Riassunto esame Diritto Privato, prof. Perlingieri
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Perché il fatto dannoso possa essere imputato all’agente, l’art. 2046 richiede che questi sia capace di
intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso; nel caso in cui tali capacità manchino, il
soggetto non risponde delle conseguenze del fatto dannoso, salvo che lo stato di incapacità sia dovuto
per propria colpa (ad es. per essersi ubriacato) o sia stato dolosamente determinato.
L’imputazione del fatto illecito è regolato dalla disciplina della responsabilità civile, la quale ha
l’intento di svolgere due funzioni: una funzione sanzionatoria, con l’intento di far rispondere del fatto
dannoso colui che lo ha commesso; una funzione preventiva, mediante la minaccia del risarcimento e la
maturità delle persone (che dovrebbero indurre queste ad evitare la commissione di illeciti).
Imputazione del fatto e fattispecie c.d. speciali di responsabilità
Di regola l’obbligo di risarcire il danno incombe su colui che ha commesso il fatto. Non mancano però
ipotesi in cui, soprattutto allo scopo di rafforzare la tutela dei danneggiati, è prevista la responsabilità
di un soggetto diverso dall’autore del fatto dannoso, accanto, eventualmente alla responsabilità di
quest’ultimo.
Perciò ai criteri di imputazione del fatto sono stati affiancati altri criteri come la responsabilità
indiretta o per fatto altrui.
Il disegno del legislatore era quello di ricondurre ogni ipotesi di responsabilità ad un
comportamento. Quindi si individua nel “fatto proprio” dell’agente la fonte della responsabilità: per
fatto proprio si intende sia quello immediatamente riferibile alla persona, sia quello che è reputato tale
in virtù di fattispecie espressamente disciplinate dalla legge (esempio: è considerato fatto proprio del
committente il fatto illecito del dipendente commesso nell’esercizio delle sue mansioni; fatto proprio del
genitore il fatto illecito del figlio minore abitante con lui).
Queste norme erano già presenti nel codice del 1865, che ha preso spunto dalla traduzione del
Codice Napoleonico; con l’avvento del nuovo codice sono stati introdotti nuovi criteri come le
presunzioni di colpa e le presunzioni di causalità, al fine di configurare al meglio l’imputabilità del
soggetto.
Non sono reputati dalla legge come criteri di imputazione il rischio-profitto, il rischio di impresa
e l’esposizione al pericolo.
Lesione dell’altrui situazione
Affinché il danno sia fonte di responsabilità per chi lo ha causato, è necessario che sia ingiusto, ossia che
si configuri una lesione della situazione giuridica soggettiva tutelata erga omnes dalla legge.
Se non vi è lesione, il danno è “giusto”, cioè va sopportato da chi lo subisce, come ad esempio
nell’ipotesi di un atto di concorrenza leale e non può essere trasferito su altri, cioè sul danneggiante o su
altra persona indicata quale responsabile.
Secondo la dottrina tradizionale, il danno è ingiusto (e quindi risarcibile) solo quando consiste
nella lesione di un diritto soggettivo assoluto: infatti, solo tali diritti si fanno valere erga omnes, per cui
chiunque è in condizione di violarli; i diritti relativi (diritti di credito), invece, possono essere violati solo
dal debitore che non esegue la prestazione.
In questi ultimi tempi, tuttavia, si è assistito ad un progressivo allargamento delle situazioni considerate
meritevoli di tutela, che ha indotto ad elaborare nuovi modelli di risarcimento ispirati ai principi
costituzionali di solidarietà, di eguaglianza e sicurezza sociale nei rapporti tra i privati.
Così l’interprete ha disciplinato alcune fattispecie in cui la lesione può provocare risarcimento: a) il
danno per l’uccisione di un soggetto, attribuisce il diritto al risarcimento ai congiunti che ricevevano un
sostentamento di tipo economico dal soggetto ucciso; b) la lesione di un diritto di credito ad opera di un
soggetto diverso dal debitore, dà luogo ad una responsabilità aquiliana, quando abbia impedito
l’adempimento (es.: uccisione del debitore in un incidente d’auto).
Il problema tuttavia sta nell’identificare quale situazione è giuridicamente rilevante.
Tale qualificazione può avvenire solo con l’interpretazione, che può dare una risposta equilibrata che
sappia anche limitare l’area tutelata, in modo da non paralizzare le attività del soggetto che ha diritto di
sapere di quali lesioni di diritti altrui può essere chiamato a rispondere.
Il nostro codice discorre di danno ingiusto anziché di fatto ingiusto per differenziarsi dal codice
tedesco e dal codice inglese che discorrono di atti illeciti tipici, cioè di fattispecie specifiche di illecito
strutturate nello stesso modo dei reati.
Del resto, non è rilevante rendere tipico o atipico il comportamento delle persone, in quanto tale
comportamento è ritenuto illecito solo se produce lesione all’altrui situazione giuridicamente tutelata
dalla legge.
Cause di giustificazione
La responsabilità dell’autore del fatto può essere limitata o esclusa quando ricorrano circostanze indicate
come cause di giustificazione (o cause di esclusione di antigiuridicità): esse sono lo stato di necessità e
la legittima difesa. 165
1. Lo stato di necessità (Art. 2045 c.c.) si ha quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato
costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il
pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile (es. Tizio vede che
Caio sta per far fuoco contro di lui e per salvarsi si nasconde dietro un passante); al danneggiato
spetta però un’indennità calcolata dal giudice.
Presupposti per l’applicazione del suddetto articolo:
Il comportamento dell’autore deve essere cosciente, volontario e contrario a norme di legge,
alla comune prudenza, alla diligenza e a norme tecniche;
il pericolo deve esistere e non deve essere putativo, cioè non deve provenire da una erronea
convinzione che sussista un pericolo, ma deve essere reale;
ci deve essere una proporzione fra il fatto dannoso e il pericolo che si vuole evitare;
il danno incombente deve essere inevitabile, cioè non deve sussistere altra via per sfuggire al
danno incombente (così, nel licenziamento collettivo, l’occupazione dell’azienda da parte dei
lavoratori non può essere considerata un fatto necessitato, perché i lavoratori potrebbero far
ricorso al giudice per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro);
L’indennità che spetta al danneggiato è misurata dal giudice su criteri rigidi e predeterminati: egli
può tener conto del pericolo, delle condizioni economiche delle parti, della gravità del danno; la
funzione dell’indennità è quella di ripristinare la situazione del soggetto leso.
Lo stato di pericolo può anche essere causato dal fatto colposo di un terzo: in questo caso si
verifica un concorso alternativo tra la responsabilità del terzo e quella del danneggiante.
Perciò se il danneggiato non è integralmente risarcito dal terzo, potrà rivalersi su colui che ha agito
in stato di necessità (danneggiante): quest’ultimo, qualora abbia risarcito l’equa indennità, potrà
rivalersi su che abbia creato la situazione di pericolo.
2. La legittima difesa (Art. 2044 c.c.), in cui (Art. 52 c.p.) non è punibile chi ha commesso il fatto per
esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo
attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa. Il danno cagionato
all’aggressore per impedire che la sua azione leda il diritto proprio o altrui non è risarcibile per
l’esistenza di una causa di esonero dalla responsabilità: l’universale riconoscimento del diritto di
difendersi o di difendere altri dall’aggressione altrui esclude del tutto la responsabilità per il danno
cagionato. La non risarcibilità del danno causato per legittima difesa funge altresì da mezzo di
prevenzione dell’illecito.
I presupposti per aversi legittima difesa sono:
il verificarsi di un’aggressione di un diritto proprio o altrui: per diritto s’intende non solo quello di
natura personale, ma anche di natura patrimoniale (così si è considerata non antigiuridica, proprio
perché compiuta per legittima difesa, la reazione dell’imprenditore nei confronti di chi abbia tentato
di sottrargli la clientela;
la proporzionalità fra difesa ed offesa (tra diritto messo in pericolo e il diritto leso) (Art. 52 c.p.):
se la difesa è superiore all’offesa ricevuta, l’offesa originaria dell’aggressore-danneggiato conserva la
sua rilevanza ai fini di una riduzione del risarcimento.
Se un soggetto, per difendere sé stesso o altri da un danno incombente proveniente da un aggressore,
provoca un danno a terzo, è applicata la disciplina dello stato di necessità.
Alla categoria delle cause di giustificazione appartiene anche l’esercizio di un diritto: quando il
soggetto è autorizzato dalla legge a tenere un comportamento lesivo per altri, in capo a lui non sorge
nessuna responsabilità. Tuttavia in alcuni casi la legge prevede un’indennità per i danni cagionati
dall’agente al fine di contemperare i confliggenti interessi dei soggetti coinvolti.
Tale esercizio va comunque distinto dall’abuso di diritto.
Alcuni esercizi di diritto sono:
tutela della salute e dell’ambiente, che esonera da responsabilità colui che agisce per tutelare la
salute dell’uomo e dell’ambiente;
diritto di cronaca, che esonera da responsabilità colui che divulga notizie che possono incidere sul
prestigio e sulla reputazione di singole persone, purché tali notizie siano vere e provenienti da fonti
attendibili.
Altra causa di esclusione della responsabilità è il consenso dell’avente diritto, il quale consenso
autorizza un altro soggetto a provocare un fatto lesivo al proprio diritto; tale causa trova però non poche
limitazioni, soprattutto nel campo dei diritti indisponibili della persona.
La giurisprudenza ha qualificato illecito (e perciò fonte di una obbligazione al risarcimento) il
comportamento di chi ha usato l’immagine altrui, senza il consenso della persona ritratta ed ha
considerato illecita la copiatura di software per PC, senza il consenso del titolare del diritto di autore.
Distribuzione dell’onere della prova 166
La legge prevede che chi volesse agire per la riparazione del danno subito deve provare il fatto illecito
altrui in tutti i suoi elementi (art. 2697).
Tale legge, comunque, trova delle eccezioni dettate dalla giurisprudenza, come ad esempio per la
capacità di intendere e di volere che deve essere dimostrata dal danneggiato (essa non deve essere
provata dal danneggiato in quanto è presunta in chi abbia raggiunto la maggiore età o sia in prossimità di
raggiungerla).
L’onere di provare che al momento del fatto ci fosse incapacità di intendere e di volere spetta al
diretto interessato, ossia al danneggiante.
La legge ha previsto delle presunzioni sia di capacità, sia di colpa: le presunzioni di causalità
postulano che in determinate circostanze la lesione dell’altrui situazione è imputabile a determinate
persone più che ad altre o alla causalità; le presunzioni di colpa postulano che il comportamento delle
persone che hanno commesso il fatto è strettamente legato alla colpa, cioè tali soggetti non hanno
tenuto un comportamento idoneo ad evitare il fatto lesivo.
- Presunzioni di causalità: l’onere della prova spetta al danneggiato che deve provare un collegamento
tra l’evento lesivo e il comportamento del soggetto su cui grava la responsabilità di un determinato
soggetto.
- Presunzioni di colpa: l’onere spetta al danneggiante e si parla di prova liberatoria perché il questi
deve provare di aver tenuto un comportamento idoneo ad evitare l’evento.
Il danneggiante può provare la sua innocenza con varie prove liberatorie, come ad esempio la “prova di
non aver potuto impedire il fatto” o la “prova di aver fatto tutto il possibile per impedire il danno” o la
“prova di caso fortuito”.
In conclusione, la legge crea modelli di comportamento a cui le persone devono attenersi per
non vedersi imputare gli eventi dannosi verificatesi in connessione con la loro attività o posizione.
Le presunzioni di causalità e di colpa sono determinate su criteri probabilistici – statistici, su criteri
tecnici.
Il principio della colpa
Critiche: Il principio personale della responsabilità è stato di recente duramente criticato: difatti, la
dottrina prevalente presuppone la responsabilità anche in mancanza di colpa, perché il danneggiante,
anche se dimostra di aver preso tutte le possibili misure idonee ad evitare il danno, sicuramente non ha
adottato una misura ulteriore oltre a quelle in concreto adottate.
Altri esempi di responsabilità in assenza di colpa sono i danni anonimi, dove è difficile trovare chi è
l’autore dell’evento lesivo (non avrebbe senso voler ad ogni costo legare la responsabilità alla colpa,
quando è scontato che oggi gran parte dei danni sono anonimi); nel senso che è difficile o impossibile
trovare chi, nell’ambito di una determinata organizzazione produttiva, è l’autore dell’evento lesivo; sì
che, se ogni volta si dovesse individuare una colpa altrui per assicurare la riparazione del danno
cagionato, troppo spesso il danneggiato rimarrebbe senza tutela.
Del resto, esistono anche danni inevitabili: basti pensare ai dati statistici relativi agli incidenti di ogni
genere, per rendersi conto che, nonostante la diligenza delle persone, specie in alcune attività industriali
e produttive, i danni si producono egualmente e in gran quantità. In definitiva, un sistema della
responsabilità legato alla colpa non servirebbe a soddisfare l’esigenza fondamentale odierna, che è
quella di trasferire il danno dal danneggiato su persona diversa, ma non necessariamente su chi ha
causato l’evento dannoso.
Quindi, al principio generale della responsabilità del fatto illecito (art. 2043) si oppone il principio della
responsabilità oggettiva, dove il soggetto risponde di un fatto lesivo anche se lo ha commesso senza dolo
o colpa.
La responsabilità oggettiva si configura in molte eccezioni previste e disciplinate dal codice; essa
si basa sulla sola esistenza di un rapporto di causalità tra il fatto e l’evento lesivo.
Il soggetto, a cui è imputato il fatto dannoso e sui cui grava la responsabilità oggettiva, può liberarsi da
tale responsabilità provando l’imprevedibilità o l’inevitabilità dell’evento dannoso, cioè deve provare la
mancanza del nesso di causalità tra il suo comportamento e l’evento lesivo.
Con questa nuova ottica di responsabilità, anche il risarcimento ha subìto delle modifiche: difatti
il risarcimento, sotto questa nuova prospettiva, ha una funzione non sanzionatoria, ma riparatoria, ossia
restitutoria della situazione lesa. b. Responsabilità c.d. speciali.
Responsabilità per danno cagionato dall’incapace
In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere e di volere, il risarcimento è dovuto da chi è
tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
Il dovere di sorveglianza dell’incapace si fonda non solo su un vincolo giuridico, come l’obbligo
che grava sui genitori e sui tutori, ma si fonda anche su una relazione di fatto come la coabitazione, la
convivenza o da una libera scelta (quale quella di accogliere l’incapace nella propria sfera personale o
familiare), come ad esempio la responsabilità del minore che grava sui nonni con i quali egli convive. 167
Ai fini dell’applicazione dell’art. 2047 è indifferente che l’incapace sia di maggiore o minore età,
in quanto ne rispondono i genitori che con lui convivono e coabitano.
Nel caso di un fatto lesivo commesso da infermo di mente, ne risponde l’azienda sanitaria che aveva
l’obbligo di sorvegliarlo.
L’accertamento dello stato di incapacità di intendere e di volere non è fatto tramite precisi indici
normativi, ma tramite criteri di comune esperienza e nozioni della scienza.
Affinché il soggetto tenuto alla sorveglianza possa dimostrare la sua non responsabilità, egli può
esperire la prova liberatoria con la quale dimostra che l’evento dannoso si è verificato improvvisamente
mentre egli stava tenendo un normale e diligente esercizio della sorveglianza.
Nel caso in cui il danneggiato non consegue il risarcimento da parte del sorvegliante, egli può
ottenere un’equa indennità dallo stesso incapace, autore materiale del fatto lesivo; l’indennità è
misurata dal giudice tenendo conto delle condizioni economiche delle parti.
Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori, dei maestri d’arte
L’art. 2048 dispone che per il fatto illecito commesso da minori d’età non emancipati, capaci
d’intendere e di volere, ne rispondono i genitori e i tutori che non abbiano fatto quanto necessario per
impedire il fatto illecito del minore; responsabili, quindi, non sono solo i genitori e i tutori, ma anche gli
adottanti (dato che l’adozione conferisce loro lo status di genitori), i precettori*, i maestri d’arte o di un
mestiere che sono responsabili per il fatto illecito commesso dall’allievo o dell’apprendista durante il
tempo nel quale sono sottoposti alla loro sorveglianza.
La responsabilità di tutti questi concorre con quella del minore, ma è autonoma da questa.
Pertanto il danneggiato può proporre azione contro i genitori, tutori, precettori, e anche contro il
minore; in seguito il genitore, che ha risarcito il danno provocato dal minore, può agire in via di regresso
nei confronti del figlio.
Per precettore* la giurisprudenza intende sia insegnanti di scuole pubbliche e private, sia
istruttori sportivi e, in genere, coloro che svolgono funzioni di vigilanza accessorie all’insegnamento,
escludendo però i direttori didattici data la natura meramente amministrativa dell’attività da lui svolta.
I genitori, se volessero dimostrare la loro non responsabilità, possono esperire la prova liberatoria che
richiede sia una prova negativa, ossia la non possibilità di impedire il fatto, che una prova positiva,
ossia occorre provare di aver svolto con adeguatezza una giusta vigilanza sul minore e di avergli impartito
un’idonea educazione.
Ai fini della prova liberatoria ha molta rilevanza l’educazione impartita e non vengono tenuti in
considerazione i giudizi scolastici, in quanto il minore può avere comportamenti diversi fuori e dentro la
scuola.
Per quanto riguarda, invece, la prova liberatoria dei precettori, ci sono 2 orientamenti:
il primo ritiene necessario che il fatto illecito dell’allievo sia stato repentino ed imprevedibile;
il secondo postula che la vigilanza del precettore non deve essere assoluta, ma relativa, cioè
deve essere proporzionata alla maturazione e all’età dell’allievo.
Non sono responsabili del fatto illecito, commesso dall’allievo durante l’intervallo, gli insegnanti che
stavano operando il cambio; se il fatto illecito dell’allievo, avviene durante l’ora di lezione, l’insegnate è
responsabile se era assente per motivi non giustificati.
Per quanto riguarda i maestri d’arte, ossia coloro che insegnano un mestiere o un’arte, sono
ritenuti responsabili dei danni causati dal minore durante l’apprendimento di una professione.
Responsabilità dei padroni e dei committenti
L’art. 2049 dispone che per il fatto illecito di commesso o domestico, nell’esercizio delle loro
incombenze, ne rispondono i padroni e i committenti. I presupposti di tale responsabilità sono:
il fatto illecito deve essere causato dal commesso o domestico;
un rapporto di preposizione tra il padrone o i committenti e i suoi commessi o domestici; tale
rapporto si può configurare in un lavoro subordinato, o in un mandato. È sufficiente che ci sia una
relazione tra il commesso che agisce in una posizione di subordinazione, e il committente che ha un
potere di direzione, di controllo e di sorveglianza sulla condotta e sull’operato del commesso; è
escluso tra i rapporti di preposizione, che rendono applicabile l’art 2049, quello d’agenzia e quello
d’appalto, perché l’agente e l’appaltatore agiscono in propria autonomia assumendosi il rischio
dell’opera;
un nesso di dipendenza tra il danno e le incombenze da svolgere; è sufficiente un nesso di
occasionalità necessaria, cioè se le mansioni svolte dal commesso sono state tali da agevolare o
favorire la produzione dell’evento dannoso. Affinché il nesso di dipendenza sia valido, è richiesto che
le mansioni che si stavano svolgendo al momento del fatto, rientrino nell’attività che è stata
affidata: se all’operaio, recatosi in una casa per montare delle tende, viene chiesto il piacere di
aggiustare un televisore, se nell’operazione questo viene danneggiato, del fatto non ne risponde il
titolare della ditta. 168
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Diritti Privato, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Diritto Privato, Perlingieri. Nello specifico gli argomenti analizzati sono i seguenti: responsabilità civile e illecito, imputazione del fatto e fattispecie condizioni speciali di responsabilità, lesione dell’altrui situazione, distribuzione dell’onere della prova, il principio della colpa e critiche.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Exxodus di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto privato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Sannio - Unisannio o del prof Perlingieri Pietro.
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