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VINCENZO DE LISO
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COSA IMPORTANTE DA RICORDARE: (appunti del prof)
i reati di pericolo presunto possano essere compatibili col principio di
offensività??
Questo perché il legislatore preume iuris et de iure la pericolosità della condotta senza
dare modo al giudice di accertarla caso per caso. Ma una presunzione assoluta di
responsabilità è dunque compatibile col principio di offensività? A dare
risposta a tale quesito fu la corte costituzionale con la sentenza 303/1991 dove
chiarì che tali reati sono compatibili con il principio di offensività sempre che le scelta
del legislatore, nel prevedere quel fatto tipico come reato, non sia stata arbitraria e
manifestamente insensata. Ciò apre la possibilità, anche nei reati di pericolo
presunto, di un accertamento giudiziale.
Reati Unisussistenti e reati plurisussistenti:
Si dicono reati unisussistenti quei reati la cui condotta si esaurisce con il
realizzarsi di un unico atto, quelli invece la cui realizzazione esige il compimento
di una pluralità di atti si dicono plurisussistenti (l’ingiuria se avviene attraverso la
pronunzia di una sola parola è un reato unisussistente, se avviene attraverso anche la
redazione e invio di scritti diventa plurisussistente poiché consta di una attività
complessa suscettibile di frazionamento di più atti.
Reati abituali (o a condotta plurima).
Alcune ipotesi di reato si realizzano attraverso la configurazione di più condotte che di
per sé non costituiscono reato (o costituiscono singoli reati diversi) ma prese
nell’insieme e , a causa della loro reiterazione, vengono configurate come un
comportamento abituale del soggetto che da luogo ad un autonomo reato abituale,
la cui tipicità nasce dall’offesa inerente all’insieme delle condotte poste in essere.
Pensiamo al reato di maltrattamenti in famiglia (572) che presuppone una serie di
comportamenti aggressivi di uno o più beni giuridici (integrità personale, dignità,
libertà di movimento ecc) la cui reiterazione nel tempo fa emergere la lesione della
personalità del soggetto passivo come offesa distinta da quella di volta in volta
ripetutasi contro i singoli oggetti giuridici tutelati che ,naturalmente, conservano la
loro autonoma rilevanza come reati di ingiuria, lesioni personali, sequestro ecc. I reati
abituali possono distinguersi in due sottocategorie: reati abituali propri e impropri (le
due categorie divergono a seconda se i singoli comportamenti hanno rilevanza penale
autonoma). Ad esempio, nel caso dell’art 575 sui maltrattamenti, il reato si può
realizzare attraverso il compimento di alcune condotte che di per sé non hanno
rilevanza penale ( rimproverare il figlio tutti i giorni dicendo “tu nun sij buon, sij na chiavica, sij nu
fallit…fai skifoooooooo!!!” xD non costituisce reato di per sé..ma la reiterazione di ciò potrebbe portare al
!)
maltrattamento psicologico in alcuni casi, ergo esso acquista rilevanza penale
Reati plurioffensivi:
I reati possono offendere un singolo bene giuridico o più beni giuridici. I reati
plurioffensivi sono quelli in cui la tipicità del fatto è contrassegnata dalla minaccia
contestualmente a più beni giuridici. Pensiamo alla rapina (art 628) dove si aggredisce
sempre sia il patrimonio del soggetto passivo ma anche la sua incolumità personale e
la libertà morale dello stesso.
Reati istantanei e reati permanenti:
I reati istantanei sono quei reati in cui la consumazione di essi avviene in un
determinato e circoscritto punctum temporis (pensa all’omicidio, la rapina ecc i cui
effetti , talora irreversibili, sono destinati anche a durare nel tempo ma la
consumazione del reato è avvenuta comunque in un unico momento).
I reati permanenti sono invece quei reati la cui consumazione si protrae nel
tempo. Più precisamente, il reato permanente è contrassegnato dal perdurare nel
tempo della lesione di un bene giuridico per effetto di una corrispondente
condotta dell’autore.Ciò significa che se il protrarsi della condotta non dipenda
dall’azione dell’autore, l’eventuale danno ulteriore non può essergli addebitato.
VINCENZO DE LISO
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Pensiamo al sequestro di persona, tipico reato permanente. Fin dal primo istante in
cui il soggetto passivo è privato dalla libertà di movimento, il reato è certo e perfetto
in tutti i suoi elementi, e tuttavia il momento consumativo si dilata fino a
ricoprire tutto l’intervallo di tempo che intercorre tra il momento del
sequestro e il rilascio della vittima. Nell’ultima ipotesi esaminata , se il perdurare
del sequestro non dipenda dall’effettiva volontà del sequestratore, non può essere
addebitato a costui il residuo periodo di privazione di libertà del sequestrato.
NB. consumazione del reato: cosa significa? Un reato si dice consumato quando
sono stati realizzati tutti gli estremi descritti nella norma incriminatrice che lo prevede.
NESSO DI CAUSALITA’ TRA CONDOTTA ED EVENTO
perché l’offesa possa essere attribuita ad un determinato autore è
necessario che tra la condotta e l’evento vi sia un rapporto di causa ed
effetto. Il nesso di causalità tra condotta ed evento può atteggiarsi non solo nei
termini propri di un processo della realtà naturale (percepibile coi sensi e verificabile in
via sperimentale, pensiamo all’omicidio: morte dell’uomo = vi è nesso tra evento e
condotta!) ma anche come rapporto di consequenzialità tra una determinata
condotta e un determinato evento lesivo la cui qualificazione come conseguenza
può essere stabilita soltanto sulla base di un carattere di “regolarità” desunto da
massime di esperienza che poco hanno a che vedere con leggi scientifiche (non è così
facile individuare il nesso tra condotta ed evento nella truffa come “punire colui che
attraverso artifici e raggiri procura a se o ad altri un ingiusto profitto con danno
altrui”).
Nel nostro ordinamento il concetto di nesso di causalità è espresso nell’articolo
40 ed è visto come elemento costitutivo essenziale del fatto tipico. “nessuno
può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento dannoso
o pericoloso da cui dipende l’esistenza del reato non è conseguenza della sua azione o
omissione” e “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire
equivale a cagionarlo” (il II comma è per i reati di condotta omissiva).
L’art 40 però si limita soltanto d enunciare l’esigenza di un nesso causale tra
condotta ed evento ma né specifica cosa si debba intendere per rapporto di
causalità né detta i criteri sulla base dei quali si decide la rilevanza giuridica del
rapporto causale.
L’art 41 , a differenza dell’art 40, può fornire alcuni criteri di orientamento per una
ricostruzione del modello giuridico-normativo della causalità.
Stabilisce l’art 41 che “il concorso di cause preesistenti o simultanee o
sopravvenute , anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non
esclude il rapporto di causalità tra l’azione od omissione e l’evento” e “le
cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da
sole sufficienti a determinare l’evento. Di conseguenza se l’azione o omissione
precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena stabilita
per questo” e “le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa
preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.
Per cui l’art 41 sancisce l’irrilevanza delle “concause” dell’evento (quegli
ulteriori fattori del processo causale produttivo dell’evento) diversi dalla condotta
dell’autore, che siano ad essa preesistenti, coevi o sopravvenuti.
Notiamo una contraddizione palese tra il I comma e il II comma dell’art 41: il
primo comma ci dice che “tutte le concause (quindi anche quelle
sopravvenute) non escludono il nesso di causalità. Il II comma invece ci dice
che “le cause sopravvenute, se sufficienti da sole a produrre l’evento,
escludono il nesso di causalità”. contraddizione palese!
Facciamo un esempio per capire bene: morte di un uomo 1) lieve ferita ma l’uomo è emofiliaco
e decede a seguito della ferita che normalmente era inidonea a cagionare la morte (concausa
preesistente) 2) una percossa non violenta che però fa sbattere l’uomo su una pietra e muore
(concausa simultanea) 3)lesione lievissima ma la persona muore in ospedale per sopravvenute
VINCENZO DE LISO
19 In tutti questi casi , a norma dell’art 41, quando la
complicazioni mediche insolite.
condotta dell’autore abbia comunque spiegato una efficacia causale nella produzione
di un evento (la morte della persona in questo caso!) l’esistenza dei presupposti per
l’imputazione oggettiva non è scalfita dall’intervento di fattori concomitanti nella
produzione dell’evento anche se di preminente rilievo.
Per la dottrina la disciplina dell’art 41 è lacunosa e contraddittoria.
Innanzitutto vi è la difficoltà di capire come una causa sopravvenuta possa essere
sufficiente da sola a determinare un evento. Qui si può fare il classico esempio di
colui che avendo avuto una lieve lesione, muore in ospedale a causa di un incendio che di per
sé è sufficiente causa potenziale di morte (anche di persone sane). Tuttavia non può sfuggire
E’ quindi difficile
che era ricoverato a causa della ferita procurata proprio quel giorno.
segnare il confine che dovrebbe separare le cause sopravvenute “da sole sufficienti a
determinare l’evento” da quelle che non possiedono tale caratteristica. Quale è la
differenza tra l’esempio prima descritto e l’insorgere di complicazioni
medico-chirurgiche del tutto eccezionali da un punto di vista statistico? È evidente che
restando ancorati alla lettura del 41 si darebbe una risposta negativa.
Occorre dunque leggere il II comma dell’art 41 nel senso che la causa
sopravvenuta esclude la rilevanza del rapporto di causalità tra la condotta e
l’evento quando, per la sua natura e le sue caratteristiche, le si debba
riconoscere già in astratto una efficienza causale ,rispetto alla produzione
dell’evento, che permetta di prescindere totalmente dalla circostanza storica
che la collega alla condotta dell’autore. Solo così si nota la differenza tra
“l’incendio dell’ospedale” e le &ld