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PARTE QUARTA- IL REATO OMISSIVO

Capitolo 1- Il reato omissivo

Sezione I – Nozioni generali

1. Premessa

Il modello tipico di illecito penale è quello commissivo. Il reato per omissione si ispira ad un principio, quello solidaristico, che incomincerà ad essere preso in considerazione solo a fine ottocento. La dottrina italiana si è interessata al reato omissivo solo nei primi decenni del ‘900, iniziando prima col reato omissivo improprio (più problematico) e poi, negli anni ‘30, a quello proprio. L’avvertita esigenza di affinare l’elaborazione dogmatica degli illeciti di omissione costituisce il riflesso del progressivo incremento subito dagli obblighi di agire dotati di rilevanza penale. Il fenomeno si colloca a cavallo tra ‘800 e ‘900, ed è coevo all’emersione di nuove tendenze sociali solidaristiche. Un ulteriore aumento delle ipotesi di reato omissivo avviene con la legislazione sociale emanata dopo il II

2. Diritto penale dell'omissione e bene giuridico

Mentre il diritto penale dell'azione reprimerebbe il peggioramento di una situazione preesistente, e cioè la lesione di un bene giuridico, il diritto penale dell'omissione tenderebbe, invece, a promuovere il progresso e il benessere collettivo. Parte della dottrina, sulle orme del Binding, degrada il reato omissivo a puro illecito di disobbedienza. Vi è, inoltre, chi sostiene che

Il disvalore dell'illecito omissivo proprio consista non tanto nell'lesione di un bene giuridico preesistente, quanto nella mancata produzione di un bene o di una utilità futura. In tale prospettiva è auspicabile la trasformazione degli illeciti omissivi in semplici illeciti amministrativi. In realtà, una disamina attenta dell'attuale realtà normativa, consente di distinguere tra ipotesi di pura disobbedienza e ipotesi in cui la fattispecie omissiva è posta a tutela di un quid assimilabile al concetto di bene giuridico. In linea di principio, nulla impedisce che in certi casi possa essere considerato bene meritevole di tutela penale proprio l'interesse <attuale> al conseguimento di utilità future; ciò è evidente nel caso dei c.d. beni prestazione costituiti dalle disponibilità economico-finanziarie necessarie per assolvere le funzioni tipiche dello Stato sociale di diritto (es. riscossione dei tributi).

Almeno con riferimento ai casi suddetti, quindi, il problema politico – criminale non è più quello della compatibilità tra diritto penale dell’omissione e protezione dei beni giuridici, ma si tratta di verificare nel caso concreto se l’interesse tutelabile mediante la creazione di una fattispecie omissiva abbia, nella stessa coscienza sociale, raggiunto un certo livello di consolidamento. 3. La bipartizione tra reati omissivi propri e impropri Nel delineare la differenza tra i due illeciti omissivi sono adottabili diversi criteri. Il più tradizionale fa leva sulla necessità della presenza o no di un evento come requisito strutturale del fatto di reato. Seguendo tale criterio, sono definibili propri i delitti omissivi che consistono nel mancato compimento di un’azione che la legge penale comanda di realizzare; all’omittente si fa carico di non aver compiuto l’azione doverosa come tale, e non di non aver

impedito il verificarsi degli eventuali risultati dannosi connessi alla condotta omissiva. Ad es., con l'omissione di soccorso (art. 593) si incrimina il non aver adempiuto all'obbligo di intervento, e non l'eventuale morte a titolo di omicidio. Sono definibili impropri i reati omissivi consistenti, invece, nella violazione di una fattispecie commissiva base. L'omittente assume, in tali casi, il ruolo di garante della salvaguardia del bene protetto e risponde anche dei risultati connessi al suo mancato attivarsi: ad es., la madre che non aiuta il figlio in pericolo. Per restare fedeli alla categoria dogmatica del reato omissivo improprio va, a nostro avviso, attribuita rilevanza decisiva non solo alla presenza di un evento nella sua struttura, ma soprattutto al fatto che questo tipo delittuoso è carente di una previsione legislativa espressa: la fattispecie del reato omissivo improprio, infatti, nel nostro ordinamento nasce dal combinarsi della clausola generale.

contenuta nell'art. 40 c.p.con le norme di parte speciale direttamente incentrate su di un reato di azione etrasformate in fattispecie omissive per via di interpretazione giudiziale. A nostro avviso, dunque, è meglio operare la distinzione tra reati omissivi propri e impropri in funzionedella diversa tecnica di tipizzazione adottata dal legislatore: quindi, sono propri i reatiomissivi direttamente configurati come tali dal legislatore, impropri quelli carenti diprevisione legislativa espressa e ricavati dalla conversione di fattispecie create, in origine,per incriminare comportamenti positivi.

Sezione II - Struttura del reato omissivo

I. Tipicità

A. La fattispecie obiettiva del reato omissivo proprio

1. Situazione tipica

Gli elementi costitutivi del reato omissivo proprio sono fissati dal legislatore, come per i reati commissivi. La figura di tale illecito è costituita dalla situazione tipica, cioè dall'insieme dei presupposti da cui scaturisce

l’obbligo di attivarsi. Nel descrivere tale situazione, la norma incriminatrice indica anche il cui deve tendere il compimento dell’azione comandata. Il contenuto dell’obbligo di agire talora è specificato, talaltra è stabilito solo in forma generica. La descrizione legislativa tipica può far uso di elementi descrittivi che rinviano alla realtà naturalistica o di elementi normativi giuridici. Con riferimento alla problematica relativa all’oggetto della volontà colpevole, le fattispecie omissive proprie possono essere distinte in due sotto – categorie, a seconda che la relativa situazione tipica sia o : nel primo caso, l’obbligo di attivarsi ha presupposto una realtà naturalistica o sociale immediatamente percepibile dal soggetto, a prescindere dall’obbligo giuridico; nel secondo caso, invece, è difficile che il soggetto riconosca di trovarsi in unasituazione che lo obbliga ad attivarsi in un certo modo se egli non conosce preventivamente la norma giuridica da cui scaturisce l'obbligo.
  1. Condotta omissiva tipica e possibilità di agire
Altra componente basilare della fattispecie in esame è la condotta omissiva. Secondo l'orientamento dominante, per il concetto di omissione, sarebbe da accogliere la teoria c.d. normativa: ripetendo le parole del Grispigni, Possiamo definire l'omissione come "non compimento, da parte di un soggetto, di una determinata azione, che era da attendersi in base ad una norma". Il compimento dell'azione comandata presuppone la possibilità di agire come richiede la norma. Sul piano della tipicità della condotta omissiva, la tale possibilità va intesa come un minimo di possibilità materiale di adempiere al comando: possibilità che può essere esclusa dall'assenza di attitudini psicofisiche, o dall'assenza delle

Condizioni esterne necessarie per compiere l'azione doverosa. Beninteso, il reato viene meno se il soggetto ha compiuto un serio sforzo di adempiere all'obbligo di agire e l'insuccesso è dovuto a circostanze esterne. Inoltre, ove si tratti di doveri di agire che incombono su più soggetti, e che non presuppongono un adempimento di tipo personale, l'attivarsi da parte di uno dei co-obbligati può far venir meno i presupposti della situazione tipica e, quindi, può rendere penalmente irrilevante l'omissione di coloro i quali restano successivamente inattivi.

La fattispecie obiettiva del reato omissivo improprio.

Premesse: autonomia della fattispecie omissiva impropria e il principio di legalità.

Il reato omissivo improprio contravviene all'obbligo di impedire il verificarsi di un evento lesivo. Si tratta di una figura di illecito problematica; l'evento del cui mancato impedimento si è chiamati a rispondere.

è quello tipico ai senso di una fattispecie commissiva. Si è storicamente ritenuto che, almeno in alcuni casi, il non impedire equivale, quanto adisvalore, al commettere il delitto. Ed è in questo senso che si spiega la stessa origine storica della etichetta <reato omissivo improprio> o <reato commissivo mediante omissione>: secondo, cioè, l’impostazione tradizionale, i cadi di mancato impedimento di un evento tipico costituirebbero una mera forma di manifestazione dei reati commissivi espressamente tipizzati dal legislatore.

Le fattispecie in esame sono caratterizzate da un’assenza di puntuale tipizzazione legislativa: tale rinuncia trova giustificazione nel convincimento che il legislatore non sia in grado di prevedere una volta per tutte, i vari casi di equivalenza tra azione causale ed omissione non impeditiva. Si comprende, allora, anche come il nostro codice si limiti a regolamentare l’illecito omissivo improprio solo nella parte generale.

mediante la previsione di una clausola di equivalenza secondo cui: (art. 40 c.p.). In tal modo, il reato omissivo improprio viene ricostruito dall'interprete in base all'innesto della disposizione ex art. 40 c.p. sulla norme di parte speciale che prevedono le ipotesi di reato commissivo suscettive di essere convertite in corrispondenti ipotesi omissive. La fattispecie che si crea da tale innesto non rappresenta una semplice forma di manifestazione della fattispecie commissiva espressamente prevista, ma ha carattere autonomo. Il riconoscimento di tale autonomia strutturale finisce col sollevare dubbi sulla compatibilità di tale modello di illecito con i principi di legalità e sufficiente determinatezza della fattispecie. Gli elementi di cui si compone la nuova ed autonoma fattispecie omissiva impropria vengono, infatti, per la gran parte ricostruiti dal giudice a cuispetta il compito delicato di selezionare le fattispecie di azione legalmente tipizzate da convertire in corrispondenti ipotesi omissive e di individuare gli
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A.A. 2012-2013
172 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Sicurella Rosaria.