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CAPITOLO IV - IL SIGNIFICATO DEL TERMINE MORTE
USO COMUNE E USO TECNICO GIURIDICO DEL TERMINE - Il nostro lettore Melchiorre ha potuto fin qui constatare che anche una norma apparentemente di facile comprensibilità come l'art. 575 porta invece una serie di questioni circa il significato dei termini e il loro uso specifico in un contesto giuridico. A questo punto il nostro lettore comincia ad interrogarsi anche sul termine morte e sul significato che ad essa deve essere dato in un contesto giuridico e soprattutto se sia ammissibile utilizzare un concetto naturalistico di morte, intesa come cessazione della vita o se si debba far ricorso ad un concetto normativo di essa. Il nostro lettore si pone il seguente problema: se Tizio procura a Caio volontariamente lesioni tali che la sua vita deve essere sostenuta artificialmente ne ha cagionato la morte ai sensi dell'art. 575? E se Sempronio stacca la macchina che sostiene artificialmente in vita Caio ne cagiona la morte?
Melchiorre ritiene in proposito che fin che Caio può essere mantenuto invita anche se artificialmente Tizio non dovrebbe rispondere di omicidio ma solo di tentato omicidio e che Sempronio può essere invece ritenuto responsabile di omicidio in quanto ha cagionato la morte di Caio anche se la sua vita eraartificiale ma si rende conto che la spiegazione del concetto di morte deve essere trovata sul piano normativo. A taleproposito la legge 644 del 1975 che ha disciplinato il prelievo degli organi dal cadavere ha dato un concetto normativo dimorte che si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo e quindi con la morte cerebrale. Aglieffetti di legge dunque viene dato un concetto uniforme di morte che deve consistere nella cessazione dell'attivitàcerebrale dell'individuo e pertanto sarà ritenuto responsabile di omicidio chi abbia cagionato la cessazione di tutte leattività dell'encefalo di un altro uomo.
Il fatto che la legge offra un concetto normativo di morte uniforme e preciso rende impossibile sostituire tale concetto con un concetto naturalistico come ad esempio la mancanza di attività respiratoria o l'arresto del battito cardiaco. Tale definizione normativa di morte diviene quindi il limite naturale di applicabilità dell'art.575 per cui non si può cagionare la morte che si è già verificata. Dopo aver definito il concetto normativo di morte dobbiamo ora soffermarci sul momento della verificazione dell'evento e sul significato giuridico da attribuire ad esso. Potremmo svolgere tale riflessione considerando l'evento come accadimento naturalistico e quindi come produzione di un cambiamento nella realtà che possa essere percepito con i sensi. L'ordinamento giuridico però considera l'evento come violazione di una norma e quindi qualunque violazione di una norma può essere considerata come.Eventocostitutivo dell'illecito. In tal modo l'evento diventa un concetto giuridico che si identifica nell'offesa all'oggetto della tutelaprestata dalla norma e cioè al bene che la norma protegge che può essere definito come bene giuridico. Considerandol'evento giuridico come offesa al bene giuridico si possono spiegare anche quelle fattispecie legali dove l'evento insenso naturalistico manca del tutto in quanto la conseguenza della condotta umana in questi casi non è materialmentepercepibile ma soltanto giuridicamente valutabile (es. reati di ingiuria). Applicando tale concezione giuridica dell'eventoall'art. 575 se ne deduce che se la norma punisce l'omicidio essa ha come oggetto di tutela la vita umana che è dunqueil bene giuridico tutelato dalla norma. È evidente che la vita umana è già di sé un bene socialmente rilevante ma peressere oggetto di tutela giuridica deve anche
essere irrinunciabile. Infatti non tutti i beni socialmente rilevanti sono oggetto di tutela penale e quindi la tutela accordata è frutto di una scelta da parte del legislatore il quale non tutela tutti i beni. Il diritto penale ha infatti la caratteristica della frammentarietà in quanto non può essere totalitario perché in questo caso il cumulo di obblighi e divieti penalmente sanzionabili diventerebbero oppressivi per l'individuo. Applicando tali nozioni all'omicidio è evidente e fuori discussione l'irrinunciabilità alla tutela della vita dato il ruolo fondante che essa svolge anche nei confronti degli altri beni giuridici. Tornando all'omicidio esistono diverse fattispecie legali (art. 575, 579, 584 e 589) che contemplano l'offesa allo stesso bene giuridico, la vita, dando però luogo a diverse valutazioni giuridiche. In questi casi l'evento naturalistico (morte) rimane uguale e così anche
L'evento giuridico (offesa allo stesso bene giuridico, la vita umana) ma la valutazione da parte dell'ordinamento è diversa a seconda delle modalità con cui esso è realizzato. L'art. 575 punisce l'omicidio doloso e quindi descrive una condotta volontariamente diretta a produrre l'evento morte che si realizza come conseguenza voluta della condotta causale dell'autore. Il dolo richiesto per la punibilità è il cosiddetto dolo generico in quanto la fattispecie dell'art. 575 può essere punita sia a titolo di dolo intenzionale che di dolo eventuale. La pena prevista è la reclusione non inferiore ad anni 21. L'art. 584 punisce invece l'omicidio preterintenzionale che descrive una condotta volontariamente diretta a percuotere o ferire qualcuno dalla quale deriva, come conseguenza non voluta dall'autore, la morte del soggetto. In questo caso la pena pur ancora elevata (da un minimo di 10 ad un massimo di 18 anni) è inferiore rispetto all'omicidio doloso.
massimo di 18 anni) è inferiore a quella prevista per l'omicidio doloso in quanto la morte cagionata dalla condotta causale dell'autore non è una conseguenza voluta in quanto l'autore voleva solo percuotere o ferire la persona che invece muore. L'art. 589 punisce invece l'omicidio colposo che descrive una condotta caratterizzata dall'inosservanza di cautele doverose per l'altrui incolumità dalla quale deriva come conseguenza non voluta la morte di una persona. La pena prevista è di molto inferiore rispetto alle altre previsioni (da un minimo di sei mesi ad un massimo di cinque anni). Ciò si spiega con il fatto che seppure omicidio colposo e preterintenzionale abbiano in comune il fatto che la morte della vittima sia conseguenza non voluta, nell'omicidio preterintenzionale, a differenza di quello colposo, la condotta iniziale era volontariamente diretta a percuotere o ferire e quindi a ledere l'altrui incolumità.incolumità mentre nell'omicidio colposo il fatto lesivo avviene interamente contro la volontà dell'autore. L'art. 579 invece punisce l'omicidio del consenziente e quindi una condotta volontariamente diretta a produrre la morte di un uomo che a sua volta vuole essere ucciso. La pena prevista in questo caso pur restando elevata (dai sei ai quindici anni) è inferiore a quella prevista per omicidio volontario e preterintenzionale e la spiegazione sta nel fatto che questo omicidio non sarebbe punibile se la legge permettesse di disporre della propria vita perché in questo caso l'ipotesi rientrerebbe nell'ambito della scriminante del consenso dell'avente diritto (art. 50 cp). Pertanto se la legge non consente ciò considerando la vita come oggetto di un diritto indisponibile non si può trascurare il fatto che la conseguenza della condotta omicida è voluta anche dalla vittima e che quindi il fatto costitutivo.Dell'omicidio del consenziente (che è pure anch'esso omicidio doloso) è caratterizzato dall'esistenza del consenso e quindi dalla convergenza della volontà sia dell'omicida che della vittima sull'evento morte. L'analisi sopra effettuata ha dimostrato che mentre l'evento naturalistico deve essere individuato nella morte inteso come perdita irreversibile delle funzioni cerebrali l'oggetto della tutela penale è la vita umana. Si potrebbe ipotizzare invece che la vita umana come oggetto della tutela penale un diritto individuale ad essere lasciato in vita. Tale ipotesi però sarebbe coerente con la previsione dell'art. 575 ma non con quella dell'art. 579 che descrive una fattispecie dove è presente il consenso della vittima che significa appunto che essa intende appunto rinunciare al proprio diritto ad essere lasciata in vita consentendo la propria uccisione. E' vero anche che a proposito
dell’essere lasciati in vita si potrebbe ipotizzare nello stesso tempo un diritto-dovere, ossia un diritto a vivere al quale fa riscontro un dovere di vivere. Tale ipotesi sarebbe avvalorata dall’art. 32 cost. che tutela la salute (e quindi la vita) come fondamentale diritto dell’uomo ma anche come interesse della collettività. Sotto tale aspetto potrebbero essere spiegate sia l’art. 575 che l’art. 579. Nella prima norma infatti sarebbe privilegiato il diritto alla vita come diritto all’essere lasciati in vita nella seconda l’aspetto del dovere correlato agli obblighi di solidarietà sociale e alla posizione funzionale dell’individuo nella società. Però anche tale soluzione non è del tutto convincente in quanto se esistesse effettivamente un dovere giuridico di vivere dovrebbe essere punito anche il suicidio e il tentato suicidio che invece non sono previsti dalla legge vigente come reati e quindi èÈ necessario ritornare al concetto generico del bene protetto, la vita umana, e non il diritto alla vita perché esso è coerente con tutte le norme previste per la sua tutela.
CAPITOLO V – La materialità del fatto di cagionare la morte di un uomo
Abbiamo visto come le varie fattispecie legali dei delitti contro la vita descrivano un unico fatto, quello di cagionare la morte e un unico evento materiale consistente nella cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali. Abbiamo anche visto come tali fattispecie vengano valutate dalla legge in modo diverso a seconda dell'atteggiamento psicologico dell'autore del fatto e quindi come la diversità delle varie norme incriminatrici dipenda dalla combinazione dell'elemento oggettivo dell'illecito con un diverso elemento soggettivo. Ne consegue che il fatto e quindi l'esatta individuazione del bene giuridico tutelato non sia sufficiente per determinare la fattispecie di riferimento.
e quindi per ottenere ciò occorre corredare il fatto di un ulteriore elemento descrittivo, rappresentato dal dolo o dalla colpa. Ovviamente occorre effettuare una doppia valutazione, una a livello descrittivo al fine di individuare il dolo o la colpa e l'altra a livello ascrittivo ai fini della valutazione della responsabilità e quindi relativamente alla imputabilità e alla.