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IL FATTO

A) IL FATTO NEI REATI COMMISSIVI

1. L'azione. Nozione

Al centro di ogni fatto commissivo penalmente rilevante compare, descritta da un verbo, un'azione umana.

La dottrina, elaborando le più svariate teorie dell'azione (finalistica, causale, sociale), si è sforzata di delineare un

concetto contenutisticamente così ricco da essere in grado di descrivere in modo esauriente l'enorme varietà di azioni

incriminate nell'odierna legislazione penale. Questo sforzo teorico si è però rivelato infruttuoso.

È fallito in particolare lo sforzo teorico di accomunare le più diverse azioni penalmente rilevanti sotto il segno di un

indefettibile coefficiente psicologico più o meno esangue (volontarietà, coscienza e volontà). Il fallimento è stato

provocato dalla comprovata assunzione dei reati dolosi come 'prototipi' di ogni reato, e dalla conseguente messa in

ombra delle peculiarità dei reati colposi, la cui azione concreta, che viola questa o quella regola di diligenza, è

spessissimo — si pensi alla circolazione stradale — un'azione caratterizzata o da una divergenza tra quel che si fa e quel

che si voleva fare (i c.d. movimenti maldestri, come quello dell'automobilista che, vedendosi parare dinanzi

all'autoveicolo un bambino, vuole azionare il pedale del freno, ma per lo spavento mette il piede sull'acceleratore e

investe il bambino) ovvero da azioni automatiche o istintive errate, compiute in luogo delle azioni necessarie per

fronteggiare i continui rischi della circolazione stradale (ad es. la manovra di emergenza compiuta dall'automobilista

che, per evitare di investire un motociclista caduto sulla sede stradale, anziché sterzare verso sinistra, come sarebbe

stato necessario, istintivamente sterza verso destra e investe il malcapitato). L'unica nota concettuale dell'azione che

accomuna tutti i reati commissivi è il carattere di attività esteriore: per meglio individuare la fisionomia delle azioni

penalmente rilevanti, è indispensabile esaminare ogni singola norma incriminatrice.

Reati a forma libera e reati a forma vincolata

Due sono le tecniche alle quali il legislatore può fare ricorso per descrivere le azioni penalmente rilevanti. Può esigere

che l'azione sia compiuta con determinate modalità, e si parla in questo caso di reati a forma vincolata: l'azione concreta

sarà rilevante (cioè tipica) solo se corrisponde allo specifico modello di comportamento descritto nella norma

incriminatrice. Oppure, il legislatore può attribuire rilevanza ad ogni comportamento umano che abbia causato — con

qualsiasi modalità — un determinato evento: si parla allora di reati a forma libera. In questi casi l'azione concreta

penalmente rilevante si individuerà nei reati dolosi in funzione del mezzo impiegato in concreto dall'agente — sarà cioè

tipica l'attività consistente nell'uso del mezzo impiegato dall'agente per causare l'evento — e nei reati colposi tipica sarà

qualsiasi azione che abbia colposamente creato il pericolo concretizzatosi nell'evento.

Il ricorso da parte del legislatore all'una o all'altra tecnica (forma libera o forma vincolata) per individuare l'azione

dipende in larga misura dall'importanza del bene giuridico la cui aggressione è repressa penalmente.

Beni ritenuti di alto rango vengono tutelati dal legislatore 'da ogni lato': si rinuncia cioè a selezionare questa o quella

modalità con cui può essere recata l'offesa, attribuendo rilevanza alla causazione pura e semplice dell'evento.

Emblematica la tutela apprestata dal codice penale ai beni della vita e dell'integrità fisica.

Gli artt.575 e 589 c.p. non richiedono infatti che la morte sia provocata attraverso specifiche forme di comportamento,

ma danno rilevanza a qualsiasi condotta (strangolare, far annegare, accoltellare, avvelenare, etc.) che « cagiona la morte

di un uomo ». Del pari, gli artt.582 e 590 c.p. descrivono le aggressioni all'integrità fisica con la tecnica dei reati 'a

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forma libera' (è punito «chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale » — art. 582 c.p. —, nonché « chiunque

cagiona ad altri... una lesione personale » — art. 590 c.p. —). Sia nei delitti di omicidio sia nei delitti di lesioni

personali l'impiego di particolari mezzi (sostanze venefiche o altro mezzo insidioso: artt. 577 e 585 c.p.; armi, sostanze

corrosive, materie esplodenti, gas asfissianti o accecanti, per le sole lesioni personali: art. 585 c.p.) viene invece

valorizzato nell'ambito delle circostanze aggravanti.

Sul versante opposto rispetto ai beni di rango più elevato si trovano invece beni stimati di minor rango, ai quali

l'ordinamento accorda una tutela soltanto frammentaria: tali beni giuridici, cioè, vengono protetti di regola solo contro

specifiche classi di comportamenti, scelte dal legislatore per la loro particolare capacità offensiva, ovvero per la loro

attitudine a rendere più vulnerabile il bene giuridico tutelato.

L'esempio per eccellenza di questa tutela frammentaria è fornito nel codice penale dal bene giuridico 'patrimonio'. Così,

ad es., in alcuni delitti l'agente deve aggredire il bene patrimoniale impiegando violenza fisica o psichica sulla vittima (è

il caso della rapina propria: «chiunque mediante violenza alla persona o minaccia si impossessa della cosa mobile altrui,

sottraendola a chi la detiene» — art.628 co.1 c.p. —), ovvero costringendo la vittima, con violenza o minaccia, a

'cooperare' all'usurpazione del suo patrimonio (ad es. nell'estorsione: «chiunque, mediante violenza o minaccia,

costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» —

art.629 c.p. —). In altri delitti il patrimonio deve invece essere attaccato con vere e proprie forme di frode a danno della

vittima, più o meno intense (ad es. nella truffa: «chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé

o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» — art.640 c.p. —). In altri delitti le modalità dell'offesa al patrimonio

consistono nell'abuso di situazioni di vulnerabilità della vittima (ad es. nella circonvenzione di persone incapaci:

«chiunque,... abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello

stato di infermità o deficienza psichica di una persona..., la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto

giuridico per lei o per altri dannoso» — art. 643 c.p. —). Altri delitti sono poi caratterizzati dall'usurpazione dell'altrui

patrimonio mobiliare realizzata o attraverso la violazione dell'altrui sfera di custodia (furto «chiunque si impossessa

della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene» — art.624 c.p. —), ovvero compiendo sulla cosa altrui che già si

trova in possesso dell'agente atti riservati al proprietario, come la vendita, la consumazione della cosa, etc.

(appropriazione indebita: « chiunque... si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il

possesso » — art. 646 c.p. —).

Talora, configurando un reato a forma vincolata, il legislatore dà rilievo al compimento non di una, ma di più azioni,

che devono essere realizzate secondo una determinata successione temporale.

Così, nel reato di falsità in scrittura privata la legge richiede la formazione, in tutto o in parte, di una scrittura privata

falsa (o, in via alternativa, l'alterazione di una scrittura privata vera) seguita dall'uso del documento falsificato (art.485

c.p.); nel furto (art.624 c.p.) si richiede che l'agente sottragga una cosa mobile altrui a chi la detiene e, successivamente,

se ne impossessi.

1.3. Reati di possesso e reati di sospetto

Nel c.p. e — più spesso — nella legislazione speciale compaiono reati c.d. di possesso, cioè reati nei quali l'oggetto del

divieto è il possesso (o la detenzione) di questa o quella cosa.

Ad es. l'art.453 co.1 n.3 c.p. contempla il delitto di detenzione di monete falsificate; l'art.461 c.p. la detenzione di

filigrane o di strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete; l'art. 73 co. 1 bis D.P.R. 9

ottobre 1990 n. 309, nella versione della 1. 21 febbraio 2006 n. 49, la detenzione illecita di sostanze stupefacenti o

psicotrope; l'art. 12 1.5 luglio 1991 n. 197 il possesso di carte di pagamento falsificate o di provenienza illecita; l'art. 10

1. 14 ottobre 1974 n. 497 la detenzione illegale di armi da guerra.

La presenza in queste figure di reato di una vera e propria azione (cioè di un'attività umana che si manifesti all'esterno)

è da sempre controversa. I concetti di possesso, detenzione e simili stanno infatti soltanto a indicare la disponibilità di

una determinata cosa, cioè la concreta possibilità di farne uso: e proprio nel pericolo dell'uso della cosa risiede la

ragione della configurazione di queste ipotesi di reato. D'altra parte, per armonizzare queste previsioni normative con

l'idea del reato come offesa creata attraverso un'azione umana, può individuarsi come requisito tacito, ma necessario,

del fatto di reato un'azione consistente nel procurarsi o nel ricevere la cosa-, qualora poi la cosa sia stata ricevuta dal

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soggetto inconsapevolmente, l'azione consisterà nell'esercitare sulla cosa un controllo diretto a conservarne la

disponibilità.

Uno speciale sottogruppo di 'reati di possesso' è costituito dai c.d. reati di sospetto, il cui carattere peculiare è di natura

processuale e riguarda l'inserzione nella norma incriminatrice di un'anomala regola di giudizio-, in contrasto con la

presunzione di non colpevolezza (art.27 co.2 Cost.), l'onere della prova della destinazione o della provenienza lecita

della cosa incombe infatti interamente sull'imputato, e finché il giudice versi in dubbio si impone una pronuncia di

condanna.

I reati di sospetto compaiono nel codice penale: è il caso del possesso ingiustificato di chiavi o di grimaldelli

(«chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la

prevenzione di delitti contro il patrimonio, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine

o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l'attuale destinazione, è punito...»: art. 707

c.p.).

2. I presupposti della condotta

In molte figure di reato la rile

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Pollon25 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Marinucci Giorgio.