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La colpa

Antigiuridica o illecita che dire si voglia è qualsiasi condotta che contrasti con una pretesa giuridica. Colpevole è, invece, l'azione che contrasta con una pretesa giuridica particolare, dotata di specifici connotati intrinseci.

Stante questa definizione, il fatto o è antigiuridico o è colpevole. La colpevolezza è infatti una antigiuridicità particolarmente atteggiata. Essa è presente in tutti i casi in cui per imputare a taluno un certo contegno esterno si richieda un elemento che vada oltre la semplice realizzazione fisica della condotta.

Come sappiamo, nei delitti il criterio generale di imputazione è il dolo. Esistono, tuttavia, i c.d. "delitti a carattere complementare", nei quali la colpa trova posto, ma solo in quanto essa è espressamente prevista da una disposizione.

Nelle contravvenzioni, invece, la colpa è equiparata al dolo.

Il legislatore, come per il delitto doloso, ha definito il

delitto colposo in una norma dal carattere generale: l'art. 43. Tale definizione, però, non concerne il criterio di imputazione della colpa in sé, ma il delitto contrassegnato da tale criterio. Perché il legislatore usa questo metodo, si chiede Gallo? Si dice che un codice penale è sì espressione di un pensiero dottrinale, ma non può trasformarsi in un trattato o in un manuale istituzionale. Gallo, piuttosto, ritiene che sia necessario distinguere fra norme che definiscono un concetto e norme che pongono la disciplina di un fatto giuridico. Un codice non dovrebbe essere composto che dalle seconde.

Il dato legislativo è nell'art 43, I comma, III alinea:

Art. 43 – Elemento psicologico del reato: il delitto [...] - è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi,

regolamenti, ordini o discipline.

Se consideriamo la parola evento di cui all'art. 43 come evento naturalistico, o si resta fermi alla disposizione in esame, oppure si conclude che essa è insufficiente, e che tale insufficienza deve essere risolta per il tramite del ricorso ad altre disposizioni legislative.

Qualora, invece, considerassimo l'evento con accezione di evento giuridico – cioè quale offesa degli interessi tutelati dalla norma – nuovi orizzonti si aprono. Il termine evento indicherebbe, in questo caso, un termine di sintesi tramite il quale si esprime contemporaneamente il fatto ed il suo disvalore. Ciò, in altre parole, significa che ciò che non deve essere voluto per aversi colpa non è qualche singolo elemento del fatto, ma l'intero fatto di reato.

Il presupposto negativo della colpa

L'art. 43, comma I, III alinea dispone che “è colposo” [...] “il delitto” [...] “quando non

è voluto dall'agente”. Ciò sta asignificare che il fatto, per essere colposo, non deve essere voluto.

Se il delitto doloso è definito, sempre nello stesso articolo, come “secondo l'intenzione”; quello colposo come“contro l'intenzione”. Da questo segnale normativo viene fuori che, se il delitto colposo è definito in tal modo, vuoldire che presupposto negativo della colpa è che il fatto non sia stato realizzato con dolo.

Sempre nella stessa alinea dello stesso articolo, si dispone che “il delitto è colposo [...] anche se preveduto”. È questo ilfondamento legislativo della colpa cosciente, considerata come circostanza aggravante anche dal n° 3 dell'art. 61.

Essa è caratterizzata dal passaggio dalla previsione generica che un evento dannoso o pericoloso possa verificarsi alconvincimento che, in concreto, essi non si verifichino. Ritornano qui i classici “casi di

scuola” del lanciatore di coltelli e dell'automobilista che corre veloce. Più che cercare fondamenti a questa figura nella teoria generale del diritto, Gallo preverisce interpretarla come una questione di politica legislativa. Non appare infatti opportuno punire allo stesso modo colui nella quale testa è passata la possibilità di realizzare il fatto criminoso, salvo poi essersi convinto del contrario, e chi per questo procedimento non sia passato, agendo senza nemmeno prospettarsi le conseguenze che potevano derivare dalla sua condotta.

Per questo, oltre che per gli altri motivi sopra esposti, Gallo conclude che l'evento di cui alla III alinea deve essere inteso come l'evento della I: cioè evento in senso giuridico. Altrimenti, oltre che scaturirvi una nozione di delitto non comprendente quella dei reati di mera condotta, l'errore sulla presenza di una scriminante o sull'eccesso di essa non potrebbe essere ricondotto nello schema della

colpa.Il collegamento psicologico con il fattoPer molti critici, il legame psichico con l'evento sarebbe impossibile da ravvisare nell'agire colposo. Ritenendo, 12infatti, che per aversi colpa è necessaria una consapevolezza del comportamento negligente, imprudente od imperito,essi sono arrivati a sostenere che la colpa non esisterebbe quale criterio di imputazione soggettivo. Si avrebbe così da unlato colpa cosciente, che non sarebbe colpa ma dolo; dall'altro colpa incosciente, che non sarebbe colpa ma tortooggettivo. Sempre secondo tale tesi, in ogni caso l'evento sarebbe imputato soltanto su basi oggettive di imputazione,come per la condizione obbiettiva di punibilità.Invece noi vogliamo dimostrare il contario: cioè che l'evento possa essere ricondotto alla volontà colpevole anchenelle ipotesi di delitto colposo. Anche nella colpa, ormai è opinione unanime nella dottrina nonostante la tesidiscordante richiamata sopra.che l'azione e l'omissione siano sempre sorrette almeno da un coefficiente psichico che ci permette l'imputazione. Ed è sotto il segno di tale coefficiente che il comportamento doloso e quello colposo sono unitariamente considerati. Tale osservazione rispetto al coefficiente psichico è tuttavia messa in crisi dal fatto che in alcuni reati colposi mancano non solo una volizione ma un qualsiasi altro atteggiamento psichico. Sono questi i casi dei delitti colposi di omissione e i c.d. casi di azioni automatiche. Il problema si risolve, per il primo caso, guardando alla struttura dell'omissione stessa. Essa è la trasgressione di un obbligo, l'inadempimento di una pretesa a contenuto positivo. In casi come questi la colpa può essere ravvisata quando l'atto di volontà rivolto all'adempimento di questo dovere non fosse del tutto impensabile: in quesi casi nei quali, cioè, il comportamento che non è stato posto in essere.è dovuto a forza maggiore. Il ragionamento si ripete nelle stesse forme anche per gli atti automatici; tuttavia in questi il dovere a contenuto positivo alla quale si è trasgrediti può anche essere di natura extragiuridica – ma sempre penalmente rilevante. Abbiamo quindi appurato che l'imputazione fondata sulla trasgressione di un dovere accomuna tanto le omissioni che le azioni automatiche. Chiariamo, quindi, che l'imputazione a titolo di colpa può aversi quando era oggettivamente possibile porre in essere un comportamento diverso da quello tenuto. Negligenza, imprudenza, ecc. come elementi obbiettivi di imputazione soggettiva. Quali sono le note che individuano la colpa? Insomma, in cosa si differenzia l'agire colposo da quello non colposo? Parte della dottrina sostiene che la negligenza sia quello stato di tensione psicologica caratterizzato da inerzia mentale. Altra parte ritiene, invece, che consista in una volontà che non si è

esplicata ma che poteva esplicarsi. Comunque, il problema fa tornare sempre al punto di partenza: quando è che l'ordinamento ritiene possibile e doverosa una condotta che, invece, l'agente non ha avuto? E, se l'agente non ha previsto il fatto né lo ha voluto, cosa permette una imputazione che si differenzi da quella oggettiva? Il criterio non precisa quando la colpa è inescusabile, ma detta degli elementi oggettivi di imputazione soggettiva:

  • Negligenza: è l'antitesi fra un comportamento tenuto e l'attesa socialmente rilevante che certe azioni siano svolte con determinate modalità;
  • Imprudenza: analogo rapporto fra l'attesa socialmente rilevante che certe azioni non siano poste in essere o siano poste in essere con determinate cautele e modalità;
  • Imperizia: una condotta realizzata in maniera insufficiente rispetto alle regole tecniche valide per la stessa;
  • Inosservanza di leggi o regolamenti: un
contrasto tra comportamento e certe determinate regole di condotta dettate dall'ordinamento giuridico. In ogni caso si tratta di ricollegare una tipologia esterna di condotta colposa a determinate regole giuridiche o sociali. L'individuazione delle regole di condotta Nei casi in cui la colpa sia imputata per negligenza, imprudenza ed imperizia, si presuppone la violazione di una regola di condotta. Regola che, tutavia, deriva da regole non giuridiche – perché altrimenti si sarebbe trattato dell'inosservanza di leggi o di regolamenti. Ma sulla base di quali criteri le regole di condotta vanno individuate? Occorre appunto un criterio per stabilire quale sia la regola che l'agente deve osservare per lo svolgimento di determinate attività. Criterio che, per Gallo, non può che essere rinvenuto nella rappresentabilità ed evitabilità. Molti per definirle si riferiscono ai c.d. "usi sociali". Tuttavia questo non significa altro.

Che ricorrere a criteri di rappresentabilità ed evitabilità generalmente accettati. L'uso sociale non è tuttavia determinante, in particolare per quelle condotte rispetto alle quali l'uso sociale non ha ancora avuto modo di pronunciarsi. Ecco quindi che è un criterio che offre sì un segnale, ma che non è un criterio decisivo. Sarà dunque proprio alla base dei criteri di rappresentabilità ed evitabilità che andrà condotto il giudizio alla stregua del quale operare una delle definizioni dell'art. 43 III alinea. La misura della rappresentabilità; il rischio consentito. Alla stregua di quale misura debbono essere calcolate la rappresentabilità e la prevedibilità dell'evento? La misura non può essere totalmente soggettivizzata, cioè offerta dallo stesso soggetto agente, né calcolata solo con riguardo alle particolari condizioni nelle quali egli si trovava ad agire.

anze in cui l'agente ha causato un danno grave o ha commesso un reato intenzionale. Questo criterio non tiene conto del fatto che l'agente potrebbe aver agito con negligenza o imprudenza, anche se al momento dell'azione non sembrava che ciò potesse accadere. Pertanto, la prognosi postuma non può essere considerata un criterio valido per determinare la responsabilità dell'agente.
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
20 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Trapani Mario.