Riassunto esame Diritto Penale, prof. Viganò, libro consigliato Manuale di Diritto Penale, Marinucci
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capitolo 1 : introduzione 6
reinserimento sociale del condannato, o che comunque comporti per il condannato minori rischi di
desocializzazione.
4. LA LEGITTIMAZIONE DELL'ESECUZIONE DELLA PENA DA PARTE DEL
POTERE ESECUTIVO.
L'esecuzione della pena ha un fondamento special preventivo, infatti la pena inflitta dal giudice
deve essere eseguita e questo compito è affidato agli organi del potere esecutivo (cioè gli organi del
ministero della giustizia come l'apparato dell'amministrazione penitenziaria e le cancellerie presso il
giudice dell’esecuzione, e gli organi del ministero dell'interno come la polizia di Stato).
È per un'esigenza di prevenzione generale che le pene stabilite dal legislatore e inflitte dal giudice
devono poi essere eseguite, perché altrimenti un sistema in cui nessuno si preoccupi di eseguire
questa pene perderebbe tutta la sua credibilità.
Per quanto riguarda in particolare la Pena Detentiva la sua esecuzione ha una finalità di
prevenzione speciale perché ha lo scopo di favorire la rieducazione del condannato per consentire
un suo reinserimento nella società, rispettandone le regole.
Questa logica rappresenta il filo conduttore dell’intera legge sull’ordinamento penitenziario
che cerca di realizzare in varie forme l’imperativo costituzionale : eliminando taluni
(l.n354/1975)
fattori di mortificazione della personalità del condannato (es. detenuto dotazione d abiti propri,
pox d acquistare cibo ecc..) e potenziando il ruolo dei tradizionali strumenti di aiuto al condannato
per colmare i suoi deficit di socialità(istruzione e lavoro); aprendo il carcere verso l’esterno durante
l’esecuzione (colloqui telefonici, contatti riservati con i parenti..) ; infine consentendo al
condannato di trascorrere periodi più o meno lunghi all’esterno del carcere (lavoro all’esterno,
permessi, semilibertà)
4.2 I limiti alla funzione rieducativa
Tuttavia ci sono dei limiti alla funzione rieducativa : in primo luogo affinché sia fatta salva la
dignità dell'uomo (art. 3 cost) e la pena rispetti il principio di umanità (art. 27.3 cost.) la
rieducazione non può avere la forma della trasformazione coattiva dalla personalità, ma deve avere
la forma dell'offerta di aiuto; inoltre se il condannato non è suscettibile né di essere reinserito nella
società, né sembra sensibile agli effetti di intimidazione e ammonimento della pena, lo scopo della
pena non è più quello della rieducazione ma quello della neutralizzazione del condannato, come
accade ad esempio per molti esponenti di spicco della criminalità organizzata, della mafia e delle
organizzazioni terroristiche, infatti in questi casi il fine della pena è la difesa della società dal
rischio che il detenuto mantenga dal carcere contatti con le organizzazioni criminali di appartenenza
e quindi continui a delinquere anche durante l'esecuzione della pena, come previsto dagli articoli 4
bis e 41 bis dell'ordinamento penitenziario che disegnano un regime speciale di esecuzione della
pena detentiva per gli autori di taluni gravissimi reati commessi nel quadro di organizzazioni
criminali : una disciplina da sempre al centro di opposte valutazioni politico-criminali e di dubbi di
legittimità costituzionale, a più riprese ritenuti non fondati dalla Corte costituzionale.
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5. I RAPPORTI TRA IL DIRITTO PENALE E GLI ALTRI RAMI
DELL'ORDINAMENTO.
(…….)
5.1 L’efficacia del giudicato penale nei giudizi extrapenali
Accade in ogni tempo, soprattutto nella società contemporanea che vi siano situazioni conflittuali
che reclamano una pluralità di interventi sanzionatori, con misure tratte dai più diversi rami
dell’ordinamento.
È dunque possibile che una data classe di fatti sanzionati penalmente attiri anche altre sanzioni e
che sia perciò illecita a diversi titoli(penale, amministrativo, civile, disciplinare)
Sanzione penale ruolo di ultima ratio. Ma è fatale che la sanzione penale occupi il ruolo di unica ratio se le altre sanzioni e gli altri
controlli e forme di interventi siano pressoché inesistenti es. controlli preventivi sull’operato della pubblica amministrazione sono
inesistenti sanzione penale unica ratio nella repressione della corruzione ..
La disciplina stabilita dal nostro ordinamento ha previsto una articolata e differenziata efficacia del
giudicato penale di condanna nei giudizi extra penali, cioè civili, amministrativi e disciplinari.
*Nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso
nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato o che sia intervenuto nel
processo penale, la condanna con sentenza penale irrevocabile è pronunciata in seguito al
dibattimento e ha efficacia di giudicato riguardo all'accertamento del fatto, della sua liceità penale e
all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, la stessa efficacia ha anche la sentenza irrevocabile
di condanna pronunciata a norma dell'articolo 442, cioè resa nel giudizio abbreviato salvo che vi si
opponga la parte civile che non abbia accettato il giudizio abbreviato (come stabilisce l'articolo 651,
1 e 2 commi del codice di procedura penale). Tutto ciò colloca fuori dall'area dell'efficacia del
giudicato le sentenze di applicazione della pena su richiesta dell'imputato e del pubblico ministero,
perché si tratterebbe di un procedimento speciale caratterizzato da una limitazione delle garanzie
della difesa che impedisce l'attuazione degli effetti della sentenza penale nei procedimenti extra
penali.
*Negli altri giudizi civili e amministrativi la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in
seguito al dibattimento ha efficacia di giudicato quando si controverte intorno a un diritto o a un
interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali
oggetto del giudizio penale, purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione
soggettiva controversa (come stabilisce l'articolo 654 del codice di procedura penale); anche in
questo caso sono escluse le sentenze di condanna non pronunciate in esito a un dibattimento.
*Nei giudizi disciplinari la sentenze irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio
per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità riguardo all'accertamento della
sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso
(come stabilisce l'articolo 653, comma 1 bis del codice di procedura penale); la stessa efficacia nel
giudizio per responsabilità disciplinare è stata attribuita anche alla sentenza pronunciata a seguito
del patteggiamento, cioè nel caso di applicazione della pena su richiesta dell'imputato e del pubblico
ministero (come stabilisce l'articolo 445, 1 comma del codice di procedura penale).
5.2 Accessorietà e autonomia del diritto penale
I rapporti del diritto penale di altri rami dell'ordinamento riguardano anche l'accessorietà e
l'autonomia del diritto penale rispetto alla disciplina extra penale dei fatti che costituiscono le
figure di reato.
Ci sono due gruppi d'ipotesi:
a. Ci sono norme incriminatrici in rapporto di accessorietà con gli altri rami dell'ordinamento
che disciplinano materie che sono in parte già previste dal rito civile o amministrativo e alle cui
regole il giudice penale dovrà far riferimento, non dovrà solo constatare dei fatti ma dovrà anche
applicare quelle regole giuridiche extra penali. E' Il campo occupato dagli elementi normativi della
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fattispecie legale (ad esempio nel furto l'altruità della cosa indica che la cosa non è di proprietà
dell'autore del furto, e il relativo accertamento comporta l'applicazione al caso concreto delle regole
civilistiche sui modi di acquisto del diritto di proprietà)
(matrimonio bigamia altri esempi);
b. Invece altre norme incriminatrici sono caratterizzate da autonomia rispetto agli altri rami
dell'ordinamento :
in primo luogo come autonomia del significato da attribuire a un dato termine, anche se è
presente in quegli altri rami.
Certe volta è la legge a conferire quel significato autonomo stabilendo che cosa significa
questo o quel termine, qualunque sia la norme incriminatrice in cui compaia “agli effetti
della legge penale”;
altre volte invece è in via di interpretazione che si stabilisce il significato di un dato
termine e lo si adatta alle esigenze di tutela dei beni giuridici che caratterizzano una
determinata norma incriminatrice (ad esempio la nozione di possesso di una cosa mobile
all'interno dell'appropriazione indebita art 646cp., che viene ricostruita abbracciando
rapporti con la cosa (come la custodia) più ampi di quelli compresi sotto quella nozione dal
diritto civile.
L'autonomia del diritto penale rispetto agli altri rami dell'ordinamento si manifesta anche
sotto altri profili: infatti per soddisfare l'esigenza di tutela che è espressa dalle varie norme
incriminatrici, viene ampliato in via interpretativa il raggio d'azione reprimendo fatti che
non troverebbero tutela in altri rami dell'ordinamento
Es. il caso della truffa che viene commessa nell'ambito di un contratto illecito: si trae anche
argomento dalla previsione espressa di una forma di truffa aggravata , che si realizza quando
l’autore degli artifizi o raggiri induce la vittima a compiere un atto di disposizione
patrimoniale con il pretesto di farlo esonerare dal servizio militare (art 640.2 n1 cp),cioè
stipulando un negozio illecito per contrarietà a norme imperative.
Più frequentemente l’autonomia del diritto penale si afferma di fronte all’invalidità
civilistica di un negozio che non si ripercuote sulla configurabilità del reato consistente
nella stipulazione di quel negozio ,purchè siano presenti tutti i requisiti di validità,eccettuato
quello per cui il fatto costituisce reato: es nella frode in commercio (art 515 cp) il reato si
realizza benché ci si trovi in presenza di un contratto invalido , essendo viziato dal dolo del
venditore che consegni cosa diversa da quella pattuita; analogamente nell’insolvenza
fraudolenta (641cp) la condotta descitta nella fattispecie legale consiste nel contrarre
un’obbligazione che è civilisticamente nulla, per mancanza della volontà di obbligarsi, posto
che si richiede il proposito di non adempiere.
5.3 Diritto penale e unità dell’ordinamento giuridico
Anche l'unità dell'ordinamento giuridico riguarda i rapporti tra il diritto penale e gli altri rami del
diritto pubblico e privato, e questa unità si esprime nella coerenza che caratterizza l'ordinamento
giuridico, al cui interno sono inconcepibili contraddizioni insanabili (ad esempio è inammissibile
che uno stesso fatto venga considerato allo stesso tempo lecito e illecito, è normale che possono
manifestarsi delle antinomie, ma è lo stesso sistema che deve fornire gli strumenti per eliminarle); il
primo compito dell'interprete è di trovare la via per realizzare la coerenza dell'ordinamento.
Gli istituti che fanno emergere la connessione tra i vari settori dell'ordinamento e l'unità del
sistema sono le cause di giustificazione, cioè doveri e facoltà che derivano da norme situate in ogni
settore dell'ordinamento e che, rispettivamente, autorizzano o impongono la commissione di un
fatto rendendolo lecito nell'intero ordinamento e così precludendo l’inflizione di ogni tipo di
sanzione prevista per quel fatto dai diversi settori dell’ordinamento (penale, civile,
amministrativo,disciplinare, costituzionale).
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5. DIRITTO PENALE E PROBLEMI PROBATORI.
Una regola di rango costituzionale: il principio della presunzione di non colpevolezza fino alla
condanna definitiva previsto dall'articolo 27.2 cost. impone all'accusa l'onere di provare la
sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
Il codice di procedura penale del 1988 ha fissato le regole probatorie sulla cui base va
pronunciata la sentenza di assoluzione:
non solo quando c'è la prova che il fatto non sussiste,
che l'imputato non lo ha commesso,
che il fatto non costituisce reato o
che non è previsto dalla legge come reato, o
che è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per qualche ragione (come
stabilisce l'articolo 530, 1 comma del codice di procedura penale),
ma anche quando c'è il dubbio che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto
costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona non imputabile, perché manca, è
insufficiente o è contraddittoria la prova .
(come stabilisce l'articolo 530, 2 comma del codice di procedura penale)
Inoltre il giudice può pronunciare una sentenza di assoluzione anche se c'è la prova che il fatto
commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa di non punibilità, o se c'è il
dubbio sull'esistenza di esse.
6.2 Le violazioni delle regole probatorie da parte del legislatore
Questo quadro però è esplicitamente contraddetto dal legislatore che viola le regole probatorie
quando elabora le norme incriminatrici che delineano i cosiddetti reati di sospetto, cioè quei reati
al cui interno c'è una regola probatoria anomala perché essa solleva la pubblica accusa dal peso di
provare la presenza di un elemento costitutivo del reato e trasferisce sul imputato l'onere di provare
l'assenza di quell'elemento: la Corte costituzionale ha affermato l'illegittimità costituzionale di
questa norme incriminatrici
infatti una così frontale violazione della presunzione di non colpevolezza imposta dall’art. 27.2
cost. comporta l’illegittimità costituzionale di simili norme incriminatrici (corte cost. 17/02/1994
n48 in materia d criminalità mafiosa, in una ipotesi relativa ai titolari di beni di valore
sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica che non potessero giustificarne la
legittima provenienza.)
6.3 Le violazioni delle regole probatorie da parte della giurisprudenza
Esistono anche le violazione delle regole probatorie da parte della giurisprudenza quando essa
modifica la struttura del reato sempre per sollevare l'accusa dall'onere probatorio, quindi
ricostruisce la fisionomia di un elemento costitutivo per rendere più agevole la prova della sua
sussistenza nel caso concreto.
Tra i reati di cui viene modificata illegittimamente la struttura c'è innanzitutto il dolo, che è
composto dalla rappresentazione e dalla volizione di un fatto di reato, e quindi è presente e provato
solo se si accerta che l'agente ha avuto l'effettiva rappresentazione e volizione di quel fatto, invece
una rappresentazione solo potenziale può fondare solo un rimprovero di colpa; però quando
l'accusa non riesce a provare la rappresentazione del fatto, spesso il giudice interviene in suo
soccorso modificando la struttura del dolo e ritenendo sufficiente accertare che l'agente potesse e
dovesse prevedere la realizzazione del fatto, trasformando quindi la prova del dolo incavo della
colpa.
Esiste inoltre lo stravolgimento del rapporto di causalità: si tratta del rapporto tra due elementi
del fatto di reato: l'azione (o l'omissione) e l'evento concreto che deve essere conseguenza
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dell'azione o omissione come stabilisce l'articolo 40.1 del c.p. A volte non si può provare
la sussistenza di un rapporto di derivazione causale tra un'azione e un singolo evento concreto
perché non sono ancora disponibili leggi scientifiche con cui spiegare se quell'evento concreto è
davvero riconducibile a quella determinata azione, come alla sua causa; ci possono magari essere
indagini epidemiologiche, che però mostrano solo come quel tipo di azione possa avere aumentato
la probabilità del verificarsi di eventi del genere di quello che si è verificato in concreto.
Per aggirare questo ostacolo probatorio la giurisprudenza stravolge la fisionomia del rapporto di
causalità, e quindi quel rapporto non dovrebbe più intercorre tra azione e evento ma tra azione e
pericolo dell'evento; così la categoria dei reati di evento (ad esempio omicidio, lesioni) vedrebbe la
sua struttura completamente modificata struttura che è imperniata nitidamente dalla legge su un
rapporto di casualità – da provare al di la di ogni ragionevole dubbio – tra una data azione e un
singolo evento concreto, non sul pericolo del verificarsi di quell’evento.
Le ragioni di questo stravolgimento da parte della giurisprudenza sono politico-criminali, perché
si vogliono soddisfare i bisogni di punizione che sono alimentati dalla moderna società del rischio,
caratterizzata da fenomeni che possono mettere in serio pericolo l'incolumità delle popolazioni;
però è solo il legislatore che può assolvere questo compito elaborando nuove norme incriminatrici,
mentre la tendenza della giurisprudenza a stravolgere la fisionomia del rapporto di causalità è contra
legem.
6. LA LEGISLAZIONE PENALE ITALIANA: Cenni.
Il primo codice penale in vigore nel regno d'Italia fu approvato nel 1889 e rimase in vigore dal
1890 al 1931, si chiamava codice Zanardelli, dal nome del ministro guardasigilli del tempo, e
aveva le caratteristiche del diritto penale liberale.
Nella parte generale riaffermava i principi di garanzia dell'Illuminismo: il principio di legalità, di
irretroattività, di colpevolezza; aveva previsto l'abolizione della pena di morte, aveva abbassato
sensibilmente i livelli edittali di pena.
Nella parte speciale prevedeva un rapporto tra Stato e cittadino non autoritario, prevedendo
anche una vasta gamma di delitti contro la libertà la quale, era considerata da Zanardelli una
prerogativa naturale dell'uomo non derivante da creazione politica, e introducendo una reazione
scriminante agli atti arbitrari del pubblico ufficiale.
Al codice Zanardelli succede il codice Rocco, così chiamato dal nome del ministro guardasigilli del
tempo, Alfredo Rocco, esso è stato approvato nel 1930 ed è entrato in vigore nel 1931.
A differenza del codice precedente, il codice Rocco nasce nel contesto di uno Stato autoritario: dal
1926 in Italia si era instaurato un regime che prevedeva lo svolgimento dell'attività politica da parte
di un solo partito e incriminava l'appartenenza a partiti diversi da quello fascista.
L'influenza della cultura liberale ha fatto sì che nella parte generale del codice vengano
conservati alcuni principi di garanzia come i principi di legalità e di irretroattività delle norme
incriminatrici, invece altri principi come quello di colpevolezza vengono ampiamente derogati:
vengono introdotte numerose ipotesi di responsabilità oggettiva e in molti casi si considerano
penalmente responsabili persone che al momento del fatto erano incapaci di intendere e di volere.
Tra le pene ricompare, già anticipata nel 1926, la pena di morte prevista sia per i diritti politici e sia
per quelli comuni.
Nel quadro delle misure di sicurezza si introduce una pena detentiva indeterminata per autori di
reato capaci di intendere e di volere, presunti dalla legge o ritenuti dal giudice socialmente
pericolosi.
Nella parte speciale che ha previsto un innalzamento dei livelli di pena, con un ampio ricorso
alla pena dell'ergastolo, c'è un ampliamento dei delitti contro la personalità dello Stato,
- mentre si aboliscono i delitti contro la libertà politica;
- si puniscono molte manifestazione del pensiero prevedendo vari reati di opinione (ad esempio i
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