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APPROPRIAZIONI INDEBITE MINORIL
rt. 647 prevede tre distinte ipotesi caratterizzate dal particolare modocol quale il soggetto agente è pervenuto al possesso della cosa mobilealtrui.
APPROPRIAZIONE INDEBITA DI COSE SMARRITE. Consiste nel fatto dichiunque avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria,senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto dellaproprietà di cose trovate. Per potersi parlare di cosa smarrita occorronodue requisiti, l'uno oggettivo e l'altro soggettivo. Oggettivamente ènecessario che la cosa si uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore,in modo che, ad es., non si potrà qualificare smarrita la cosa che restisempre nella mia casa, pur se io non riesco a trovarla. Dal punto di vistasoggettivo, occorre che colui che la deteneva non sia in condizioni diricostituire sulla cosa il primitivo potere di atto, perché ignora il luogo incui essa si trova, né è in
Grado di ricordarlo. Il dolo è escluso dall'ignoranza delle prescrizioni delle leggi civili, ignoranza che si traduce in un errore sul fatto che concreta il delitto. Il reato è aggravato se il colpevole conosceva il proprietario della cosa di cui si è appropriato.
APPROPRIAZIONE INDEBITA DI TESORO. La seconda ipotesi contemplata dall'art. 647 consiste nel fatto di colui che avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo. Tesoro, ai sensi delle leggi civili, è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario. Il dolo è escluso dall'ignoranza della legge civile.
APPROPRIAZIONE INDEBITA DI COSE AVUTE PER ERRORE O PER CASO FORTUITO. La terza figura criminosa contemplata nella disposizione in esame si ha allorché taluno si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.
Presupposto della condotta è che l'agente abbia conseguito il possesso esclusivamente per effetto di errore altrui o per effetto di caso fortuito. L'errore può riguardare tanto la cosa quanto la persona.
TRUFFA
La truffa è il tipico delitto fraudolento contro il patrimonio: è la frode per eccellenza. Essa è definita dal codice nel seguente modo: "Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni". Nucleo essenziale del delitto in esame è l'inganno. Il consenso della vittima, carpito fraudolentemente, caratterizza il delitto e lo distingue sia dal furto che dall'appropriazione indebita. Il delitto di truffa presenta grande affinità con quello di estorsione, il quale, come vedremo, si ha allorché mediante violenza o minaccia,
Taluno viene costretto a fare o adomettere qualcosa, procurando in tal modo a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La differenza consiste solo in questo: nel primo la vittima è indotta fraudolentemente all'atto di disposizione patrimoniale, mentre nel secondo vi è coartata; nell'uno la volontà è viziata da errore, nell'altro è viziata da violenza o minaccia. Lo scopo dell'incriminazione della truffa non è soltanto la protezione del patrimonio, ma anche la tutela della libertà del consenso nei negozi patrimoniali. La truffa è una delle figure criminose più complesse e delicate. Dalla definizione legislativa sopra riportata si desume che la fattispecie oggettiva della truffa consta dei seguenti elementi:
- Un particolare comportamento del reo, che il codice designa con l'espressione artifizi o raggiri;
- La causazione di errore, il quale, come vedremo, deve a sua volta dare origine a una
disposizione patrimoniale;
Un danno patrimoniale derivato dall'inganno con conseguente ingiusto profitto per l'agente o per altra persona.
Da parecchi decenni la distinzione tra frode civile e frode penale ha perso credito. Si è osservato che la concezione dei costumi sociali che sta alla sua base confonde la libertà dei traffici con la libertà di abusare dell'altrui buona fede e, in sostanza, con la facoltà di valersi dell'inganno nella trattazione degli affari. Di rincalzo si è detto che nessun cittadino può essere lasciato alla mercé dei frodatori e che anche la persona di limitata intelligenza deve essere protetta dalla legge. Anche la formula legislativa della truffa ne ha risentito, perché mentre il codice Zanardelli si esigevano "artifizi e raggiri atti ad ingannare o sorprendere l'altrui buona fede" il codice attuale, come risulta dalla disposizione soprariportata, parla soltanto di
Artifizi o raggiri. Artifizio è ogni studiata trasfigurazione del vero, ogni camuffamento della realtà effettuato sia simulando ciò che non esiste, sia dissimulando, vale a dire, nascondendo ciò che esiste. Raggiro è un avvolgimento ingegnoso di parole destinate a convincere: più precisamente una menzogna corredata da ragionamenti idonei a farla sembrare verità. È controverso se l'artificio o raggiro, nella truffa contrattuale, debba cadere nel momento della formazione del contratto ed abbia o meno rilevanza anche quando incida soltanto sulla sua esecuzione. Dopo non poche oscillazioni la giurisprudenza più recente propende per la soluzione positiva.
Il comportamento dell'agente deve determinare un errore: deve essere causa di un inganno. Basta che in concreto il mezzo usato abbia cagionato l'inganno. È, perciò, irrilevante che l'ignoranza o la leggerezza dell'ingannato abbiano agevolato l'errore.
La frode può essere commessa anche approfittando dell'errore in cui una persona già si trovi, come nel caso dell'individuo che riesca a farsi donare una somma da una persona che erroneamente crede di aver conseguito una grossa vincita al totocalcio. Il soggetto passivo dell'errore deve essere una persona determinata, il che esclude che gli artifizi o raggiri possano rivolgersi "in incertam personam", come avviene nell'esposizione fraudolenta di distributori automatici, nei giochi truffaldini ecc. Ma dalla formula legislativa si deduce principalmente che l'inganno può essere esercitato anche su persona diversa da quella che subisce il danno. Su ciò nessun dubbio è possibile. Qui si presenta la questione dell'ammissibilità della truffa processuale. Con questa espressione si fa riferimento all'ipotesi in cui una delle parti in giudizio civile, inducendo in inganno il giudice con artifizi o raggiri, ottenga.o tenti di ottenere una decisione a lei favorevole e quindi un ingiusto profitto a danno della controparte. A nostro parere la questione è risolta in senso positivo, perché, come abbiamo visto, il nostro codice non esige che sia ingannato proprio il soggetto passivo del reato, potendo l'inganno cadere su un'altra persona che sia autorizzata a compiere l'atto di disposizione patrimoniale richiesto per l'esistenza del reato. Poiché il giudice possiede certamente questo potere, non si scorge la ragione per cui debba negarsi la sussistenza della truffa. La disposizione di cui all'art. 374 del codice (frode processuale) non esclude l'applicabilità della norma generale sulla truffa. La disposizione patrimoniale deve avere per conseguenza un danno e, correlativamente, un ingiusto profitto per l'agente o per altra persona. Il danno di cui parla l'art. 640 è senza dubbio quello patrimoniale, e cioè il danno che consiste in
Una deminutio patrimonii. Al nocumento deve corrispondere un profitto per l'ingannatore o per altri, profitto che nel nostro diritto può anche non essere economico. Il profitto, però, deve essere ingiusto, e, quindi, non sussiste il reato se il vantaggio ottenuto dall'ingannatore non presentava quel carattere. Va posto nel maggior rilievo che il nostro codice considera il conseguimento del profitto come essenziale alla truffa, il che non è andato esente da critiche tutt'altro che infondate. Ne deriva che la realizzazione del profitto segna il momento consumativo del reato. In questo reato esiste largo spazio per il tentativo.
Per quanto concerne l'elemento soggettivo, e cioè il dolo, valgono le regole generali. L'agente deve volere non soltanto la sua azione, ma anche l'inganno della vittima, come conseguenza dell'azione stessa, la disposizione patrimoniale, come conseguenza dell'inganno e, infine, la realizzazione di quel
Il profitto che costituisce l'ultima fase del processo esecutivo del delitto. Data la molteplicità degli elementi necessari per l'esistenza del dolo in questo complesso reato, sussiste un ampio margine per l'errore di fatto. Sempre in applicazione dei principi generali, il dolo deve essere precedente o concomitante all'azione criminosa. Un dolo successivo, in conseguenza, non può dar luogo a responsabilità per truffa.
Una questione particolare è quella che concerne la c.d. truffa in atti illeciti, vale a dire la questione se il delitto in parola sia configurabile allorché l'ingannato si proponeva un fine illecito ed è stato raggirato proprio mentre cercava di conseguire il fine stesso. Contro la punibilità si è detto che chi opera per conseguire uno scopo illecito deve imputare esclusivamente a sé stesso se rimane vittima di un inganno e subisce una perdita patrimoniale. Lo Stato non può prestare la
sua tutela a chi agisce contro il diritto, perché ciò significherebbe prostituire la sanzione penale. Qualche autore ha aggiunto che, se si punisce l'ingannatore, si verrebbe a riconoscere che egli era tenuto alla prestazione vietata. Quest'ordine di idee da parecchio tempo è stato abbandonato dalla dottrina. Noi condividiamo l'opinione oggi dominante per la considerazione che l'incriminazione della truffa è dettata da ragioni di interesse sociale, le quali non cessano di sussistere allorché l'ingannato agisce per un fine illecito. Per disposto del capoverso dell'art. 640 il delitto di truffa è aggravato, e si procede d'ufficio, nei seguenti casi: - Se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico; - Se è commesso col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; - Se è commesso ingenerando nella persona offesa il timor