciato senza la sua
partecipazione, egli avrà praticamente accettato con la sua acquiescenza, In
relazione a ciò, la legge enuncia che la notificazione - che, come si ricorderà,
costituisce il momento d'inizio della decorrenza del termine per l'opposizione -
determina la pendenza della lite. Ed infatti è in quel momento che il
contraddittorio può dirsi attuato, sia pure nella forma embrionale della
provocazione al contraddittorio stesso sotto pena delle conseguenze proprie
dell'acquiescenza. In relazione a ciò sta la veduta disposizione per la quale i
documenti allegati al ricorso debbono rimanere in cancelleria fino alla
scadenza del termine per l'opposizione: il debitore deve poterli conoscere per
poter formulare la sua opposizione o per decidere di non opporsi.
La fase (eventuale) di opposizione
Competente per il giudizio di opposizione è l'ufficio giudiziario al quale
appartiene il giudice monocratico che ha emesso il decreto: giudice di pace o
tribunale in composizione monocratica. Si tratta di competenza che non tollera
deroghe, neppure nel caso di incompetenza del giudice che ha pronunciato il
decreto, nonché neppure in caso di continenza, connessione sia generica e sia
specifica.
L'atto col quale viene introdotta la fase di opposizione del procedimento
ingiuntivo è un normale atto di citazione, da sottoscriversi dal difensore munito
di procura e che va notificato al ricorrente. Tale notificazione deve essere
effettuata nel domicilio che il ricorrente ha eletto nel ricorso o nella residenza
dichiarata, nel comune dove ha sede il giudice adito e quindi, nella maggior
parte dei casi, presso il procuratore del ricorrente. Questo atto di citazione di
opposizione è al tempo stesso l'atto introduttivo della fase di opposizione e
l'atto il cui compimento impedisce la decadenza dalla proposizione
dell'opposizione; è, insomma, l'atto che l'opponente ha l'onere di compiere nel
termine perentorio assegnatogli col decreto e che è di quaranta giorni.
Il meccanismo introduttivo di questa fase è in tutto identico al meccanismo
introduttivo di un'impugnazione e più precisamente del giudizio di appello a
cominciare dalla legittimazione ad agire, che spetta all'ingiunto e non ad altri.
Una volta introdotto, il giudizio di opposizione costituisce un giudizio di primo
grado, che conduce ad una sentenza assoggettata alle comuni impugnazioni
previste per le sentenze, a cominciare dall'appello. Se ne deve desumere che il
giudizio di opposizione è soltanto una fase eventuale del giudizio di primo
grado, la cui introduzione avviene con le forme e le modalità proprie
dell'impugnazione e la cui mancata introduzione dà luogo all'immediata
formazione del giudicato.
Il legislatore ha chiaramente mostrato di voler configurare l'atto di opposizione
come l'atto introduttivo non già di un giudizio autonomo e neppure di un grado
autonomo, ma semplicemente di una fase (eventuale) del giudizio già pendente;
più precisamente ha mostrato di voler attribuire alla suddetta (eventuale)
introduzione della fase di opposizione, la portata di una autentica riconduzione
del procedimento entro i binari del processo ordinario di cognizione.
In seguito all'opposizione, il giudizio si svolge secondo le norme del
procedimento ordinario davanti al giudice adito. Questo significa, in pratica,
che l'opposizione che, da un lato, non toglie automaticamente di mezzo il
decreto ingiuntivo, dall'altro lato, gli sottrae ogni efficacia diretta sicché le parti
si ritrovano davanti al giudice di primo grado nella stessa posizione sostanziale
che avrebbero avuto se il decreto non fosse mai stato pronunciato; mentre, sotto
il profilo formale, il decreto rimane come punto di riferimento della pronuncia
che chiude il giudizio di primo grado, nel quale l'attore in opposizione è colui
che nel giudizio ordinario sarebbe stato il convenuto, e viceversa. Più
concretamente: la pronuncia del decreto inverte solo l'onere dell'instaurazione
dell'effettivo contraddittorio senza ulteriormente influire sulla posizione delle
parti davanti al giudice, ed in particolare senza invertire l'onere della prova, per
il quale vigono le regole generali, così come con riguardo alla portata e all'
efficacia delle prove. In pratica, l'atto di opposizione, che ha la struttura
dell'atto di citazione, ha il contenuto della comparsa di risposta. Il tutto in
funzione di un giudizio (di primo grado) che investe senz'altro e comunque il
merito della pretesa del creditore, senza arrestarsi agli eventuali vizi della
procedura monitoria.
Si è veduto che l'opposizione va proposta entro il termine assegnato, che è
normalmente di quaranta giorni. In via del tutto eccezionale l'art. 650 consente
l' opposizione (c.d, tardiva) nonostante l'avvenuta scadenza del termine, quando
l'opponente prova di non aver avuto tempestivamente conoscenza del decreto,
per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o per forza maggiore e
purché non siano trascorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione.
Si tratta di un rimedio di carattere straordinario che, d'altra parte, preclude ogni
altro rimedio.
Dobbiamo ora vedere i casi nei quali l'esecutorietà provvisoria, non concessa al
momento della pronuncia del decreto, può essere concessa in seguito, ossia
dopo la proposizione dell'opposizione, e nonostante tale proposizione. La
suddetta possibilità si verifica alla prima udienza innanzi all'istruttore nel
giudizio di opposizione. Più precisamente, l'art. 648 c.p.c. attribuisce il potere
di concedere l'esecutorietà provvisoria, con decreto non impugnabile,
all'istruttore alla prima udienza, in due ipotesi: a) che l'opposizione non sia
fondata su prova scritta o di pronta soluzione: in tal caso la concessione
dell'esecutorietà è meramente facoltativa; b) che la parte che l'ha chiesta offra
cauzione: per questo caso la norma in esame disponeva che l'istruttore deve
concederla; ma la Corte costituzionale, con sua sentenza 4 maggio 1984 n. 137,
ha restituito al giudice istruttore il potere e dovere di valutare
discrezionalmente l'opportunità della concessione, avuto riguardo sia
all'idoneità della cauzione e sia alla consistenza della prova scritta offerta.
Nell'ipotesi che, invece, l'esecutorietà provvisoria sia stata concessa all'atto
della pronuncia del decreto ai termini dell'art. 642, l'istruttore può, su istanza
dell' opponente e purché ricorrano gravi motivi; concedere - con ordinanza non
impugnabile -la sospensione del/' esecuzione provvisoria (art. 649 c.p.c.). Tale
concessione che, può avvenire già all'udienza di prima comparizione, è quanto
meno dubbio che possa avvenire prima di tale udienza ed ancora più dubbio se
possa avvenire prima della designazione del giudice istruttore. È, d'altra parte,
esclusa, secondo il diritto vigente, la revocabilità dell' esecutività provvisoria.
Durante il corso dell'istruzione, può avvenire che le parti si concilino, per
effetto, o meno, del tentativo di conciliazione svolto dal giudice. In questo caso
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