vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
La riforma ha segnato esiti positivi per il settore delle s.r.l. Un grande successo hanno
ottenuto invece le società unipersonali, che si sono praticamente raddoppiate (ora in
numero di 67.341, di cui attive 46.108). Ciò perché la società unipersonale consente di
esercitare l’impresa individuale con una responsabilità patrimoniale limitata, consente
di ricorrere all’indebitamento senza doversi avvalere delle banche, mediante
l’emissione di titoli di debito. Anche le s.p.a. unipersonali hanno segnato un grande
successo, perché sono ora 5.207, di cui attive 4.558. In ogni caso, la riforma non ha
promosso la trasformazione o la costituzione di società di capitali rispetto alle società
di persone. Le società cooperative sono lievemente scese in numero (ora sono
139.606); le s.a.p.a. sono solo 200. Quanto ai modelli di amministrazione, il modello
dualistico di ispirazione tedesca è stato adottato solo da un centinaio di società e
altrettanto è avvenuto per il modello monistico di ispirazione inglese. Quanto alla
compagine sociale, queste società con nuovi modelli sono dominate dal primo
azionista, e si ripartiscono, per settori diversificati: il modello dualistico sta prevalendo
nell’ambito dei servizi pubblici, del trasporto e dell’attività finanziaria; il modello
monistico nell’agricoltura e nel commercio.
Una delle più rilevanti novità – patrimoni e finanziamenti destinati – non ha avuto
successo.
Le società che hanno dichiarato di essere soggette a direzione e coordinamento di
altre sono 25.096, un terzo s.p.a. e due terzi s.r.l., di cui rispettivamente, un terzo e
due terzi sono società unipersonali. Il 20% delle s.p.a. attive fa parte di un gruppo:
sono quindi i gruppi ad esercitare il dominio del mercato societario; il 37% soggiace ad
un unico socio.
Le finalità della riforma sono state salutate dalla maggioranza della dottrina con ampio
consenso, anche se non sono mancate critiche sulle modalità di redazione formale,
sulle incertezze ancora rimaste e, soprattutto, sulla ambiguità che la riforma non ha
saputo sciogliere e cioè se sia ancora prevalente la concezione delle società come enti
oppure come fascio di rapporti contrattuali tra i soci, e tra i soci e i terzi (come
propenderebbe l’analisi economica del diritto di provenienza statunitense). È evidente
la spinta a rendere certi i rapporti e quindi le restrizioni in materia di invalidità degli
atti societari, è evidente l’ampiezza dell’autonomia privata relativa ai modelli
organizzativi, alla distinzione tra azioni e relativi diritti dei soci, alla istituzione di
patrimoni destinati e finanziamenti destinati, al riconoscimento dei patti parasociali, e
quindi alla concezione che privilegia i soci in maggioranza rispetto ai diritti delle
minoranze, la continuità e la efficienza rispetto ai formalismi e alle presunte illegalità,
ma è ancora salso il principio di tutela dell’interesse sociale che non è identificabile
con l’interesse dei soci di maggioranza. Né si può sapere se il modello italiano si porrà
come modello competitivo rispetto a quelli oggi prevalenti in Europa (quale quello
inglese).
(ii) Il tipo societario e la denominazione sociale
Una delle novità della riforma che ha riscosso una generale approvazione è data dal
riconoscimento, a livello legislativo, del tipo societario, precedentemente utilizzato in
sede scientifica quale criterio di individuazione e classificazione delle società;
l’elevazione della nozione a «tipo normativo» implica sia una più agevole ricognizione
delle norme applicabili ad una società, una volta classificata nel tipo di appartenenza,
perché è sufficiente il rinvio alla disciplina del tipo senza dover ricorrere alla
ricostruzione delle regole ad essa applicabili, sia una maggiore connotazione delle sue
caratteristiche; le società di persone si distinguono così anche normativamente dalle
società di capitali, le s.p.a. quotate (aperte e rivolte al capitale di rischio) si
distinguono da quelle chiuse, e a queste si contrappongono le s.p.a. a statuto speciale
in rispetto al loro oggetto (bancario, assicurativo, gestionale del risparmio etc.)6.
Anche le s.r.l. ora si distinguono a seconda delle loro dimensioni, della trasferibilità
delle partecipazioni, del ruolo dei partecipanti. Là dove il tipo, con i suoi elementi
essenziali, è descritto da legislatore, e la società viene costituita e registrata con una
tipologia data, è dunque obbligatorio applicare la disciplina di quel tipo senza poter
verificare se la volontà delle parti effettivamente corrispondesse a quella
classificazione. Se i tipi sono normativi, il loro è un numero chiuso e non è dato alla
libertà delle parti di inventarne di nuovi; il numero chiuso non è una limitazione in
contrasto con la libertà economica di cui all’art. 41, 2o c., Cost. perché la tassatività
obbedisce ad un principio di ordine pubblico e di certezza dei rapporti nel traffico
giuridico. Ovviamente ciò non impedisce che vi possano essere nuovi tipi di
derivazione comunitaria (come la Società europea, istituita con Reg. CE n. 2157/2001,
oppure società riservate ai professionisti (nel caso degli avvocati, la STP (d.lgs. n. 96
del 2001). Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, è ben possibile
una «esterovestizione» delle società italiane, cioè la costituzione all’estero, con un tipo
diverso da quelli ammessi in Italia, di una società che svolgesse però la sua attività
principale in Italia.
Le clausole statutarie difformi dal tipo continuano ad essere nulle. Occorre che in via
interpretativa si stabilisca quali sono le norme imperative non derogabili che siano
violate dalla clausola statutaria7. Le clausole nulle, in virtù del principio dettato dagli
artt. 1419, 2o c., 1374, 1339 c.c. sono sostituite dalle norme non derogabili.
L’ambito di operatività del tipo normativo è tuttavia meno ampio di quanto si possa
immaginare, dal momento che la riforma ha enormemente ampliato gli spazi
dell’autonomia privata, sia dal punto di vista della emissione di azioni con diritti più o
meno limitati, sia dal punto di vista della emissione di strumenti finanziari collegati
con diritti societari, sia dal punto di vista della organizzazione amministrativa, sia dal
punto di vista della legittimazione dei patti parasociali.
(iii) Patti sociali, patti parasociali, patti extrasociali
A seguito dell’inserimento nel Codice civile di norme destinate a regolare i patti
parasociali (art. 2341 bis ss.) la dottrina8 ha distinto i patti sociali, che corrispondono
alle clausole dello statuto o di modificazione dello statuto e alle conseguenti delibere,
ai quali non si dovrebbero applicare le regole concernenti i patti parasociali, che sono
accordi tra soci riguardanti l’assetto societario o il governo della società, e i patti
extrasociali, conclusi dai soci con i terzi, a cui non si applicano le regole concernenti i
patti parasociali. Tuttavia, poiché il dettato di legge non è chiaro in quanto non
definisce nei dettagli i confini dell’ambito di applicazione delle regole di codice, la
dottrina ha precisato che:
– i patti parasociali il cui contenuto possa essere trasposto sul piano sociale non sono
assoggettati agli artt. 2341 bis e ss., cioè, non soffrono la limitazione quinquennale,
sempreché consentano al socio di liberarsene uscendo dalla compagine societaria (ad
es. quando si versi nel caso di patto di prelazione);
– per contro sono assoggettati al vincolo quinquennali anche i patti parasociali che
consentissero al socio di uscire dalla società;
– i patti parasociali che non rientrassero nella tipologia stabilita dal Codice civile non
sono assoggettati al vincolo quinquennale, ma non possono limitare l’esercizio del
diritto di recesso del socio dalla società;
– qualora il patto parasociale abbia contenuti più ampi, si osservano comunque i
principi sopra esposti;
– qualsiasi patto parasociale a durata indeterminata non può limitare il diritto di
recesso del socio; la regola vale anche per patti parasociali di s.r.l. controllanti s.p.a;
– il limite quinquennale riguarda tutti i patti parasociali anche se inseriti nello statuto.
La disciplina di codice deve essere coordinata con la disciplina del t.u.f. per i patti
parasociali nell’ambito delle società quotate9. I patti relativi al voto sono distinti da
qualche autore in patti inerenti alle votazioni assembleari, a cui si applica la disciplina
della riforma, e patti relativi alle determinazioni extrassembleari (in cui si esprimono i
diritti non di voto ma di voice, da parte dei soggetti che si presentano per conto degli
strumentisti finanziari), che ne restano sottratti10.
Tra i patti parasociali più rilevanti si sono individuati anche gli accordi diretti a far
esercitare ai soci sottoscrittori un’influenza dominante11: è indifferente che lo scopo o
l’oggetto del patto siano quello dell’espressione di una influenza dominante, essendo
sufficiente che tale ne sia l’effetto.
La disciplina codicistica dei patti parasociali nulla dice riguardo alla forma, alla loro
validità e alla loro efficacia. Quanto alla forma, è possibile, oltre a quella scritta, la
forma orale e i fatti concludenti; per queste due ultime ipotesi, sarà una valutazione
fatta caso per caso la definizione dell’esistenza dell’accordo, del suo oggetto e del suo
scopo12. Il fatto che il Codice li abbia legittimati, rispetto all’orientamento negativo o
limitativo che si era manifestato anteriormente alla riforma non significa che essi siano
sempre validi e sempre efficaci13. Vi possono infatti essere patti parasociali con
finalità illecite, eversive, elusive14. I patti parasociali illeciti sono nulli, così come quelli
posti in essere per violare la legge o per frodarla. Gli effetti della violazione dei patti
non si riverberano sugli atti della società, né possono essere ottenuti mediante
esecuzione in forma specifica; essi hanno effetti meramente obbligatori. Il patto
parasociale è accessorio alla società e dipende da essa. Spesso i patti parasociali
dànno luogo ad n fenomeno organizzativo, e non essendo assimilabili all’esercizio di
un’impresa, assumono la veste giuridica non di una società ma di un’associazione
atipica.
(iv) L’invalidità delle deliberazioni societarie
La dottrina, a seguito della riforma, si è posta preliminarmente alcuni interrogativi di
carattere generale: se alla disciplina d