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L’impossibilità di usare la servitù o il venir meno dell’utilità non fanno estinguere la servitù sino a quando non si sia completato il periodo per

la prescrizione. (art. 1074).

L’azione confessoria servitutis

Il titolare del fondo dominante può chiedere che si accerti con sentenza l’esistenza e la consistenza della servitù contro chi ne consenti

l’esercizio, con l’eventuale condanna a far cessare le turbative e la rimessione in pristino delle opere (art. 1079).

L’azione si dirige contro chi contesti la sussistenza del diritto, ovvero contro coloro che sarebbero attivamente legittimati ad agire con l’azione

negatoria.

Questa non può essere proposta quindi contro il semplice possessore o il semplice detentore, in tali casi occorre agire con le azioni

possessorie oppure con un’azione di responsabilità extracontrattuale, se occorre domandano anche la reintegrazione in forma specifica ai

sensi dell’art. 2058.

Le servitù di presa d’acqua e quelle degli scoli e degli avanzi

Per alcune servitù in materia di acque sono state dettate una serie di regole che ne descrivono il contenuto in maniera dettagliata, anche se

le parti possono liberamente derogarvi.

Si tratta in particolare delle servitù di presa o di derivazione d’acqua e di quelle degli scoli e degli avanzi d’acqua.

Il titolare della servitù di presa può quindi prelevare acqua dal fondo servente, con opere o manufatti, per condurla al suo fondo e utilizzarla a

fini domestici, agricoli o industriali. Si distingue perciò dalla servitù di acquedotto poiché in quest’ultima il titolare può solo far passare sul

fondo servente le acque che attinge altrove attraverso, opere, come tubi o canali.

La servitù attiva degli scoli consiste nel diritto di ricevere le acque colaticce dal fondo superiore che ne sia servito (art. 1094.

La servitù degli avanzi d’acqua è analoga ma impegna il fondo, che riceve da un altro una certa quantità d’acqua per un determinato uso, a

restituirla al concedente o a un terzo (fondi dominanti) nella misura che avanza (art. 1097).

La comunione

Comunione: quando più soggetti siano titolari dello stesso diritto reale sull’identica cosa. Questi vengono detti partecipanti, compartecipanti o

comunisti. A seconda del diritto reale in comunione si parla anche di comproprietà, di co-superficie, di co-enfiteusi, di co-usufrutto, di co-uso

o di co-abitazione.

La servitù invece, non potendosi immaginare disgiuntamente dal diritto del titolare del fondo dominante, non può configurarsi in comunione

tra più persone, piuttosto si può avere la comunione del diritto reale di godimento sul fondo dominante. In tal caso, andrà riconosciuta loro la

titolarità piena del diritto e una piena legittimazione nell’esercitarlo.

Il diritto reale appartiene a un ente chiamato comunione, tale impostazione non riesce però a spiegare quale diritto competerebbe ai

partecipanti sino allo scioglimento della comunione. Sarebbe vano tentare di configurarlo come un diritto nuovo.

Come i può comprimere la proprietà con un diritto reale di contenuto minore, allo stesso modo la si può comprimere ponendole accanto un

diritto di pari contenuto.

In tal modo, i diritti si comprimono vicendevolmente ma mantengono in sostanza inalterata la loro natura e il loro contenuto. La capacità di

ciascuno di questi di comprimere gli altri è detta quota.

Le quote si presumono uguali e in proporzione a queste si ripartiscono i vantaggi, ovvero gli incrementi economici, come i frutti, gli accessori,

le accessioni e il tesoro, e i pesi della comunione, ovvero i debiti. La regola è derogabile e si possono così attribuire a un compartecipante

tutti i debiti, lasciando i vantaggi agli altri, o riconoscergli all’inverso tutti i vantaggi, esonerandolo dai pesi.

La comunione non deve essere confusa con la società, alla quale si riconosce invece soggettività giuridica propria, e che l’art. 2247

definisce come il contratto con il quale due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica, allo

scopo di dividerne gli utili.

Si distinguono:

• Comunione volontaria: quando dipende da un contratto concluso tra i partecipanti

• Comunione incidentale: si realizza quale effetto legale, in conseguenza di successione a causa di morte

Quella forzosa o coattiva si distingue da quella ordinaria, poiché la normale divisibilità della cosa comune si trova eccezionalmente limitata,

in quando nel primo caso la cosa medesima, se divisa, cesserebbe di servire all’uso a cui è destinata o comunque l’uso medesimo ne

sarebbe reso più incomodo per il contitolare.

L’uso della cosa comune e la disposizione della quota

Considerato che ne è contitolare, ciascuno dei compartecipanti può esercitare il suo diritto, sia facendo propri i frutti, sia facendo l’uso della

cosa che più gli aggrada. Tale facoltà non è limitata ma gli competa integralmente.

Tuttavia incontra due importanti limiti (art. 1102):

• Non gli è consentito di impedire agli altri di fare parimenti uso della cosa. Se la cosa non può essere goduta contemporaneamente

da tutti potrà rivelarsi necessario regolarne l’uso con una deliberazione della maggioranza dei partecipanti. Si potrà allora stabilire

il godimento a turni, oppure per parti. Diversamente non si potrà che ricorrere al godimento indiretto, attribuendone l’uso a un terzo

e suddividendo i relativi proventi.

• Non gli è consentito di alterare la destinazione economica della cosa, ovvero di modificare la funzione impressale dai partecipanti.

Si consente invece al singolo partecipante di apportare a sue spese le modifiche per il miglior godimento della cosa, se non ne altera

l’estetica o la funzione. 16

Ha invece diritto al rimborso delle spese che sia stato costretto a fare per conservare la cosa comune in caso di trascuranza degli altri

partecipanti (art. 1110).

Esercitando il diritto in corrispondenza con un diritto reale, egli ha anche il compromesso della cosa e gode quindi della relativa tutela, anche

contro gli altri compartecipanti. Non può tuttavia acquistare per usucapione la proprietà esclusiva della cosa, se non compie atti idonei a

mutare il titolo del suo possesso, ovvero estendendo il suo possesso sull’intera cosa e impedendo agli altri di esercitare il loro diritto di pari

contenuto. Può esperire inoltre le azioni a difesa della proprietà ed è legittimato passivamente da solo a resistervi.

Se non gli è precluso dal contratto o dal testamento, il partecipante può inoltre disporre del suo diritto o cederne il godimento ad altri, a

prescindere dal consenso dei compartecipi. Non può ovviamente cederne il diritto sull’intera cosa di cui non è titolare.

Gli obblighi dei partecipanti e l’amministrazione della cosa comune

I partecipanti sono obbliati, in ragione della quota di ognuno, a concorrere alle spese necessarie per la conservazione e il godimento della

cosa comune e alle spese deliberate dalla maggioranza con le forme indicate all’art. 1105. L’acquirente della quota è coobbligato per i

contributi dovuti e non versati in solido col cedente.

Se non ha approvato anche tacitamente la spesa, l’obbligato può liberarsi dal debito rinunziando al suo diritto, attraverso un atto unilaterale

con il quale questo si accresce agli altri in proporzione delle quote (art. 1104).

L’amministrazione della quota comune non compete invece al singolo partecipante ma alla maggioranza dei partecipanti, da calcolare

tuttavia non per teste ma in proporzione alla quota di ognuno. La deliberazione assunta vincola anche i dissenzienti.

È sufficiente la maggioranza semplice:

• Per le deliberazioni riguardanti gli atti di ordinaria amministrazione

• Per deliberare il regolamento per l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune

• Per delegare l’amministrazione a uno o più partecipanti o a un terzo estraneo, stabilendone i poteri e gli obblighi

Si richiede invece la maggioranza di 2/3 del valore complessivo della cosa comune per compiere gli atti di straordinaria amministrazione o le

innovazioni sulla cosa dirette a migliorarla o a renderne più comodo o più redditizio il godimento.

Sono innovazioni quelle operazioni che modificano in maniera profonda e manifesta la cosa comune. Gli atti di straordinaria amministrazione

e le innovazioni non possono comunque pregiudicare il godimento di alcuno dei partecipanti o importare una spesa eccessivamente

onerosa.

L’unanimità, infine, è richiesta per alienare la cosa, locarla oltre il novennio o costituirvi diritti reali di godimento. Una previsione speciale

riguarda l’ipoteca concessa a garanzia delle somme mutuate per la ricostruzione o per il miglioramento della cosa comune.

Le deliberazioni dei partecipanti non devono essere assunte contestualmente in un’assemblea formalmente convocata, né tanto meno

essere contenute in un verbale scritto. Si richiede solo che i partecipanti siano stati preventivamente informati sull’oggetto della

deliberazione.

Ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente può, entro trenta giorni dalla delibera ovvero se assenti da quando questa è stata loro

comunicata, impugnare la delibera davanti all’autorità giudiziaria, chiedendone l’annullamento:

• Se i partecipanti non siano stati preventivamente informati sull’oggetto della deliberazione

• Quando, trattandosi di ordinaria amministrazione, la delibera sia gravemente pregiudizievole per la cosa comune

• Se, trattandosi di straordinaria amministrazione o di innovazioni, la delibera possa pregiudicare il godimento di alcuno dei

partecipanti o importare una spesa eccessivamente onerosa.

Con le stesse modalità può essere impugnato anche il regolamento, se l’impugnazione sia mancata o sia stata rigettata, questo ha effetto

anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti (art. 1107).

Sono invece nulla le delibere con oggetto illecito o impossibile e quelle assunte senza le maggioranze prescritte.

Quando non si prendano i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o la deliberazione adottata non venga eseguita,

ciascun partecipanti può ricorrere al giudice che provvede nel senso più idoneo, se occorre anche nominando un amministratore (art. 1105).

Lo scioglimento della comunione

Ciascuno dei partecipanti può sempre disporre della suo quota e chiedere la divisione della cosa comune.

Il partecipante può sempre procurarsi il consenso degli altri a stipulare un contratto di divisione o un altro contratto che realizzi un identico

effetto tramite l’apporzionamento, ovvero attraverso assegnazioni ai

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SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martina.mastronardi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Privato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Ciatti Alessandro.