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L'ESTINZIONE
Tra le vicende anomale del processo l'estinzione è sicuramente quella più grave in quanto determina la fine anticipata dello stesso (mortis litis), impedendo che il processo si concluda nel suo modo "normale", cioè con la pronuncia della decisione di merito sulla domanda, attributiva dei diritti e delle ragioni alle parti in contesa.
Le cause che determinano l'estinzione sono di due tipi: rinuncia agli atti e inattività delle parti, che si risolvono nel mancato, oggettivo compimento di una serie di atti processuali in presenza del quale l'ordinamento stesso non consente che il processo arrivi alla sua fisiologica definizione.
La fattispecie estintiva opera di diritto ma, anticipando la chiusura del processo in corso, deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa.
L'estinzione deve essere oggetto di un provvedimento dichiarativo che, se pronunciato dal giudice istruttore, ha la forma di ordinanza.
quella di sentenza se la dichiarazione è resa dal collegio dinanzi al quale l'eccezione di estinzione sia proposta. Particolare importanza assumono gli effetti dell'estinzione (art. 310 c.p.c.). In primo luogo, l'estinzione del processo non estingue l'azione, nel senso che la mortis litis non preclude la riproposizione, in altro giudizio, di una domanda che abbia i medesimi elementi (soggettivi ed oggettivi) di identificazione di quella che ha dato origine al processo estinto. In secondo luogo, l'estinzione del processo travolge, nel senso di rendere inefficaci, tutti gli atti processuali sino a quel momento compiuti in quanto non più utili a consentire, almeno in quel processo, la pronuncia sul merito. A questa regola l'art. 310 pone espressamente una duplice eccezione: 1. con riferimento alle prove raccolte nel processo estinto. Il terzo comma dell'art. 310 prevede che tali prove siano valutate (dal giudice che in futuro sia investito)della medesima controversia) come argomenti di prova. Esse, cioè, possono corroborare, ma mai fondare, di per sé sole, il convincimento del giudice;- con riferimento alle "sentenze di merito pronunciate nel corso del processo" ed ai provvedimenti che "regolano la competenza". Le prime sono, ad avviso degli autori, soltanto le sentenze che decidono una o alcune delle domande, ma non tutte, ancorché, secondo la giurisprudenza prevalente, non sarebbero travolte dall'estinzione anche le 101 sentenze che, senza accogliere o respingere domande, risolvono questioni preliminari di merito in senso non ostativo alla prosecuzione del giudizio.
- I secondi sono, invece, le ordinanze - aventi efficacia "panprocessuale" - pronunciate dalla Corte di cassazione in sede di regolamento di competenza.
efficacia in caso di estinzione, mentre le ordinanze ingiuntiva e successiva alla chiusura dell'istruzione acquistano, ad estinzione avvenuta, efficacia esecutiva e, rispettivamente, efficacia di sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza.
CAPITOLO I
CIASSETTESIMO
LA DECISIONE DELLA CAUSA
LA RIMESSIONE DELLA CAUSA IN DECISIONE E LA PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI
Gli art. 187 e seguenti c.p.c. contengono la disciplina della rimessione della causa dal giudice istruttore all'organo decidente, cioè del "passaggio" della causa dalla fase di trattazione a quella di decisione.
Le possibilità che la causa subisca più "passaggi" dall'istruttore al collegio e viceversa sono state limitate ai soli casi di controversie riservate alla decisione del tribunale in composizione collegiale. 102 Infatti, le ipotesi in cui la decisione della causa sia riservata allo stesso giudice istruttore quale giudice monocratico non vi è
ovvero il termine entro il quale il giudice deve pronunciarsi sulla causa. In questo caso, il giudice istruttore può rimettere immediatamente la causa al collegio per la decisione finale. b) rimessione della causa al collegio dopo l'assunzione di mezzi di prova (art. 187 c.p.c. secondo comma). Questa ipotesi si verifica quando il giudice istruttore ritiene che la causa non possa essere decisa sulla base delle sole prove documentali già acquisite, ma che sia necessario acquisire ulteriori mezzi di prova, come testimonianze o perizie. In questo caso, il giudice istruttore rimette la causa al collegio dopo aver concluso l'istruttoria e acquisito tutti i mezzi di prova necessari. In entrambi i casi, la rimessione della causa al collegio avviene senza che il giudice istruttore si pronunci sulla decisione finale. Spetta infatti al collegio, come organo cui è riservata la decisione, decidere sulla causa dopo aver esaminato tutte le prove acquisite durante l'istruttoria. È importante sottolineare che la rimessione della causa al collegio non implica una nuova istruttoria, ma solo la trasmissione degli atti e delle prove acquisite al collegio per la decisione finale.A seguito dell'espletamento del liberointerrogatorio delle parti e delle altre attività contemplate nello stesso art. 183;b) rimessione per la decisione di questione, di rito o di merito, avente carattere assorbente (art. 187 c.p.c. secondo e terzo comma).
Se il giudice istruttore ritiene che una questione abbia in concreto la capacità di portare alla definizione del processo, egli rimette la causa al collegio. Quando, al contrario, la portata assorbente della questione è stata esclusa da parte del giudice istruttore, questi non prevede all'immediata rimessione in decisione e dispone che la questione sia decisa "unitamente al merito" con la conseguenza che il processo potrà proseguire nel suo normale iter e che la questione sarà decisa solo quando saranno acquisite al processo le prove ritenute ammissibili e rilevanti ai fini della decisione sul merito.
c) rimessione per la decisione a seguito dell'assunzione di mezzi di prova (art.
- È l’ipotesi per così dire “normale” di rimessione, quella cioè che segue la fase diammissione e di riassunzione dei mezzi di prova richiesti dalle parti (o ammessi d’ufficio).
- In tutte le ipotesi di rimessione della causa in decisione, il giudice istruttore deve fissare appositaudienza, invitando le parti a precisare le conclusioni da sottoporre all’organo decidente. Se leparti non provvedono a tale incombenza, si intendono richiamate le conclusioni contenute neirispettivi atti di costituzione in giudizio.
- A conclusione dell’udienza ora in esame, il giudice istruttore fissa il termine perentorio di sessantagiorni – ovvero u termine più breve, comunque non inferiore a venti giorni – per il deposito dellecomparse conclusionali, e di ulteriori venti giorni per il deposito delle memorie di replica.
- Si tratta di atti scritti conclusivi con i quali – senza alcuna possibilità di allargare il
themadecidendum ed il thema probandum – le parti definiscono i contorni delle questioni di fatto e illustrato le questioni di diritto concernenti la controversia.
CONTROVERSIE RISERVATE ALLA DECISIONE DEL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE COLLEGIALE E CONTROVERSIE RISERVATE ALLA DECISIONE DEL GIUDICE MONOCRATICO
Tra le maggiori innovazioni della Novella del 1990 vi è quella dell’introduzione della figura del giudice istruttore in funzione di giudice unico decidente, cioè dell’attribuzione allo stesso giudice – il quale ha diretto la fase di istruzione e preparazione della causa – dei poteri di decisione della stessa spettanti, nel regime previdente, esclusivamente al collegio.
La riforma del 1990 ha conservato l’organo collegiale al quale ha, però, riservato la decisione di alcune tipologie di controversie, prevedendo che la decisione di tutte le altre sia resa dall’organo monocratico costituito dallo stesso giudice istruttore.
Sulla scia di
Questa innovazione, si è poi collocata la riforma del giudice unico di primo grado (d.lgs. N. 51/19980) che ha ulteriormente accentuato la distinzione tra tribunale in composizionemonocratica e tribunale in composizione collegiale, continuando a conservare, solo per talunetipologie di controversie (art. 50-bis c.p.c.), la c.d. "riserva di collegialità" ed attribuendo al tribunalein composizione monocratica i poteri di decidere di tutte le altre. 103Le controversie riservate alla decisione dell'organo collegiale, per le quali opera la c.d. riserva dicollegialità, sono:
- le cause nelle quali è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero, salvo che sia altrimentidisposto;
- le cause in materia fallimentare e quelle devolute alle sezioni specializzate;
- le cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio diamministrazione, nonché le cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli
organiamministrativi e di controllo;
le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima;
le cause per responsabilità civile dei magistrati;
i procedimenti in camera di consiglio (cioè quelli rientranti nelle tutele camerali),salvo che sia altrimenti disposto.
L’elencazione contenuta nell’art. 50-bis c.p.c. ha carattere tassativo che si desume in manieraevidente dal successivo art. 50-ter secondo il quale, fuori dai casi previsti dall’articolo precedente,“il tribunale giudica in composizione monocratica”, a conferma della regola per la quale a decidereè di norma l’organo monocratico.
RAPPORTO TRA COLLEGIO E GIUDICE MONOCRATICO
Prendiamo in considerazione, adesso, l’ipotesi in cui una causa, che deve essere decisa daltribunale in composizione monocratica, sia invece rimessa al collegio per la decisione, nonché ilcaso inverso di controversia rimessa alla decisione
dell'organo monocratico laddove essa deve essere decisa dal tribunale in composizione collegiale. Il sistema non pare tollerare la "ribellione" del giudice monocratico di fronte alla rimessione della causa da parte del collegio: mentre quest'ultimo, quando la causa gli sia stata rimessa da parte dell'istruttore è libero di valutare se la stessa debba essere o meno decisa dall'organo collegiale, il giudice istruttore non ha analoga libertà quando la causa gli venga rimessa per la decisione da parte del collegio. LA FASE DI DECISIONE DELLA CAUSA DAVANTI ALL'ORGANO COLLEGIALE Una volta che la causa sia rimessa in decisione davanti al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria nel termine di sessanta giorni. La decisione, a prescindere dal tipo di provvedimento che sarà adottato (sentenza definitiva o non definitiva, ovvero ordinanza) è deliberata "in segreto nella camera di consiglio". Dal punto di vista- delloggio delle questioni
- il collegio decide prima le questioni pregiudiziali