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FORME DI MANIFESTAZIONE DEL REATO: TENTATIVO E CONCORSO DI PERSONE 32

L' art 56 c.p. indica nuove figure delittuose, che sono forma di manifestazione meno grave di quei delitti: tentativo di omicidio, di furto, di

rapina. Inoltre c'è bisogno di una norma anche per fondare la responsabilità di chi non realizza in prima persona il reato, ma si limita ad aiutare

o persuadere altri a commetterlo. La funzione di estendere la responsabilità a chi concorre alla commissione di un reato da parte di altri è

assolta nel nostro ordinamento dell'articolo 110 c.p., che, combinandosi con le norme che prevedono la forma consumata o tentata dei singoli

reati, dà vita ad una nuova forma di manifestazione di quei reati: concorso in omicidio, in furto, in rapina. Così potrà rispondere non solo chi

spara al cuore della vittima e ne cagiona la morte, ma anche chi ha fornito l'arma o chi lo ha istigato a commettere l'omicidio.

IL TENTATIVO → A norma dell'art. 56 comma 1, ‘’chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco(=senza dubbi) a commettere un

delitto, risponde di delitto tentato se l'azione non si compie o l'evento non si verifica’’. Da questa definizione emerge chiaramente la

contrapposizione tra delitto tentato e delitto consumato. Rispetto al delitto consumato il tentativo rappresenta un titolo autonomo di reato, e non

una circostanza attenuante. All'autore di un delitto tentato si applica la pena stabilita per il delitto diminuita da un terzo a due terzi.

Trattandosi di una figura autonoma di reato, il tentativo ha una propria cornice edittale di pena, che il giudice deve individuare preliminarmente

rispetto alla commisurazione della pena, da operarsi però all'interno di quella cornice: in particolare la pena per il delitto tentato spazierà da

un minimo pari alla pena minima prevista per il delitto consumato diminuita di due terzi e un massimo pari alla pena massima

prevista per il delitto consumato diminuita di un terzo. Dalla disciplina dettata dall’art. 42 co. 2 c.p. si ricava inoltre che il delitto tentato

deve essere necessariamente commesso con dolo. Il legislatore ha sviluppato coerentemente l'idea ‘’non c'è un reato senza offesa ai beni

giuridici’’: si può parlare infatti del tentativo soltanto se gli atti compiuti dall'agente sono idonei a commettere un delitto, e quindi creano

la probabilità dalla consumazione del reato, e quindi creano un pericolo per il bene tutelato dalla norma incriminatrice di parte speciale.

Comportando il tentativo un’offesa meno grave rispetto al reato consumato la legge fa discendere una pena diminuita: l'articolo 56 co.

2 c.p. stabilisce che il colpevole del delitto tentato è punito con la reclusione non inferiore a 12 anni, se la pena stabilita per il delitto

consumato è l'ergastolo; e negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto consumato, diminuita da un terzo a due terzi.

La struttura e il trattamento sanzionatorio del tentativo sono diversi a seconda che ci si ispiri ad una concezione del reato di impronta

soggettivistica ovvero ad una concezione del reato come offesa a un bene giuridico. Nella prima ipotesi il legislatore considera responsabile

di tentativo chiunque manifesti la volontà di commettere questo o quel fatto di reato e punirà nella stessa misura chi tenta di commettere il

reato e chi lo porta a consumazione. Nella seconda ipotesi, invece, la punibilità del tentativo sarà innanzitutto fondata sulla creazione o sulla

mancata neutralizzazione di un pericolo per il bene giuridico tutelato dalla norma che prevede il corrispondente reato consumato, d'altra

parte, il reato tentato, comportando un'offesa meno grave al bene giuridico, sarà sanzionato con una pena obbligatoriamente più lieve.

Nel configurare la struttura del tentativo il legislatore deve peraltro compiere una seconda scelta di fondo. Infatti il legislatore deve stabilire,

preliminarmente, quali fra gli atti compiuti dall'agente, se idonei, possono rilevare ai fini del tentativo: deve cioè individuare un momento

nell’iter criminis, a partire dal quale può configurarsi il tentativo di un determinato delitto. In passato il codice del 1889 individuava questo

momento tracciando lo spartiacque tra atti preparatori e atti esecutivi: solo i secondi potevano rilevare ai fini del tentativo. Risponde del

delitto tentato infatti colui che, al fine di commettere un delitto, ne comincia con mezzi idonei l'esecuzione. Il legislatore del 1930, ha

invece voluto anticipare gli atti punibili a titolo di tentativo alla fase degli atti preparatori. Fu un'anticipazione ispirata da considerazioni

politiche: sembrava assurdo che non potesse rispondere di tentato omicidio perché non era cominciata l’esecuzione chi era stato sorpreso

mentre, munito di un fucile di precisione, si disponeva a prendere di mira la vittima. Anche se queste erano le intenzioni del legislatore, è

controverso se il testo della legge e l'interpretazione sistematica dell'ordinamento rispecchino davvero quell'intenzione. La risposta a questo

quesito ruota intorno al disposto dell'articolo 56, nella parte in cui richiede che gli atti debbano essere diretti in modo non equivoco a

commettere un delitto, nonché al disposto dell' articolo 115 c.p. che sancisce la normale irrilevanza penale di atti preparatori, come l'accordo o

l’istigazione che abbiano per oggetto la commissione di un reato che poi non venga commesso.

L’inizio dell’attività punibile: atti univoci come sinonimo di atti esecutivi (artt. 56 e 115 c.p.) → Un duplice ordine di argomenti parla a favore

della rilevanza del diritto dei soli atti esecutivi: in altri termini degli atti tipici, che corrispondono almeno ad una parte dello specifico modello

di comportamento descritto nella norma incriminatrice di parte speciale. Sono quindi penalmente irrilevanti a titolo di tentativo gli atti

preparatori, cioè gli atti che abbiano carattere strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una figura di reato: tali atti

potranno rilevare solo se integrano una figura di reato a sé stante. Il requisito dell'univocità degli atti, (atti diretti in modo non equivoco a

commettere un delitto) esprime una caratteristica oggettiva della condotta: gli atti devono di per sé rivelare che l'agente ha iniziato a

commettere un determinato delitto. Infatti possono uscire dall'equivoco ed essere diretti verso un determinato delitto, solo gli atti che

rappresentino l'inizio di esecuzione di quel determinato delitto: i soli atti in grado di attirare la qualifica del tentativo come forma di

manifestazione di quel delitto. Inoltre il legislatore del 1930, per contrapporre e caratterizzare il delitto tentato rispetto al delitto consumato, usa

la formula ‘’se l'azione non si compie’’: ciò significa che l'azione descritta nella norma incriminatrice non deve essere completata, ma deve

essere almeno iniziata. Questa lettura dell'articolo 56 trova conferma nel disposto dell'articolo 115 c.p., il quale considera non punibili sia

l'accordo sia l'istigazione che abbiano per oggetto la commissione di un delitto, che poi non venga commesso. Ora, l'accordo e l'istigazione

accolta dalla persona consistono nell'incontro della volontà di due o più persone, al quale normalmente si arriva attraverso una serie di atti che,

al pari dell'accordo e dell'istigazione, rappresentano altrettanti atti preparatori del delitto programmato. Dell'articolo 115 discende perciò

l'irrilevanza a titolo di tentativo sia dall’accordo e dall'istigazione, sia, a maggior ragione, di atti che precedono il raggiungimento dell'accordo

o all'accoglimento dell'istigazione.

Non è difficile individuare l' inizio di esecuzione nella forma vincolata: esecutivi sono gli atti che corrispondono allo specifico modello di

comportamento descritto nella norma incriminatrice. Ad es. ai fini della truffa rappresenta un mero atto preparatorio la predisposizione di

documenti falsi, mentre l’inizio di esecuzione esige un comportamento che rappresenti almeno l’inizio di un artifizio o di un raggiro.

Quanto ai reati in forma libera solo apparentemente l'azione tipica non è individuata dal legislatore: libertà non significa mancanza di forma.

L’azione tipica si individua in funzione del mezzo scelto in concreto dall'agente: esecutiva è l'attività che consiste nell'uso del mezzo scelto

dall'agente → Il delitto di omicidio doloso può essere realizzato con le più diverse azioni, ma se Tizio decide di provocare la morte di Caio a

mezzo di un veleno, tipica sarà l’attività con la quale Tizio riempie di veleno la bevanda offerta a Caio e parte di questa azione sarà

rappresentata dall’inizio del versamento del veleno nella bevanda; sarà atto preparatorio, e quindi non rileverà ai fini del tentativo, l’acquisto

del veleno.

L'irrilevanza degli atti preparatori ai fini del tentativo non sempre comporta la loro irrilevanza penale: l'ordinamento infatti prevede come reati

a sé stanti una molteplicità di atti preparatori di altri reati. Nel quadro del concorso di persone nel reato, lo stesso articolo 115 fa salva la

possibilità che la legge preveda come autonome figure di reato alcune forme di accordo e di istigazione (es. istigazione a delinquere,

cospirazione politica mediante accordo). Si noti infine che le figure delittuose che danno autonoma rilevanza degli atti preparatori non tollerano

che la soglia della punibilità sia ulteriormente spostata indietro: tali reati non ammettono dunque il tentativo. Es. chi prepara un terreno in vista

di una successiva semina di papaveri di oppio, non risponderà di tentata coltivazione di sostanze stupefacenti. L’orientamento maggioritario

della Corte di Cassazione ritiene che sia configurabile il tentativo anche quando vengano realizzati atti meramente preparatori. Contro la

rilevanza degli atti preparatori ai fini del tentativo si è pronunciata la Corte costituzionale. Una svolta per quanto riguarda la giurisprudenza

della Corte di Cassazione è intervenuta con una sentenza del 2008 corredata da una motivazione aderente all’orientamento della Corte cost. In

tale sentenza la Corte sostiene che gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto possono essere esclusivamente gli atti esecutivi,

ossia gli atti tipici, corrispondenti anche solo in minima parte alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata.

L’art. 115 conferma tale interpretazione. La struttura normativa del tentativo è contraddistinta da due elementi essenziali: la direzione non

equivoca degli atti e la loro idoneità. 33

L’idoneità degli atti → Accertato che gli atti compiuti dall'agente rappresentino l’inizio dell’esecuzione di un determinato delitto, nel nostro

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A.A. 2025-2026
74 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Stellina290702 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Bondi Alessandro.