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LA LEGITTIMA DIFESA
A norma dell'art. 52 c.p., non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla
necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta,
sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.
La legittima difesa è da sempre riconosciuta in tutti gli ordinamenti, non potendo il diritto ad un
tempo tutelare un bene ed imporre al soggetto di sopportarne il pregiudizio. La legittima difesa
ruota sui due poli della:
- aggressione ingiusta:
-- l'aggressione deve provenire da una condotta umana;
-- quanto alle modalità dell'aggressione, non si richiede una violenza. La legittima difesa è,
pertanto, ammessa anche contro il comportamento passivo di un soggetto che, per esempio, si
pari davanti alla porta di un'abitazione per impedire al proprietario di entrarvi;
-- oggetto dell'aggressione deve essere un diritto. Il codice attuale, utilizzando il termine diritto,
ha esteso la facoltà di tutela a tutti i diritti e, secondo taluni, a tutte le situazioni soggettive attive a
prescindere dalla loro qualificazione formale;
-- soggetto passivo dell'aggressione può essere, oltre che il soggetto che si difende, anche un
terzo. La scriminante è infatti ammessa anche a tutela di un diritto altrui;
-- l'aggressione deve aver provocato un pericolo attuale di lesione del diritto, cioè, il rischio, la
elevata probabilità, del verificarsi della lesione. Pericolo attuale di un'offesa significa rischio
incombente al momento del fatto, per cui la reazione non può essere né anticipata (pericolo
futuro), né posticipata (pericolo passato);
-- la legittima difesa opera soltanto se il pericolo, oltre che attuale, sia anche involontario, e ciò
perché, se il pericolo è volontariamente cagionato dal soggetto, verrebbe meno il requisito della
necessità della difesa o quello dell'ingiustizia dell'aggressione;
-- ulteriore requisito dell'aggressione è che deve aver causato il pericolo di un'offesa ingiusta.
Per offesa ingiusta deve ritenersi un'offesa ingiustificata, arrecata, cioè, al di fuori di qualsiasi
norma che la imponga (adempimento del dovere legittimo) o la autorizzi (esercizio del diritto).
In tal senso, è da considerarsi ingiusta anche l'offesa minacciata da chi versi in stato di necessità,
in quanto semplicemente tollerata dall'ordinamento e non imposta o autorizzata;
- reazione legittima:
-- innanzitutto, occorre che la reazione sia necessaria per salvaguardare il bene in pericolo, nel
senso che il soggetto non possa evitare l'offesa al suo diritto se non arrecando a sua volta offesa
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all'aggressore. Il soggetto deve, cioè, trovarsi nell'impossibilità di scegliere tra più condotte
alternative, di agire altrimenti; necessità della reazione equivale, infatti, ad inevitabilità della stessa;
-- per essere legittima, la reazione deve cadere sull'aggressore;
-- infine, occorre che la difesa sia proporzionata all'offesa. Per parlarsi di proporzione, occorre
operare un raffronto in concreto tra beni in conflitto, tenendo conto del grado di aggressione e delle
altre circostanze del caso concreto. Si tratta di un giudizio relativo, poiché non va dimenticato che il
rapporto è pur sempre tra un bene dell'aggressore e un bene dell'aggredito e perché una reazione
più forte può rassicurare maggiormente sulla efficacia della difesa. Inoltre, chi si difende non ha
sempre modo e tempo di calcolare l'esatta portata dei propri gesti.
Quanto alla legittima difesa putativa, l'eventuale erroneo convincimento del soggetto di versare in
stato di pericolo deve essere sempre sorretto da circostanze di fatto che possano giustificare la
ragionevole persuasione di una situazione di pericolo, occorrendo che tale persuasione si basi su
dati obiettivi e non meramente soggettivi.
La legge 59/2006 ha introdotto un nuovo secondo comma all'art. 52 c.p., che così recita "nei casi
previsti dall'art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo
comma del presente articolo, se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa
un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui
incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione".
Con il simultaneo inserimento di un terzo comma, si è, altresì, precisato che la previsione
neointrodotta trova applicazione anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro
luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
Alla luce di tale disposto, dunque, la sussistenza del rapporto di proporzione fra la reazione
dell'aggredito e l'offesa minacciata dal reo viene eccezionalmente presunta ex lege, nel caso in cui
il fatto avvenga nel domicilio dell'aggredito o nel suo luogo di lavoro.
L'USO LEGITTIMO DELLE ARMI
L'art. 53, al primo comma, stabilisce che ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti
non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso,
ovvero ordina di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla
necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'Autorità.
La dottrina dominante deduce che la scriminante in parola ha carattere sussidiario nel senso che
essa è applicabile ove il fatto non risulti già giustificato in base ai presupposti della legittima difesa
o dell'adempimento del dovere.
L'uso legittimo delle armi è riconosciuto solo a favore dei pubblici ufficiali. Restano fuori dall'ambito
previsionale della norma non solo gli incaricati di pubblico servizio, ma anche gli esercenti servizio
di pubblica necessità. Inoltre, secondo una interpretazione restrittiva, legittimati non sarebbero tutti
i pubblici ufficiali, ma solo gli appartenenti alla forza pubblica che hanno in dotazione armi o altri
mezzi di coazione fisica. 41
L'uso delle armi deve essere strumentale per vincere ostacoli che si frappongono all'adempimento
del dovere; tuttavia, non è legittimo l'uso delle armi per vincere qualunque ostacolo, ma solo quelli
che si concretano in una violenza o resistenza e sempre che non siano vincibili con altri mezzi
diversi e meno lesivi.
- La violenza deve consistere in un comportamento attivo diretto ad ostacolare l'adempimento
del dovere d'ufficio;
- l'uso delle armi è legittimo solo se gli ostacoli all'adempimento del dovere non possono essere
superati altrimenti; se tali ostacoli sono superabili diversamente, la scriminante non sussiste,
perché l'uso delle armi deve rappresentare un'extrema ratio (requisito di necessità);
- per ciò che attiene il requisito della proporzionalità, occorre, ancora, effettuare un bilanciamento
di interessi, cosa da farsi caso per caso. Così, la proporzione non sussiste se l'uso delle armi lede
un interesse che per l'ordinamento ha un rilievo maggiore di quello pubblico cui l'adempimento del
dovere ostacolato tendeva; in questa prospettiva, ad es., non sarebbe legittimo il ferimento di una
persona che impedisca al pubblico ufficiale di adempiere un dovere teso alla realizzazione di un
interesse pubblico tutelato da una contravvenzione.
In definitiva, perché possa applicarsi la scriminante dell'uso legittimo delle armi, occorre la
contestuale presenza di alcune condizioni:
- in primo luogo, che non vi sia mezzo alternativo possibile;
- in secondo luogo, che tra i vari mezzi di coazione venga scelto quello meno lesivo;
- in terzo luogo, che l'uso di tale mezzo venga graduato secondo le specifiche esigenze del
caso, nel rispetto del fondamentale principio di proporzionalità.
LO STATO DI NECESSITA'
L'art. 54 c.p. stabilisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla
necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui
non volontariamente causato, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
La dottrina oggi dominante ritiene che il fondamento della scriminante risiede nel criterio oggettivo
di bilanciamento degli interessi; posto, cioè, che nella situazione un bene è comunque destinato a
soccombere, l'ordinamento giuridico non ha interesse a far prevalere l'uno o l'altro dei beni in
conflitto, se gli stessi sono equivalenti, mentre privilegia quello più rilevante, se sono di diverso
valore.
Lo stato di necessità, al pari della legittima difesa, ruota intorno a due poli: la situazione di pericolo
e l'azione lesiva.
Lo stato di necessità, tuttavia, differisce dalla legittima difesa, perché non si è in presenza di
un'aggressione, ma di una situazione di pericolo in grado di provocare un danno grave alla
persona. Agisce, ad esempio, in stato di necessità, l'alpinista che per salvarsi la vita taglia la fune
che lo lega al compagno, facendolo precipitare. 42
Lo stato di necessità è quindi un'ipotesi di forza maggiore, di fronte alla quale non è possibile
difendersi senza ledere diritti altrui.
Non essendovi un'aggressione, i requisiti dello stato di necessità sono più rigidi rispetto alla
legittima difesa.
In primo luogo, si può agire in stato di necessità solo per evitare un danno grave alla persona; non
vi rientrano i danni patrimoniali e nemmeno i danni fisici di lieve o media entità. In merito allo stato
di pericolo, per andare esenti da responsabilità, è necessario che questo, oltre ad essere attuale,
non sia stato volontariamente provocato dal soggetto agente. Il pericolo deve, poi, essere
inevitabile; non si potrà, a differenza di quanto accade nella legittima difesa, invocare lo stato di
necessità, quando si poteva evitare il pericolo con la fuga.
A) La situazione di pericolo:
- deve trattarsi, innanzitutto, di un pericolo attuale, nel senso che il rischio di danno grave alla
persona deve sussistere al momento del fatto;
- oggetto del pericolo deve essere un danno grave alla persona. Originariamente si riteneva che
l'azione lesiva fosse giustificato solo se diretta alla tutela della vita e dell'integrità fisica, ma la
dottrina dominante tende a dilatare l'ambito dei diritti tutelabili, ricomprendendovi anche quelli
attinenti alla personalità morale del soggetto, come la libertà personale e sessuale, l'onore, il
pudore, considerando così danno grave alla persona la compromissione degli stessi. La
giurisprudenza concorda con tale impostazio