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SUA INTENZIONE DI ESCLUDERE I TERZI DALLA CONOSCENZA
Tenendo conto che la qualifica di segretezza presuppone anche l'esistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile all'esclusione della conoscenza da parte di terzi e la mancanza di un comportamento di fatto avente univoco significato esclusivo del carattere della riservatezza.
La PRESA DI CONOSCENZA deve essere "ABUSIVA" e cioè realizzata con comportamenti riconducibili alla FRAUDOLENTA ovvero alla VIOLENTA CAPTAZIONE della conoscenza medesima.
La RIVELAZIONE deve avvenire SENZA GIUSTA CAUSA ed è punibile solo se dal fatto deriva nocumento: si tratta delle stesse formule utilizzate dall'ART. 616.
Per espressione disposizione normativa, la fattispecie in esame si applica solo al di fuori delle ipotesi di rivelazione di cui all'ART. 616.
È sorta questione in ordine all'applicabilità della norma nei casi di corrispondenza aperta: la tesi
preferibile esclude l'esistenza del delitto in considerazione dell'impossibilità di considerare segreta la corrispondenza medesima. Il DELITTO è PUNITO a titolo di DOLO GENERICO: che consiste nella coscienza e volontà di realizzare il fatto tipico, inclusa la consapevolezza del nocumento arrecato.
VIOLAZIONE, SOTTRAZIONE, SOPPRESSIONE DI CORRISPONDENZA COMMESSE DA PERSONA ADDETTA AL SERVIZIO DELLE POSTE, DEI TELEGRAFI, O DEI TELEFONI
ART. 619 C.P.
Sullo sfondo di un interesse della pubblica amministrazione al corretto adempimento dei suoi compiti istituzionali, questa fattispecie di reato protegge l'INTERESSE, oggi costituzionalmente garantito, DELLA LIBERTÀ, SICUREZZA E SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA. Sono ESTRANEI all'OGGETTO della tutela, gli INTERESSI PATRIMONIALI DEL SOGGETTO DESTINATARIO DELLA COMUNICAZIONE. La norma configura un'ipotesi di REATO PROPRIO: PUÒ ESSERE COMMESSO SOLTANTO DAL SOGGETTO "ADDETTO AL SERVIZIO POSTALE,
"TELEGRAFICO O TELEFONICO". Le CONDOTTE INCRIMINATE dal 1° COMMA sono quelle di cui all'ART. 616, e cioè la COGNIZIONE ABUSIVA DELLA CORRISPONDENZA A LUI NON DIRETTA, la SOTTRAZIONE DI CORRISPONDENZA AL FINE DI PRENDERNE O DI FARNE PRENDERE COGNIZIONE AD ALTRI e la SOPPRESSIONE TOTALE O PARZIALE DELLA CORRISPONDENZA MEDESIMA. Si tratta di AUTONOME FIGURE DI REATO e non di ipotesi aggravata dalla qualità dell'autore. Il DOLO è GENERICO e consiste nella coscienza e volontà di tenere il comportamento incriminato, con la consapevolezza di abusare della relativa qualità: è specifico nelle ipotesi di sottrazione e distrazione di corrispondenza, ove rileva il fine di prenderne o di farne prendere cognizione. IL DELITTO SI CONSUMA NEL MOMENTO IN CUI SI PRENDE COGNIZIONE, SI SOTTRAE, DISTRAE, SOPPRIME O DISTRUGGE LA CORRISPONDENZA ALTRUI. Anche il TENTATIVO è AMMISSIBILE. RIVELAZIONE DEL CONTENUTO DI CORRISPONDENZA, COMMESSA DA
PERSONA ADDETTA AL SERVIZIO DELLE POSTE, DEI TELEGRAFI O DEI TELEFONI
ART. 620 C.P.
Questa fattispecie di reato TUTELA la LIBERTÀ e la SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA, assieme all’INTERESSE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE AL MANTENIMENTO DEL DOVERE DI SEGRETEZZA. Trattasi di REATO PROPRIO: PUÒ ESSERE COMMESSO DAI SOGGETTI CHE RIVESTONO LA QUALIFICA DI ADDETTI AL RELATIVO SERVIZIO. Il FATTO DI REATO consiste nel “RIVELARE” IL CONTENUTO DI UNA CORRISPONDENZA OVVERO DI UNA COMUNICAZIONE TELEFONICA O TELEGRAFICA. La CORRISPONDENZA deve essere APERTA e non acquisita con la commissione di un reato. L’ELEMENTO SOGGETTIVO È INTEGRATO DAL DOLO GENERICO.
RIVELAZIONE DEL CONTENUTO DI DOCUMENTI SEGRETI
ART. 621 C.P.
Si tratta di una figura di reato, perseguibile a querela di parte, che svolge una funzione di TUTELA RESIDUALE nel quadro dei DELITTI CONTRO IL SEGRETO: mira a PROTEGGERE il BENE GIURIDICO della SEGRETEZZA DOCUMENTALE e cioè dell’INTERESSE
DEL SINGOLO A MANTENERE COPERTI DA SEGRETO ATTI O DOCUMENTI DIVERSI DALLA CORRISPONDENZA CHE NON DEVONO ESSERE PORTATI A CONOSCENZA DEI TERZI. SOGGETTO ATTIVO È CHIUNQUE.
La norma incrimina 2 DIFFERENTI CONDOTTE:
- quella di "RIVELAZIONE" da ravvisarsi nel portare a conoscenza di terzi il contenuto dei relativi atti;
- e quella di "IMPIEGO A PROFITTO PROPRIO O ALTRUI" consistente nell'utilizzarli in modo da trarne un vantaggio che può essere sia di natura patrimoniale che non patrimoniale.
Queste 2 condotte presuppongono la "COGNIZIONE ABUSIVA" del DOCUMENTO che deve rimanere segreto la quale RICORRE TUTTE LE VOLTE CHE IL SOGGETTO ATTIVO HA ACQUISITO IL CONTENUTO DELL'ATTO IN MANIERA ILLEGITTIMA, vuoi perché ha commesso un reato, vuoi perché manca l'autorizzazione dell'avente diritto. L'AZIONE CRIMINOSA deve cadere su "ATTI O DOCUMENTI, PUBBLICI O PRIVATI NON COSTITUENTI CORRISPONDENZA".
La nozione di documento viene normativamente precisata dal comma 2 dell'art. 621, per il quale è considerato documento anche qualunque supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi.
Per quel che riguarda gli atti e i documenti pubblici si è sottolineato che la tutela accordata dalla figura di reato non concerne gli atti oggettivamente pubblici, quelli cioè che sono tali per la loro forma ed il cui contenuto non richiede la tutela del segreto, ma esclusivamente quelli soggettivamente pubblici destinati a rimanere segreti sia in modo assoluto, sia fino a che non si verifichi una data condizione.
La violazione del segreto documentale è punibile solo "se dal fatto deriva un documento": è un pregiudizio di qualsivoglia natura, sia materiale che morale, al soggetto titolare del segreto. L'inciso svolge, al di là della sua formulazione letterale, la funzione di evento del reato e non già di condizione obiettiva.
di punibilità. Il delitto è punito a titolo di dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di rivelare o di impiegare a profitto proprio o altrui il contenuto di un atto o di un documento segreto, accompagnate dalla consapevolezza della presa di cognizione abusiva del segreto medesimo. Il momento consumativo coincide con la verifica del documento, che è l'evento del reato. Il tentativo è ammissibile.
Rivelazione di segreto professionale (art. 622 C.P.)
La fattispecie intende dare tutela a quell'esigenza di mantenere il segreto su dati, notizie e informazioni di cui si viene a conoscenza nell'esercizio di tutte quelle attività cui il cittadino è costretto a far ricorso nei differenti ambiti della vita sociale. La norma incrimina la violazione del segreto professionale, e cioè di quello specifico interesse a mantenere la segretezza in ordine ai rapporti professionali di natura particolarmente delicata:
costituisce un tipico modello di meccanismo sanzionatorio di un OBBLIGO DI FEDELTÀ derivante dal dover mantenere segreti significativi rapporti di vita in sfere esistenziali connotate dalla necessità di fare ricorso a figure professionali. La fattispecie TUTELA non già la libertà e la sicurezza dei rapporti professionali bensì gli INTERESSI SOTTOSTANTI che possono essere pregiudicati dai comportamenti incriminati. Il legislatore non ha voluto pregiudicare con definizioni rigide l’ampiezza della tutela nella consapevolezza che la dinamica della vita sociale avrebbe proposto nuove professioni, anch’esse meritevoli di essere prese in considerazione dal sistema penale. Le nozioni di “STATO”, “UFFICIO”, “PROFESSIONE” e “ARTE” sono indicativi di situazioni che comprendono un numero indefinito di ATTIVITÀ ESERCITATE con i CARATTERI DELLA PROFESSIONALITÀ e che vanno ben al di là del
concetto di professione liberale da cui sembra scaturire originariamente l'esigenza di protezione del segreto. Sebbene la norma utilizzi il sostantivo "CHIUNQUE", siamo in presenza di un REATO PROPRIO: SOLO IL SOGGETTO AFFIDATARIO DEL SEGRETO PUÒ ESSERE IL SOGGETTO ATTIVO. La CONDOTTA INCRIMINATA consiste alternativamente nel "RIVELARE" ovvero "NELL'IMPIEGARE A PROFITTO PROPRIO O ALTRUI" il segreto de quo, di cui si è "avuto notizia" nelle situazioni espressamente indicate: "per ragione del proprio stato o ufficio, o della professione o arte". I sintagmi normativi "RIVELAZIONE" ed "IMPIEGO" acquistano nel DELITTO DE QUO il MEDESIMO SIGNIFICATO rispettivamente evidenziato negli ARTT. 616 e 621. Più complesse sono le situazioni rilevanti ai fini della fattispecie. La prima è costituita dallo STATO: comunemente inteso come condizione sociale che siconcretizzanell'esercizio continuativo di servizi personali o di prestazioni reali a favore dei necessitati o dei richiedenti siacome condizione giuridica che deriva al soggetto da particolari rapporti. La seconda consiste nell'UFFICIO: e cioè nell'esercizio di attività pubbliche o private, a titolo oneroso ogratuito, che implica la titolarità di diritti e di doveri e si concretizza nello svolgimento di funzioni non manualiné professionali o pubbliche in senso stretto. L'ultima comprende la PROFESSIONE e l'ARTE: entrambe fanno riferimento ad ogni forma di attività dicarattere intellettuale o manuale, essenzialmente esercitata a fine di lucro a favore di chi ne faccia richiesta one abbia bisogno. Mediante un processo di astrazione delle caratteristiche comuni, la dottrina ha costruito unconcetto di professione in senso ampio cui far ricorso per risolvere, caso per caso, la questione dell'esistenzadel segreto.de quo. A tal fine occorre che:
- L'ATTIVITÀ SIA SVOLTA CON IL CARATTERE DELLA CONTINUITÀ
- NON SIA NECESSARIAMENTE SVOLTA A FINE DI LUCRO
- NON SIA ESERCITATA ABUSIVAMENTE O DI FATTO
- VI SIA UN NESSO DI CAUSALITÀ NECESSARIA TRA L'ATTIVITÀ E LA CONOSCENZA DELLA NOTIZIA
Si è molto discusso in dottrina sull'esistenza di alcuni tipi di SEGRETO, fra i quali spiccano quello BANCARIO e quello GIORNALISTICO. Oggi è opinione largamente condivisa che entrambi i due segreti siano protetti dalla fattispecie in esame.
Quanto al SEGRETO BANCARIO si sottolinea che l'esercizio di questa attività implica un'ESIGENZA ASSOLUTA DI RISERVATEZZA, posto che si comunicano di solito al banchiere notizie non conosciute, in un contesto di acquisita professionalità. E si aggiunge correttamente che il segreto bancario non è riconducibile all'ambito d'operatività del segreto d'ufficio di cui all'ART.
326. E, per ciò che riguarda il SEGRETO GIORNALISTICO, si sottolinea come il C.P.P. del 1989 abbia RICONOSCIUTO ESPRESSAMENTE AI GIORNALISTI la FACOLTÀ DI ASTENERSI DAL TESTIMONIARE SULLA FON