Diritto penale - Padovani - Appunti
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La coscienza e la volontà non rilevano in caso di caso fortuito e di forza maggiore.
Rilevano invece quando la condotta umana è omissiva, nel senso che essa è assistita da
un “dover essere” giuridico. Es. il difetto di attenzione nel caso di guida con travolgimento
di un passante. In questo caso, anche se la persona non è stata effettivamente
cosciente, la coscienza rileva da un punto di vista giuridico come colpa. In questo caso
essere equivale a dover essere.
COSTRINGIMENTO FISICO, art. 46 c.p. – non è punibile chi ha commesso il fatto per
esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o
comunque sottrarsi. Esempio del soggetto che, investito e buttato a terra produce un
danno ad un’altra persona. La norma conferma l’art. 42/1° comma. Il 2° comma
attribuisce la responsabilità e quindi la punibilità
a chi ha originariamente prodotto la violenza.
Coscienza e volontà possono perciò non essere sempre effettivi. Ma solo quando non
sussiste un dover agire si può parlare di non coscienza e non volontarietà. Coscienza e
volontà non vanno confuse con il DOLO.
Il concetto di “forza maggiore” traduce in pratica l’art. 42/1° comma “se non l’ha
commesso con coscienza e volontà”.
Es. del casellante che, in quanto legato da malviventi, non può eseguire la chiusura del
casello.
Senza la coscienza e la volontà non c’è il fatto giuridicamente e penalmente rilevante.
OMISSIONE non è semplicemente un non facere o un fare qualcosa di diverso. È un
non fare qualcosa di cui si ha l’obbligo giuridico di FARE. Nel valutare la coscienza non
bisogna limitarsi alla dimensione fisica, ma si deve tener conto della consapevolezza
dell’obbligo di fare.
ES. ART. 593 – OMISSIONE DI SOCCORSO – La coscienza e la volontarietà derivano
dal fatto che l’azione è definita normativamente e l’azione impone di agire.
FATTO ELEMENTO COSTANTE CONDOTTA
ELEMENTI VARIABILI EVENTO, PRESUPPOSTI
REQUISITO FONDAMENTALE E VOLONTA’
COSCIENZA
NESSO CAUSALE (per i reati
di evento)
CONDOTTA la pena deve sempre essere riferita ad un fatto effettivamente prodottosi
(principio di materialità). Ma la condotta umana è “sua propria dell’uomo” “suitas”.
La coscienza e la volontà sono requisiti indispensabili della condotta.
Diversamente la condotta non è penalmente rilevante.
Ma la condotta non è sempre effettiva, cioè talvolta la coscienza non è presente. Es. atti
di pura distrazione. Ciò nondimeno essi sono ritenuti rilevanti nel penale e sono ritenuti
“sui propri”.
Il penale non descrive fatti come un pittore o un narratore. Il linguaggio giuridico non ha
una funzione descrittiva ma ASCRITTIVA. Cioè serve per ascrivere, accollare
responsabilità, ad un determinato soggetto. La condotta e la sua descrizione è il requisito
giuridico sulla cui base è ascritta responsabilità al soggetto.
RAPPORTO O NESSO DI CAUSALITA’
Art. 40/1° - Rapporto di causalità – nessuno può essere punito per un fatto
previsto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende
l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Art.41/1° - concorso di cause – il concorso di cause preesistenti, simultanee e
sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non
esclude il rapporto di causalità fra l’azione o l’omissione e l’evento. (regola
dell’equivalenza di tutte le cause che concorrono a determinare l’evento)
Art.41/2° - le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono
state da sole sufficienti a determinare l’evento. (carattere straordinario ed
eccezionale)
Art. 41/3° - le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa
preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.
Indica il rapporto causa-effetto esistente tra la condotta tipica e l’evento. Molti reati
sono di evento. il rapporto di causalità viene valutato solo nei reati di evento, sia a forma
libera (es. omicidio) si a forma vincolata (es. abuso d’ufficio art.323).
Il reato di evento in forma libera non descrive le modalità della condotta
Il reato di evento in forma vincolata descrive in modo specifico la condotta
che ha determinato l’evento
L’evento (inteso in senso naturalistico) dannoso o pericoloso deve essere
causato dalla condotta. Qui non si pone l’attenzione sul danno o sul pericolo (che
devono comunque essersi realizzati, diversamente il reato non sussiste) ma sulla
condotta del soggetto intesa come azione od omissione.
Es. nella truffa non si punisce il danno patrimoniale (che non rileva nella definizione del
reato) ma gli artifizi e i raggiri (le modalità di condotta) che producono un profitto ingiusto
(l’evento).
Sia per i reati di evento a forma libera che per quelli a forma vincolata il giudice deve
verificare se la condotta ha causato l’evento. Deve verificare se esiste un legame
causale. Se A X.
Quando possiamo dire che siamo di fronte ad un nesso di causalità?
Ci sono diverse teorie, sorte in conseguenza del fatto che il precedente codice Zanardelli
non prevedeva una disciplina sulla causalità.
La teoria della CONDICIO SINE QUA NON o dell’equivalenza delle condizioni,
identifica la causa o le cause dell’evento in tutte le condizioni antecedenti
l’evento, senza le quali l’evento non si sarebbe verificato.
La condotta è condizione dell’evento quando ne è la sua condicio sine qua non. Cioè
quando l’evento non si sarebbe verificato senza quella o quelle condizioni che sono fra
loro equivalenti. Un evento può essere infatti determinato da più fattori causali. È difficile
che un evento si verifichi in conseguenza di un solo fattore causale. Per questo soccorre
l’art. 41 – concorso di cause.
Per compiere tale accertamento si elimina mentalmente la condotta dalla realtà mediante
un processo di eliminazione mentale. (logica ex post).
Giudizio contrafattuale ipotesi.
Ci si chiede: Se elimino la condotta, l’evento si sarebbe ugualmente verificato?
Se la risposta è si, non sono in presenza di un rapporto di causalità.
In realtà, la teoria della condicio sine qua non, o dell’equivalenza delle condizioni, ha
l’attitudine a dilatare l’ambito della causalità, nel senso che il numero delle condizioni
senza le quali l’evento non si sarebbe verificato è praticamente infinito. Inoltre, per
realizzare il procedimento di eliminazione mentale bisogna avere già definito i termini della
causalità, sapere già come i possibili fattori eziologici hanno agito, diversamente la teoria
condizionalistica resta muta.
Dalla teoria della condicio sine qua non si è sviluppata la teoria della CAUSALITA’
ADEGUATA, per porre alla prima dei correttivi. La teoria della causalità adeguata dice
che bisogna considerare causali non tutte le condizioni ma solo quelle che, in base alla
comune esperienza, secondo l’id quod plerumque accidit (giudizio probabilistico), sono
idonee a produrre quel certo risultato. Ma la “comune esperienza” è un termine spesso
indefinibile.
L’ANTOLISEI ha proposto nel 1930 la teoria della CAUSALITA’ UMANA, secondo la
quale la condotta è causa dell’evento quando ne è sì la condicio sine qua non, ma quando
soprattutto l’evento poteva essere impedito dal soggetto perché rientrava nei suoi poteri
cognitivi e volitivi. Ma in tal modo si rischia di spostare l’attenzione da una osservazione
oggettiva del rapporto causa-effetto ad una osservazione soggettiva che riguarda invece
la colpevolezza (il giudizio di colpevolezza) del soggetto.
L’ultima teoria è quella del modello della SUSSUNZIONE SOTTO LEGGI. Vale a dire che,
per determinare se l’evento è conseguenza della condotta, bisogna far riferimento a
leggi scientifiche di copertura (definite anche generalizzazioni causali) in grado di
fornire una spiegazione causale dell’evento.
Le leggi scientifiche possono essere di tipo universale (in grado di dare assoluta
certezza) o di tipo statistico (in grado di fornire un’alta probabilità statistica, nel senso che
la legge deve spiegare il maggior numero di casi e deve quindi approssimarsi alla
certezza).
In pratica, il modello di sussunzione sotto leggi scientifiche dice che il rapporto causa-
effetto sussiste quando se ne può constatare la relazione attraverso la migliore
scienza ed esperienza ritenute valide in quel momento storico.
Di conseguenza, utilizzando il modello condizionalistico (condicio sine qua non),
affiancato al modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, si potrà ritenere
la condotta umana causa dell’evento quando, sulla base di leggi scientifiche di
tipo universale o di tipo statistico, tale condotta è la condicio sine qua non
dell’evento.
Nello stabilire il nesso di causalità è necessario descrivere minuziosamente l’evento con
tutte le modalità intervenute. Non ci si può limitare a definirlo in termini astratti ma in
termini concreti.
Tipizzazione attraverso una legge scientifica (di tipo universale o statistica). In sua
assenza, cioè se non si riesce a trovare una legge che riesca a stabilire con certezza o
con un’alta probabilità statistica il rapporto fra la condotta e l’evento, il giudice penale non
può procedere all’incriminazione, e deve assolvere perché il fatto non sussiste. Non può
impiegare il criterio di analogia per risolvere il caso.
LIMITI DI RILEVANZA DELL’IMPUTAZIONE CAUSALE.
La cause sopravvenute
La teoria della condicio sine qua non, con cui si elimina mentalmente la condotta per
vedere se l’evento viene meno o no, è stata scelta dall’ordinamento giuridico per definire il
rapporto di causalità. Ma tale rapporto va valutato anche alla luce delle leggi scientifiche di
copertura.
Di conseguenza, in presenza di più cause (i reati spesso presentano più cause), che
l’ordinamento giuridico definisce CONCORSO DI CAUSE, si tratta di sapere se
l’ordinamento stesso ha stabilito dei limiti di rilevanza a tali concause.
All’art. 40 c.p., che definisce il rapporto di causalità, succede infatti l’art. 41 c.p. che, nel
1° comma stabilisce la regola dell’equivalenza di tutte le condizioni preesistenti,
simultanee e sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione o dall’omissione del
colpevole, mentre nel secondo comma stabilisce i limiti.
Regola dell’equivalenza di tutte le condizioni.
Art. 41/1° - concorso di cause - il concorso di cause PREESISTENTI O
SIMULTANEE O SOPRAVVENUTE, anche se indipendenti dall’azione od
omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od
omissione e l’evento.
LIMITI - Mentre nel 2° comma stabilisce che le cause sopravvenute escludono il
rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento.
Queste concause sopravvenute, sufficienti da sole a determinare l’evento, e che
escludono il rapporto causale, devono intendersi come cause straordinarie,
eccezionali, inconoscibili ed imprevedibili. Tali cioè che, sulla base di leggi
scientifiche assolute o statistiche, rendono inverosimile la produzione dell’evento.
Mentre sono escluse le concause precedenti e concomitati, anche se eccezionali,
in quanto conoscibili dall’autore della condotta. Ad es. il feritore di un uomo emofiliaco, in
caso di morte di questo potrebbe essere chiamato a rispondere per omicidio volontario, in
quanto il suo stato era conoscibile dal feritore. Sarà quindi chiamato a rispondere di
omicidio volontario (con dolo eventuale) se sapeva, di omicidio preterintenzionale se non
sapeva, sussiste comunque una responsabilità oggettiva in merito all’omicidio.
Tale imputazione oggettiva dell’evento in presenza di cause antecedenti o concomitanti
viene giustificata dal fatto che la condotta ha causato comunque un aumento del
rischio.
L’imputazione oggettiva dovrebbe essere però esclusa:
quando manchi obiettivamente un rischio (es. Tizio induce Caio a salire su un aereo nella
speranza che questo cada e che Caio muoia, come effettivamente accade. Se Tizio era
certo che l’aereo sarebbe caduto perché egli stesso aveva manomesso un pezzo, la sua
responsabilità è diretta, diversamente la sua speranza è ininfluente penalmente e tutt’al
più potrà essere considerato uno iettatore)
quando manchi un rapporto di rischio tra il pericolo determinato dall’agente e le modalità
dell’evento concreto (es. Tizio, ferito da Caio, muore nell’ospedale dove è ricoverato a
causa di un incendio. Caio non potrà essere accusato di omicidio ma solo di lesioni)
quando vi sia equivalenza del rischio fra due alternative lecite (es. quando il medico
provoca la morte del paziente attraverso un farmaco equivalente ad un altro, che non è
stato usato perché il medico sapeva che il paziente vi era allergico)
quando si determini una diminuzione del rischio (es. di una persona che per evitare ad
un’altra una coltellata da parte di un terzo la getta a terra provocandole delle lesioni).
In definitiva, c’è anche da considerare che esiste un “rischio generico dell’esistenza”.
Ad es. il ragazzo che prende in motorino un amico ma non gli dà il casco. Cade dall’alto
un pezzo di ghiaccio che colpisce il ragazzo senza il casco, il quale si procura così gravi
ferite.
La condotta che tipo di rischio ha creato?
– art. 41/1° - concorso di cause – il concorso di cause preesistenti, simultanee o
sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude
il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento.
art. 41/2° - le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state
da sole sufficienti a determinare l’evento.
Ma la regola cautelare che impone di indossare il casco in motorino è stata scritta per
uno scopo diverso da quello di proteggersi dalla caduta di pezzi di ghiaccio dall’alto.
LA CAUSALITA’ NEI REATI OMISSIVI IMPROPRI.
Come cercare dunque il rapporto di causalità fra una omissione e l’evento? Infatti
l’omissione, non costituendo una situazione oggettivamente rilevabile, non può essere di
per sé stessa sussunta sotto leggi scientifiche (né assolute, né statistiche).
Abbiamo già visto che l’art. 40/2° comma stabilisce che “non impedire un evento che si
ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.
In tal modo tutti i reati di evento a condotta libera (che prevedono un’azione e sono
causalmente orientati perché il verbo usato indica la causa: es. cagiona, produce,
provoca, ecc) sono duplicati nei corrispondenti reati di omissione impropri.
Rispetto alla condotta omissiva, per trovare il rapporto causale è necessario procedere
attraverso una riformulazione ipotetica della vicenda causale o evento, partendo dal
presupposto ipotetico che colui che aveva l’obbligo giuridico di attivarsi si sia
effettivamente attivato. In tal modo ci si domanda: l’attivarsi di colui che aveva l’obbligo
giuridico avrebbe impedito il verificarsi dell’evento, in base alla miglior scienza ed
esperienza (sulla base cioè di leggi scientifiche)?
Supponendo infatti che Tizio si sia attivato, si dispone concettualmente di una condotta
attiva che può essere valutata sulla base sia di leggi scientifiche che della condicio sine
qua non.
Es. del bagnino che non salva il turista poi affogato; se si fosse attivato, avrebbe potuto
impedire l’evento? La risposta sarà positiva se il turista si trovava a pochi metri dalla
spiaggia e sussistevano quindi le condizioni per un suo salvataggio da parte del bagnino,
sarà negativa se invece si era allontanato ad una distanza ragguardevole tale che un
esperto nuotatore non avrebbe potuto raggiungerlo tempestivamente.
TIPOLOGIE DI REATI
REATI DI MERA CONDOTTA a forma vincolata
REATI DI EVENTO a forma libera
A forma vincolata
REATI DI DANNO nei quali è descritto un evento dannoso
REATI DI PERICOLO nei quali è descritto un pericolo concreto che il giudice deve
verificare in concreto caso per caso
oppure è previsto un pericolo presunto come ratio della norma,
pericolo che comunque il giudice, per il principio di colpevolezza, dovrà
comunque accertare come effettivo
REATI COMUNI che possono essere commessi da qualsiasi individuo
REATI PROPRI che possono essere commessi solo da alcune persone per via del
ruolo che ricoprono (es. pubblico ufficiale o genitori)
REATI DI AZIONE tutti i reati che prevedono una condotta attiva
REATI DI OMISSIONE che si dividono in omissivi propri (previsti espressamente dal
legislatore) ed omissivi impropri (reati di azione o
commissivi con evento a forma libera duplicati per mezzo
dell’art.40/2° comma in omissivi)
REATI A CONDOTTA PLURIMA O ABITUALI necessariamente abituali (per i quali
sono necessarie ripetute condotte per l’integrazione della
fattispecie, es. reato di maltrattamenti in famiglia)
Eventualmente abituali (per i quali anche una singola
condotta è sufficiente per l’integrazione della fattispecie, es
sfruttamento della prostituzione)
REATO PUTATIVO art. 49/1° comma, esistente solo nella mente del soggetto in
quanto il soggetto crede di commettere un fatto penalmente rilevante.
Essendo un “non reato” non è punibile per il principio di legalità.
REATO IMPOSSIBILE art. 49/2° comma, è tale per inidoneità dell’azione o per
inesistenza dell’oggetto. Essendo un “quasi reato” non è punibile
per il principio di offensività, ma residua la possibilità per il giudice di
applicare una misura di sicurezza (come per l’accordo a
commettere un reato che poi non si realizza o come per
l’istigazione a commettere un reato che poi non si realizza)
REATO TENTATO (DELITTO TENTATO) art. 56 è il reato costituito da atti idonei
diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, ma l’azione non si
compie o l’evento non si verifica. L’articolo duplica solo i delitti in
tentativi, non le contravvenzioni, e solo i delitti dolosi non quelli
colposi o per preterintenzione.
REATI A DOLO SPECIFICO prevedono nella descrizione della condotta anche un
elemento soggettivo, una intenzione del soggetto, elemento
soggettivo che però non rileva nella integrazione del fatto concreto
al fatto tipico
REATO CONTINUATO art. 81. E’ formato non da un solo reato ma da un insieme di
reati che hanno come elemento unificante “il medesimo disegno criminoso”.
Viene trattato dal punto di vista della pena come un concorso
formale di reati (cumulo giuridico = pena per il reato più grave
aumentata fino al triplo). Se non vi fosse questa noma tali reati
dovrebbero essere trattati come un concorso materiale di reati
(cumulo materiale = somma delle singole pene).
REATO CIRCOSTANZIATO tutti i reati sono circostanziati, cioè prevedono circostante
aggravanti o attenuanti che possono essere applicate a tutti i reati, ma per
alcuni reati il legislatore ha previsto delle circostanze specifiche.
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Elementi oggettivi del fatto tipico: PRESUPPOSTI (variabile)
CONDOTTA (costante)
EVENTO (variabile)
NESSO DI CAUSALITA’ (variabile in quanto
collegato all’evento)
NESSO PSICHICO o ELEMENTO SOGGETTIVO PSICOLOGICO DEL REATO
Le forme della imputabilità sono menzionate nell’art. 42: statuto della tipicità
soggettiva. Contiene le regole d’accollo del reato.
Comma 1° - Coscienza e volontà nella condotta.
Comma 2° - Regole d’accollo per i delitti (dolo)
Comma 3° - Responsabilità oggettiva
Comma 4° - Regole d’accollo per le contravvenzioni (dolo o colpa).
IL DOLO
La regola fondamentale per L’IMPUTABILITÀ a titolo di dolo è nel 2° comma dell’art. 42.
“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se
non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo
espressamente preveduti dalla legge”.
Art. 43 1° comma: “Il delitto (ma vale anche per le contravvenzioni) è doloso, o
secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato
dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è
dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od
omissione”.
Dobbiamo distinguere tra due tipologie di reato: DELITTI E CONTRAVVENZIONI.
Con riguardo alla responsabilità soggettiva la legge determina regole diverse:
per i delitti il criterio d’imputazione soggettiva è il DOLO, salvi i casi di delitto
preterintenzionale o colposo che devono essere espressamente previsti dalla legge. Se il
legislatore vuole unire al delitto doloso la forma preterintenzionale o colposa lo deve dire
esplicitamente, diversamente il delitto è punibile solo a titolo di dolo.
per le contravvenzioni questa necessità di specificare, posta a carico del legislatore,
non c’è. Quindi, se il legislatore tace, il reo di una contravvenzione potrà essere punito sia
a titolo di dolo che a titolo di colpa.
Come facciamo a capire se un reato è delitto o contravvenzione? Guardiamo la pena. Se
è previsto ergastolo, reclusione, multa abbiamo il delitto. Se è arresto o ammenda
abbiamo la contravvenzione.
Es. il delitto art. 575 (omicidio) è punito anche per colpa in base all’art. 589 (omicidio
colposo). Il danneggiamento 635 è punito solo per dolo e non per colpa non essendo
questa stata prevista dal legislatore.
Quando possiamo dire che un reato è stato commesso con dolo?
q u an d o il f at t o co m m esso è st at o realiz z at o co n p revisio n e
(RAPPRESENTAZIONE) e volontariamente (VOLONTÀ).
Il dolo è volontà coincidente con il fatto tipico.
Presupposto della volontà è la RAPPRESENTAZIONE di quello che si vuole
realizzare.
L’evento doloso deve essere preceduto dalla rappresentazione, che ne rappresenta il
momento intellettivo (quello che il soggetto vede nella sua testa, che può essere
antecedente, e quindi c’è premeditazione, circostanza aggravante il reato, o
contemporaneo all’evento). Mentre la volontà ne rappresenta il momento volitivo (deve
esistere nel momento in cui il soggetto realizza la condotta tipica, non prima e né dopo).
Si prospetta perciò la possibilità:
di un delitto senza progettazione e
di un delitto con progettazione.
Inoltre si prospetta la possibilità di un evento:
PREVEDUTO == momento intellettivo o rappresentativo (che può essere
premeditato o meno)
VOLUTO == momento volitivo (contemporaneo all’evento).
Il dolo non è solo previsione, ma è un momento complesso; può esserci mera
rappresentazione o consapevolezza di ciò che già c’è. Es. atti osceni in luogo pubblico,
che è un reato di mera condotta. Il dolo qui non è preveduto, il soggetto deve volere la
propria condotta, deve essere cosciente e si deve “rappresentare” in un luogo pubblico.
Visuale di elementi già esistenti o di elementi futuri. Quindi non solo preveduto. Non tutti i
reati hanno l’evento. Ci sono i reati di mera condotta. Ma anche i reati d’evento prevedono
la necessità di una rappresentazione di tutti gli elementi del fatto.
L’art. 43/1° comma dice testualmente “preveduto”. La definizione però è monca, perché
dimentica i reati di mera condotta e per i reati d’evento non dice che è necessaria la
rappresentazione di tutti gli elementi del fatto. Ma il termine di previsione corregge il
concetto più ampio di rappresentazione.
Art. 440 – adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari: Chiunque corrompe o
adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite
per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, …. Per prima cosa
(presupposto) le acque e le sostanze alimentari devono essere destinate
all’alimentazione, poi la corruzione (altro presupposto circa la qualità dell’oggetto) deve
avvenire prima che siano messe in circolazione (condotta) con determinazione del
pericolo per la salute pubblica (evento di pericolo).
Perché vi sia il dolo non è solo necessario che il soggetto metta in circolazione (condotta)
acqua o sostanze adulterate, deve anche sapere che quelle acque sono adulterate e
destinate al consumo e prevedere un possibile danno alla salute.
Il termine “preveduto” riguarda l’oggetto del dolo.
su che cosa ricade il dolo? Sul FATTO TIPICO
In che cosa consiste il dolo?
RAPPRESENTAZIONE (momento intellettivo)
VOLONTA’ (momento volitivo)
OGGETTO: su che cosa deve ricadere il dolo? Su tutti gli elementi del fatto tipico.
I presupposti, che non dipendono dalla condotta del soggetto agente, devono essere
conosciuti,
la condotta deve essere cosciente e volontaria,
l’evento (in senso naturalistico) deve essere previsto (rappresentato).
L’art.47/1° comma definisce in negativo l’oggetto del dolo: Errore di fatto - L’errore
sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente.
Se il soggetto agente prova di aver commesso il fatto ma di non essersi rappresentato
il fatto così come configurato nell’articolo del codice penale, non è considerato in dolo,
residua eventualmente solo la colpa o la possibilità di essere puniti per un reato diverso.
L’art. 47 integra l’art. 43 nella definizione dell’oggetto del dolo. Per esserci dolo
l’agente deve essersi rappresentato tutto il fatto tipico, non solo l’evento.
L’errore è l’altra faccia del dolo. Il delitto è doloso quando l’intero fatto tipico oggettivo
(presupposti, condotta, evento) è rappresentato e voluto. Non può esserci volontà senza
rappresentazione dell’intero fatto tipico, con tutti i suoi elementi.
STRUTTURA: in che cosa consiste il dolo? Dopo essersi rappresentato
(rappresentazione) l’intero fatto tipico, l’agente decide di agire (volontà). Due momenti,
quindi, uno intellettivo e uno volitivo. Ma un conto è la coscienza e la volontà della
condotta. Un conto è la coscienza e la volontà del fatto tipico (presupposti, condotta,
evento).
Anche nei reati di mera condotta il dolo è qualcosa di diverso dalla coscienza della
condotta. Il soggetto agente deve aver posto in essere l’intero fatto tipico.
Es. l’ingiuria: offesa a una persona presente. Basta che il soggetto abbia la coscienza
della condotta per esserci il dolo? Anche in questo caso il dolo è qualcosa di più
importante. Ad es. chi si fa consegnare somme di denaro da una prostituta ha coscienza
del suo personale comportamento, ma può non essere cosciente del fatto che quella è
una prostituta e che la ricezione di somme significa sfruttamento della prostituzione. Così,
chi ingiuria una persona con un epiteto senza conoscerne il significato reale, sarà in
colpa ma non in dolo.
Ove non si riesca ad accertare il dolo, il giudice dovrà prosciogliere dall’accusa.
Nelle sentenze il giudice può non procedere perchè:
Il fatto non sussiste se manca la tipicità oggettiva cioè il fatto tipico previsto dal
legislatore non si è realizzato in tutte le sue componenti (presupposti, condotta, evento,
nesso causale)
Il fatto non costituisce reato se manca la tipicità soggettiva cioè il fatto concreto
non si integra nel reato tipico in una o più componenti soggettive (coscienza e volontà,
nesso psichico, errore, scriminanti)
Nei reati con pluralità di elementi (es. atti osceni in luogo pubblico) il dolo si atteggia come
mera rappresentazione dell’intero fatto tipico. Coincidenza fra realizzato e voluto.
Nei reati omissivi propri (previsti da leggi penali) l’oggetto del dolo si identifica nei
presupposti del dovere di attivarsi (es. il rinvenimento di un corpo inanimato nel reato di
omissione di soccorso).
Nei reati omissivi impropri (applicazione dell’art. 40/1° comma ai reati di evento
causalmente orientati) per aversi dolo devono essere presenti sia i presupposti, sia
l’obbligo giuridico extrapenale (legge, regolamento, contratto), sia l’evento non impedito.
VARI TIPI DI DOLO.
Rispetto alla volontà, si distinguono:
dolo intenzionale, quando il soggetto agisce per raggiungere un determinato scopo e lo
ottiene
dolo diretto, quando il soggetto si rappresenta il fatto ma non vuole raggiungere il risultato
che invece ottiene
dolo eventuale, quando il soggetto si rappresenta l’evento come possibile e ne accetta il
rischio. Il dolo eventuale è il limite fra il dolo e la colpa cosciente.
Rispetto all’oggetto (fatto tipico), si distinguono:
dolo generico, quando il soggetto agisce con coscienza e volontà di realizzare tutti gli
elementi costitutivi del reato (es. art. 640 – truffa; omicidio)
dolo specifico, quando la norma richiede che il soggetto abbia agito in vista di un ulteriore
obiettivo che però non è necessario per l’integrazione della fattispecie tipica (es. art. 624
– il profitto nel furto).
Rispetto alla possibilità di graduare la pena rispetto all’intensità del dolo (art. 133 c.p.), si
distinguono:
dolo d’impeto, quando il soggetto non agisce con premeditazione
dolo di proposito, quando il soggetto agisce in un breve tempo fra la rappresentazione del
fatto e la sua messa in opera
dolo premeditato, circostanza aggravante, quando il soggetto pianifica il proposito nel
tempo.
LA COLPA
Altro criterio d’imputazione del fatto soggettivo: oltre al DOLO, la COLPA.
Il fatto tipico può essere effettuato per DOLO (volontà) o per COLPA (non volontà).
Quando un delitto o una contravvenzione sono colposi?
Art. 43/ 3° capoverso: è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se
preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza,
imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordine o
discipline.
Pertanto, affinché un delitto sia colposo, occorre che l’evento non sia stato voluto
dall’agente, neppure a livello di possibilità (altrimenti rientriamo nel dolo eventuale) e che
esso si sia verificato in conseguenza della sua condotta (rapporto di causalità).Non
rileva la coscienza. Si può essere infatti puniti per colpa anche in assenza di coscienza.
La colpa scatta:
NEI DELITTI, per una espressa previsione normativa. Art. 42/2° comma: nessuno
può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso
con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente previsti
dalla legge.
NELLE CONTRAVVENZIONI, sempre; non c’è necessità che la norma penale preveda
la colpa, perché essa è già prevista nell’art. 42 /4° comma: nelle contravvenzioni
ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia
essa dolosa o colposa.
Con il crescere dei settori industriali e delle attività oggettivamente pericolose (es.:
medicina, lavoro, circolazione di veicolo, ecc) cresce anche il reato colposo. La maggior
parte dei reati contestati sono colposi.
Due aspetti importanti della colpa sono:
la PREVEDIBILITA’ DEL FATTO (“quando l’evento, anche se preveduto”)
il CONTENUTO DELLA REGOLA CAUTELARE.
Nell’articolo 43/3° cpv si notano due versanti:
negativo l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente. Non ci può
essere sovrapposizione fra dolo e colpa. Ci possono essere delitti colposi di mera
condotta (es. rivelazioni di segreti di Stato), ma la maggior parte sono di evento,
positivo ci può essere colpa solo in tanto in quanto non c’è dolo. Il DOLO
EVENTUALE (quando il soggetto si rappresenta l’evento come possibile e ne accetta il
rischio) è la linea di confine. Occorre che il fatto, preveduto o meno, si sia verificato
a causa di negligenza o imprudenza o imperizia,
ovvero (due forme diverse di colpa) per inosservanza di leggi, regolamenti, discipline.
Quindi due origini diverse della colpa: o il soggetto non ha osservato norme, regolamenti
o discipline , o il soggetto è stato negligente, imprudente, senza perizia (per arti e
mestieri).
IN ENTRAMBI I CASI IL SOGGETTO HA DEVIATO DA UNA REGOLA DI CONDOTTA.
1° - Imprudenza, negligenza, imperizia violazione di un dovere di attenzione (duty of
care)
2° - Inosservanza di norme, regolamenti, ordini o discipline violazione di una regola
giuridica cautelare la cui osservanza avrebbe impedito l’evento.
Nel primo caso si tratta di COLPA GENERICA, caratterizzata dal fatto che le regole non
sono scritte; sono regole derivate dall’esperienza comune o dall’esperienza tecnico-
scientifica; è il giudice che, dopo il fatto, dovrà accertarle e dire: “Come ci si sarebbe
dovuti comportare in questo caso?” è molto difficile dirlo. Le soluzioni sono le più
disparate. L’accertamento dell’inosservanza avviene attraverso la figura del cosiddetto
“agente modello”, il prototipo ideale di persona giudiziosa e prudente che eserciti la
stessa professione, la stessa funzione la stessa attività del soggetto agente.
Nel secondo caso si tratta di COLPA SPECIFICA, perché la regola è scritta ed è
specifica ed è tale prima del fatto avvenuto. Essa può consistere in una legge, in un
regolamento, o in un ordine della Pubblica Autorità, o in una disciplina privata (es. le
regole degli ordini professionali o da un contratto) ad es. il codice della strada è pieno di
regole cautelari. Es l’obbligo di andare a 50 Km orari, obbligo di fermarsi, ecc.
COLPA GENERICA e COLPA SPECIFICA.
La prima pone un grave deficit di tipicità perché il tutto viene demandato al giudice,
con grave difetto di certezza del diritto. C’è un problema di accollo del fatto, non di
definizione del fatto concreto.
La seconda può nascondere casi di responsabilità oggettiva, ma deve comunque
esserci un legame fra il fatto avvenuto e la violazione di una norma scritta.
Può esserci sovrapposizione fra le due colpe, quando il soggetto viola sia le norme scritte
che quelle non scritte. Non è sufficiente dire: c’è una regola scritta che è stata rispettata,
il soggetto non è in colpa. Bisogna chiedersi quale sia la MISURA della diligenza richiesta.
A volte il rispetto di una regola cautelare scritta non esonera da una ulteriore indagine
sulla violazione di una norma cautelare non scritta. A volte l’agente modello, per evitare
l’avverarsi del fatto, dovrebbe violare la regola cautelare. Le regole cautelari scritte ci
aiutano a capire le modalità del fatto, ma non sono il Vangelo.
PREVEDIBILITA’ è il fondamento e il limite della colpa. Non ci può essere colpa
se non c’è prevedibilità (rappresentabilità) del fatto. È vero che manca la volontà, e quindi
si deve escludere il dolo, ma il fatto tipico si è verificato comunque e doveva essere
prevedibile da parte del soggetto agente. La regola cautelare scritta è la riprova che
l’evento era prevedibile. Diversamente chi l’ha scritta non avrebbe potuto prevedere
l’evento. Nella colpa specifica la prevedibilità è dunque implicita nella regola scritta.
Quindi, in presenza di colpa specifica, cioè violazione di una norma cautelare scritta, il
giudice non deve accertare la prevedibilità del fatto. Invece nella colpa generica la
prevedibilità gioca un ruolo decisivo. In mancanza di una regola scritta, è possibile
definire l’imprevedibilità? Se, sulla base della comune esperienza e delle conoscenze
tecnico-scientifiche, non è possibile stabilire la prevedibilità di un evento, l’agente che non
ha previsto non ha deviato da nessuna regola cautelare. Quindi l’imprevedibilità determina
l’impossibilità di definire la regola cautelare. Se quanto si è verificato era imprevedibile, il
soggetto sfugge alla colpa. Ma l’imprevedibilità non fa venir meno il rapporto di causalità,
anche se non produce l’accollo penale del fatto all’autore, perché non si può esigere
l’osservanza di una regola che non può essere definita. Ad es. se Tizio con la propria
auto fa schizzare un sasso che ferisce una persona, ha prodotto un evento
imprevedibile, il quale comunque non toglie il nesso di causalità fra la sua azione e
l’evento. Il fatto non è penale ma civile.
CONTENUTO DELLA REGOLA CAUTELARE rappresenta il comportamento che
l’agente modello avrebbe dovuto tenere. Es. astieniti dall’azione, se la fai sei uno
imprudente. Ma a volte l’agente si comporta in modo da prevenire l’evento. In questo
caso la colpa può annidarsi nella scelta delle misure adottate.
L’agente non ha previsto ma la cosa era prevedibile – colpa senza previsione
L’agente ha previsto ma ha adottato misure cautelari non sufficienti colpa con
previsione, aggravamento di pena ex art. 61/3° comma: Aggravamento di colpa:
aggravano il reato, …l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento.
Altre volte la regola cautelare ha il contenuto di una informazione doverosa. Nel senso
che il soggetto è tenuto ad informarsi sulle novità (es. l’imprenditore deve conoscere i
nuovi mezzi di sicurezza per gli ambienti di lavoro, se non adotta le opportune misure
cautelari è in colpa).
Primo punto da individuare è la violazione di una regola cautelare,
Secondo punto da individuare è verificare se il fatto si è verificato a seguito di
questa violazione, cioè deve esserci un legame tra regola violata ed evento. Ci si
deve domandare: l’evento si sarebbe comunque verificato anche senza la violazione
della norma? Principio di causalità interna alla colpa (“quando l’evento.. si verifica a
causa di..”).
Per valutare la causalità interna alla colpa bisogna guardare sempre allo scopo di tutela
della regola cautelare (novero degli eventi che si intendono cautelare attraverso la
regola). Ad es. un ragazzo in motorino carica un amico ma non ha il casco da dargli. Dal
cielo cade un pezzo di ghiaccio e ferisce il ragazzo senza il casco. Il guidatore è
responsabile? Qui è presente la violazione di una norma scritta che porta ad una colpa
specifica. Ma la caduta del pezzo di ghiaccio non era un evento previsto fra gli scopi di
tutela della norma. Infatti entrambi i ragazzi sono esposti al “rischio generico
dell’esistenza”. Non c’è rapporto fra la violazione della norma e il fatto. Vale a dire che non
è presente la causalità interna.
COLPA ASSENZA DI DOLO
VIOLAZIONE DI UNA REGOLA CAUTELARE
SCRITTA (COLPA GENERICA, fatto prevedibile o
NON
imprevedibile) regola cautelare ricavabile dal giudice
SCRITTA ( COLPA SPECIFICA, fatto prevedibile) regola
cautelare dettata in precedenza
CAUSALITA’ INTERNA ALLA COLPA legame fra la violazione e il fatto
(quasi sempre l’evento, ma presente anche nei reati di mera
condotta) definito dallo scopo di tutela per il quale la regola
è ricostruita dal giudice o dettata dalla legge.
Oltre al requisito della PREVEDIBILITA’ DEL FATTO
(da valutarsi solo in caso di colpa generica, cioè quando non c’è una regola
cautelare scritta, prevedibilità che va valutata dal giudice ed entra poi in gioco la
causalità interna),
è necessario il requisito della PREVENIBILITA’ DEL FATTO
bisogna verificare se il soggetto aveva o meno la possibilità di evitare l’avverarsi
dell’evento attraverso il rispetto della regola cautelare scritta o non scritta (da
valutarsi sia in caso di colpa generica che in caso di colpa specifica).
PREVENIBILITA’ rilevanza del comportamento lecito. Se il soggetto avesse
tenuto il comportamento lecito corretto, avrebbe scongiurato la realizzazione del
fatto? La dottrina è fortemente divisa. Ci sono casi in cui il comportamento lecito non
scongiura il fatto. Es. il treno vicino a un passaggio a livello incustodito investe un bus con
la conseguente morte di qualcuno. Il macchinista doveva suonare il segnalatore acustico
e il guidatore del bus doveva tirare giù il finestrino (regole scritte). Né l’uno né l’altro lo
hanno fatto. Se il macchinista avesse suonato l’incidente si sarebbe evitato? Dobbiamo
immaginare non solo il comportamento illecito, ma anche quello lecito. Il fatto va valutato
in una posizione ex antea (comportamento lecito), non ex post (comportamento illecito). Il
suono del treno (ex antea) avrebbe scongiurato l’evento. Secondo la prospettiva ex
antea il macchinista va condannato. Secondo la prospettiva ex post (dopo il fatto) il
macchinista va assolto sulla base del comportamento negligente anche dell’altra parte.
Se la colpa vuole essere il principio di espressione della IMPUTABILITÀ dobbiamo
constatare:
violazione della regola cautelare (scritta (colpa specifica), non scritta (colpa generica))
s e dall’agente potev amo pr etender e quel c ompor tamento ( ESIG IBILIT A’
DELL’OSSEVANZA). DIMENSIONE SOGGETTIVA DELL’EVENTO.
Se la colpa è generica, la sua misura va riportata alla figura dell’agente modello, che
doveva essere in grado di prevedere e prevenire l’evento secondo il suo livello
intellettuale tecnico e fisico (cultura, grado di abilità operativa, età e condizioni di salute,
ecc). La misura soggettiva dell’evento va calcolata su tali parametri. A prescindere dalla
condotta specifica dell’agente in quella particolare circostanza. Ciò non toglie che sia
possibile attribuire responsabilità all’agente non in possesso degli adeguati requisiti
tecnici. Si parla di colpa per assunzione, quando ad es. un chirurgo non specializzato
esegue un intervento di estrema difficoltà tecnica senza possederne le corrette
conoscenze.
Se la colpa è specifica, in genere il contenuto della violazione è precisato in forma
determinata. Se invece la norma presenta una indicazione elastica, si ricorre al criterio
della colpa generica. Ciò non toglie che sia possibile non attribuire responsabilità
all’agente quando questo abbia ignorato senza colpa il precetto cautelare. Ad es. in caso
di asportazione del cartello stradale con il segnale di stop.
FORME E GRADO DELLA COLPA oltre che essere generica e specifica, la colpa può
essere:
incosciente, senza previsione dell’evento
cosciente, caratterizzata dall’aver agito nonostante la previsione dell’evento non
voluto (l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente). Questa colpa cosciente
costituisce circostanza aggravante comune del delitto colposo e non è da confondere
con il dolo eventuale (quando il soggetto si rappresenta l’evento come possibile e ne
accetta il rischio).
A seconda del grado di questa colpa, il giudice potrà stabilire la misura della pena.
Art. 133 – valutazione della gravità del reato agli effetti della pena:
dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra
modalità dell’azione
dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato
dall’intensità del dolo e dal grado della colpa.
Altro è superare il limite di velocità di 10 km altro è superarlo di 100 km.
Altro è avere la possibilità di evitare certamente l’evento, altro è averne la probabilità.
Altro è avere conoscenze tecniche altamente specializzate, altro è averne un livello
modesto.
PRETERINTENZIONE Art. 43 2° capoverso : il delitto è preterintenzionale, o
oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o
pericoloso più grave di quello voluto dall’agente.
DOLO il fatto commesso è pienamente coincidente con quello voluto. Piena volontà.
COLPA la coincidenza è completamente esclusa, quello che il soggetto realizza è non
voluto e lo realizza solo per negligenza, imperizia, imprudenza o per violazione di una
norma scritta.
PRETERINTENZIONE l’evento non è voluto, come nella colpa. Nella colpa, il
soggetto non vuole realizzare ciò che si è realizzato. Invece nella preterintenzione il
soggetto vuole realizzare comunque un illecito. Si dice “il soggetto versa nell’illecito”. Ma il
realizzato va oltre la sua intenzione. Si realizza qualcosa di più grave di quanto si aveva
intenzione di fare. Il fatto deve comunque essere più grave. Invece del fatto X si realizza il
fatto Y. Si tratta di una forma d’imputazione intermedia tra il dolo e la colpa. Come nella
colpa vi è un evento non voluto, nella preterintenzione vi è un evento voluto ed uno non
voluto più grave di quello voluto.
In pratica, le uniche due forme di preterintenzione previste esplicitamente sono:
l’omicidio preterintenzionale (art. 584) (morte prodotta da percosse o lesioni
personali) e l’aborto preterintenzionale (art. 18/2° legge 194/1978) (prodotto da
percosse o lesioni personali, cioè azioni dirette a provocare lesioni alla donna).
Ma nella preterintenzione il nostro sistema giuridico non è così lineare come nel
dolo e nella colpa. Ad esempio vediamo l’Art. 82 (offesa a persona diversa da quella
alla quale l’offesa era diretta, aberratio ictus) e l’art.83 (evento diverso da quello voluto
dall’agente, aberratio delicti) e l’art. 60 (errore sulla persona dell’offeso).
Nell’art. 82, (es. voglio dare un pugno a Tizio, ma questo si china e io colpisco Caio) c’è
una divergenza fra l’intenzione dell’agente e quanto ha invece egli realizzato. Si potrebbe
trattare di preterintenzione. Ma la norma prevede che il colpevole risponde “come se
avesse commesso il reato in danno alla persona che voleva offendere”. Viene trattato
quindi come un caso di dolo. In dottrina tale reato dell’art. 82 è definito “reato
aberrante” (cioè reato “deviato”, aberratio = deviazione) perché la rappresentazione
dell’evento, che ne aveva il soggetto agente, non si è realizzata nell’evento. L’evento
realizzato è diverso da quello pensato. C’è uno sbaglio nell’esecuzione del reato. Un
“errore nell’uso dei mezzi di esecuzione”. Ma il reato è lo stesso.
Se non fosse stata prevista questa norma, io che ho dato un pugno a Caio invece che a
Tizio dovrei essere accusato per due reati: per Tentativo di lesione (verso la vittima
pensata Tizio) e per lesioni colpose (verso la vittima occasionale Caio).
Non è questo il caso dell’art. 60 (errore sulla persona dell’offeso): es. voglio dare un
pugno a Tizio credendolo Caio e lo colpisco). Nel caso previsto dall’art.60 non c’è
tentativo nei confronti della vittima pensata, ma c’è un reato consumato nei confronti di
Tizio perché nel momento in cui lo colpivo lo credevo Caio. Coincidenza fra pensato e
realizzato ma errore sulla persona. Quindi Tizio e Caio sono coincidenti. Nel momento in
cui colpivo c’era piena coincidenza fra quanto mi ero rappresentato e quanto ho posto in
essere. Dovrebbe quindi essere un caso di dolo. Invece viene trattato come colposo
sulla base dell’errore. Il risultato è che non sono poste a carico dell’agente le
circostanze aggravanti. Sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti. Il
medesimo trattamento delle circostanze è riservato anche al reato di aberratio ictus.
Il dolo invece non c’è nell’art. 82, perché non c’è coincidenza fra quanto rappresentato e
quanto realizzato, purtuttavia l’ordinamento prescrive che il giudice debba giudica con
una “fictio iuris”, “come se” in modo da realizzare una disciplina più rigorosa, e quindi
come un caso di dolo.
Inoltre, l’art. 43 dice che per esservi preterintenzione il reato realizzato deve essere più
grave e diverso, mentre nell’art.82 la gravità è la stessa e il reato è lo stesso. Infine l’art.
82 prevede sia la forma monolesiva, sia la forma plurilesiva nel 2° comma, nel caso in
cui cioè l’evento comprenda il danno (lesione o morte) sia di un terzo sia della persona
alla quale l’offesa era diretta.
L’art. 43 dà alcune indicazioni circa la gravità del fatto realizzato, ad es. voleva ferire
invece uccide, fatto diverso e più grave. L’art. 82 pone invece attenzione sulla diversità
non del reato ma della persona offesa e non considera la maggiore gravità.
L’art. 83 (aberratio delicti) (se si cagiona un evento diverso da quello voluto il
colpevole risponde a titolo di colpa dell’evento non voluto, quando il fatto è
preveduto dalla legge come delitto colposo) prende in considerazione la
realizzazione di un evento diverso da quello voluto (es. con un mattone voglio rompere
una vetrina ma invece ferisco Caio che nel frattempo si è frapposto fra me e la vetrina).
In questo caso rispondo di lesioni personali colpose (o di omicidio colposo), perché l’art.
83 può essere applicato solo per i reati previsti dalla legge come colposi. Ma qui c’è
qualcosa di diverso dal semplice delitto colposo, c’è comunque la volontà di compiere un
reato. Quindi dovrebbe essere trattato come doloso e non come colposo. Se avessi
danneggiato una macchina, invece che la vetrina, a rigor di logica avrei dovuto
rispondere per danneggiamento doloso, perché il danneggiamento non è previsto come
reato colposo.
Nell’art. 82 dovrebbe trattarsi di preterintenzione e invece viene trattato come dolo.
Nell’art. 83 dovrebbe trattarsi di azioni dolose e invece si risponde solo per colpa.
Nell’art. 60 dovrebbe trattarsi di dolo e invece si risponde per colpa, non sono inoltre
poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti e sono valutate a suo favore le
circostanze attenuanti erroneamente supposte.
Nella preterintenzione c’è dunque un soggetto che versa nell’illecito.
La regola che veniva applicata in precedenza era che chi versa nell’illecito risponde
anche per il caso fortuito. Quindi la preterintenzione, per lo schema della responsabilità, è
la responsabilità oggettiva. Il soggetto risponde a prescindere da qualunque possibilità di
rimprovero. La derivazione causale produce la responsabilità oggettiva.
C’è qualcosa di più rispetto alla colpa. In questa il soggetto risponde solo se l’evento era
prevedibile. Invece, nella preterintenzione, se c’è la volontà dell’illecito, si risponde a
prescindere dalla mancanza di diligenza o dalla violazione di una norma cautelare scritta.
Sulla base di un dolo posto a fondamento (volontà) si risponde per la causazione a
prescindere se l’evento era prevedibile o meno.
La responsabilità preterintenzionale è comunque innestata su un dolo di base (volontà
dell’illecito).
Nell’art. 43/1°, 2 cpv, il reato è definito preterintenzionale quando dall’azione od omissione
“deriva”. Non è quindi pura responsabilità oggettiva. Cioè responsabilità senza dolo né
colpa. Deve derivare comunque qualcosa di più grave. Anche il principio di colpevolezza
richiede la necessità di un “rimprovero” nei confronti dell’agente.
Ma la responsabilità obiettiva pura è stabilita dall’art. 42/3°: la legge determina i
casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza
della sua azione od omissione.
E quindi altrimenti che per dolo, o colpa o preterintenzione.
PRETERINTENZIONE: il soggetto vuole realizzare un illecito penale ma ne realizza un
altro, sempre illecito penale, ma più grave.
Che cosa occorre perché il soggetto risponda?
Dolo + responsabilità oggettiva è in contrasto con il principio di colpevolezza (la
responsabilità penale è personale, art. 27 Cost).
Dolo + colpa. Orientamento della dottrina.
Ma nessuna delle tre norme (82, 83, 584) dice che l’evento deve essere prevedibile. E la
prevedibilità è un elemento essenziale nel definire l’imputazione per colpa.
Non c’è un unico titolo di responsabilità per la preterintenzione.
Requisiti necessari per rispondere.
Il titolo è il vestito: di che cosa si risponde?
Dolo delitto doloso
Colpa delitto colposo
Preterintenzione qualche volta per dolo, qualche volta per colpa. L’unico articolo
preciso di preterintenzione sembra essere il 584.
Troviamo norme di carattere generale che costruiscono vestiti distonici: 82 – 83.
Quali sono i requisiti? Occorre solo la causazione o è necessario il rimprovero? Art. 572
(maltrattamenti in famiglia)
Eventi non voluti (lesione grave, gravissima, morte) = preterintenzione,
dolo di base = maltrattamenti. Evento (morte). Era prevedibile? (dolo + colpa). Oppure al
giudice è sufficiente dimostrare che la morte deriva dai maltrattamenti? (dolo +
responsabilità oggettiva).
Se ci si orienta verso la teoria della preterintenzione come risultato del dolo più colpa, è
necessario al giudice, per l’imputabilità, dimostrare che l’evento morte era prevedibile. Se
ci si orienta verso la teoria del dolo più responsabilità oggettiva, al giudice sarà sufficiente
dimostrare il nesso causale fra la condotta e l’evento.
Art. 588 Rissa chi partecipa a una rissa dalla quale derivi morte o lesioni personali è
punito per il solo fatto di partecipazione alla rissa. A che titolo rispondono il maltrattatore o
i corrissanti? A titolo di dolo, colpa o preterintenzione, o per responsabilità oggettiva?
Art. 572 Maltrattamenti in famiglia la disposizione = articolo. Norma = contenuto
della disposizione, che può prevedere più norme.
Il 2° comma prevede una norma incriminatrice nuova rispetto al 1° comma. Abbiamo 2
norme penali incriminatici. L’una nel 1° e l’altra nel 2° comma. 2 titoli di reati. (titolo di
reato = norma incriminatrice). 1) il reato è doloso, 2) il delitto è preterintenzionale.
Con questa ottica lo possiamo collocare accanto al 584.
L’altra possibilità è che il 2° comma dell’art. 572 non sia un reato autonomo, ma riguardi
una circostanza aggravante.
Unico reato forma base e forma aggravata circostanziata.
In questo caso bisognerà applicare le norme sul reato circostanziato. (art. da 59 –a .
70)
Quando infatti il legislatore prevede nella disposizione un elemento nuovo che modifica la
pena del reato, occorre stabilire se questo elemento nuovo va considerato come
circostanza o come nuova figura autonoma di reato. Es. art. 578 infanticidio in condizioni
di abbandono materiale e morale. Es. art.6583 le lesioni gravi e gravissime rispetto al
reato di lesioni. Se il reato viene considerato una nuova fattispecie, si applica la regola
dell’imputazione soggettiva a titolo di dolo. Se si tratta di circostanze, l’evento ulteriore è
imputato all’agente anche solo a titolo di colpa.
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tipicità OGGETTIVA del fatto previsto dal legislatore
tipicità SOGGETTIVA del fatto accaduto e voluto dal soggetto. Piena coincidenza fra
quanto è stato realizzato e quanto è stato voluto.
FATTO TIPICO
FATTO avvenuto aaavvenutoCONCRETO
--A----B----C----D
--A----B----C----D
Oggetto
Struttura
FATTO COMMESSO ANTIGIURIDICITA’ OBIETTIVA
Una volta esaminato il fatto tipico (condotta, evento, nesso causale, presupposti), il
giudice dovrà procedere ad esaminare l’antigiuridicità obiettiva del fatto. Vale a dire che
nella sua valutazione deve analizzare, sempre obiettivamente, se esistano delle CAUSE
DI GIUSTIFICAZIONE dette anche SCRIMINANTI, previste dall’ordinamento giuridico
che giustificano quel comportamento e lo rendono lecito anziché illecito.
In pratica, poiché la legge prevede la possibilità che un fatto considerato obiettivamente
antigiuridico, cioè illecito, possa venir considerato oggettivamente lecito in presenza di
cause di giustificazione, il giudice dovrà valutarne la presenza. Ma in tale valutazione il
giudice dovrà prescindere dall’atteggiamento personale del soggetto agente, vale a dire
che non dovrà tener conto di come il soggetto agente si sia rappresentato il fatto, né se
egli ne abbia percepito l’illiceità. La valutazione deve essere infatti oggettiva.
Diversamente si entrerebbe nel campo della colpevolezza, dove domina il criterio della
sulla base del nesso psichico.
rimproverabilità personale
L’antigiuridicità del fatto può essere espressa nella norma penale incriminatrice (clausola
di antigiuridicità obiettiva). Es. art. 633/1°, dove il reato di invasione di terreni o edifici si
configura solo se avviene “arbitrariamente”, cioè in assenza di cause di giustificazione.
Es. art. 621/1°, dove il reato di rivelazione del contenuto di documenti segreti si configura
solo se avviene “senza giusta causa”.
Oppure può non essere espressa ma insita nella norma penale, antigiuridicità penale,
quando il fatto commesso presenti tutti i requisiti richiesti dalla norma penale (fatto tipico,
antigiuridicità obiettiva, cioè mancanza di cause di giustificazione, colpevolezza).
L’antigiuridicità obiettiva è importante perché, una volta accertata, è sufficiente a fondare il
concorso di persone nel reato, a prescindere dalla colpevolezza dei singoli agenti. Ad es.
chi istiga al furto un soggetto che agisca senza dolo, inconsapevolmente, ma in assenza
nel reato.
di cause di giustificazione, risponde a titolo di concorso In corrispondenza, la
presenza di una causa di giustificazione si estende a tutti i compartecipi.
Le cause di giustificazione si ispirano al criterio del bilanciamento degli interessi in
conflitto.
Ad es. un’aggressione ingiusta legittima l’aggredito ad una reazione, ma solo a quella
“proporzionata all’offesa” (art. 52). Se la reazione non è obiettivamente proporzionata, il
fatto è antigiuridico e quindi punibile.
Le cause di giustificazione sono sottoposte alla regola della rilevanza obiettiva, cioè si
applicano all’agente anche se da lui non conosciute o ritenute per errore inesistenti (art.
59/1°- circostanze del reato non conosciute o erroneamente supposte).
Il c.p. non utilizza mai la locuzione “cause di giustificazione” o “scriminanti”, ma si limita a
( o “esclude la punibilità”)
dichiarare “non punibile” il fatto commesso in una determinata
circostanza o a parlare di “circostanze che escludono la pena” (soggettive, escludono la
pena solo per quel soggetto; oggettive, escludono la pena per tutti i soggetti in concorso,
Il concetto di cause di giustificazione o scriminanti è stato elaborato dalla
art. 119).
dottrina.
Le principali cause di esclusione della punibilità, o scriminanti, o cause di giustificazione,
sono:
il consenso dell’avente diritto (art. 50)
l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere (art. 51)
la difesa legittima (art. 52)
l’uso legittimo delle armi (art. 53)
lo stato di necessità (art. 54).
Sono cause di giustificazione suscettibili di essere applicate a qualunque reato. Vi
possono essere cause di giustificazione speciali riferite a singole fattispecie incriminatici.
Es. l’art. 728/2°, trattamento idoneo a sopprimere la coscienza o la volontà altrui, che
esclude il reato contemplato dalla norma quando è commesso dall’esercente di una
E nulla vieta che il legislatore ne possa
professione sanitaria a scopo scientifico o di cura.
introdurre di nuove. – non è punibile chi lede o pone in pericolo un
il consenso dell’avente diritto (art. 50
diritto con il consenso della persona che può validamente disporne): riguarda le ipotesi in
cui il fatto tipico si sia realizzato in tutti i suoi estremi ma con il consenso dell’avente diritto
del bene tutelato, ad es. chi acconsenta di essere diffamato da un giornale o ad essere
percosso durante uno spettacolo, o il proprietario che consente ad un terzo di raccogliere
del
i frutti degli alberi proprio fondo. La scriminante poggia sul venir meno dell’interesse
protetto e sulla libertà di autodeterminazione dell’avente diritto. Il consenso però può
avere ad oggetto solo diritti disponibili, ad es, non è disponibile la vita e l’integrità fisica.
L’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando producano una
diminuzione permanente o siano contrari alla legge, all’ordine pubblico, al buon costume.
Per il trapianto di un rene, del midollo osseo, per le trasfusioni di sangue è dovuta
intervenire una legislazione ad hoc. I beni di natura patrimoniale sono sempre disponibili. Il
consenso può essere dato solo se se l’avente diritto ha capacità giuridica, non è
sufficiente la capacità d’intendere e di volere. Il consenso deve essere immune da vizi
(errore o violenza). Discussa è la validità del consenso presunto (il soggetto agisce
ritenendo che l’avente diritto avrebbe dato il suo consenso se avesse potuto: ad es. il
vicino che si introduce nell’immobile altrui per bloccare una perdita di acqua. Tale
condotta può essere trattata come una negotiorum gestio, art. 2028 c.c. e assumere una
rilevanza scriminante), e del consenso putativo (il soggetto agisce ritenendo presente un
consenso che in realtà non è stato dato e la sua disciplina è dettata dall’art. 59/4°, la
punibilità non è esclusa se si riscontra una colpa nell’agente). – l’esercizio di un diritto
l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere (art. 51
o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo
della pubblica autorità esclude la punibilità):
l’esercizio di un diritto riguarda le ipotesi in cui l’agente deroga ad una norma penale
incriminatrice in quanto agisce sulla base in un suo diritto. Es. non può essere imputato di
danneggiamento il proprietario che taglia i rami dell’albero del vicino che sporgono nella
sua proprietà, o le radici che si protendono nella sua proprietà. Il fondamento della
scriminante poggia sulla prevalenza riconosciuta all’attuazione di un diritto-facoltà. Ma
quali possono essere questi diritti? Tutti o solo alcuni? Sicuramente le situazioni giuridiche
soggettive attive: le potestà (es. ius corrigendi del genitore), i diritti potestativi (es. il diritto
di recesso art. 1456 c.c.), gli interessi legittimi, i diritti soggettivi in senso stretto (es.
proprietà, servitù), le facoltà legittime (es il potere di arresto da parte di privati in flagranza
di reato), i poteri giuridici degli organi pubblici. Quanto alla fonte, l’esercizio legittimo di un
diritto deve derivare dalla legge ordinaria, non dalla legge regionale, né da regolamento,
né da consuetudine. Ciò non significa che debba essere completamente definito da tale
fonte, in quanto in materia di scriminante non entra in gioco il principio di stretta legalità,
ma solo che sia rispettata la gerarchia delle fonti. Quindi la legalità dell’esercizio di un
diritto può derivare anche da un provvedimento giurisdizionale o amministrativo o
addirittura da un contratto che “ha forza di legge fra le parti”, art. 1372 c.c..
Alla scriminante “esercizio di un diritto” devono essere ricondotte due situazioni
particolari: l’attività medico chirurgica e l’attività sportiva. Per quanto riguarda la
prima, l’intervento terapeutico è lecito, con esclusione dei reati di omicidio e di lesioni,
anche se l’esito è infausto, quando sia effettuato da persona abilitata all’esercizio
professionale e con il consenso pieno, reale ed informato del paziente, oppure in
presenza di una necessità terapeutica per la quale il rischio del non intervento sia
superiore all’intervento stesso. Per quanto riguarda le attività sportive, le lesioni o la morte
non sono punibili quando la competizione era regolare e legittima, i partecipanti erano stati
qualificati idonei da un punto di vista medico, siano state rispettate le regole del gioco. Su
quest’ultimo punto, ad esempio, una recente sentenza della Corte di Cassazione ha
stabilito che le lesioni riportate su “intervento a gamba tesa” sono punibili perché contro le
regole del gioco.
L’adempimento di un dovere riguarda i casi in cui tale adempimento è imposto da una
norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità. L’osservanza di un dovere
esclude qualsiasi tipo di responsabilità: penale, civile, amministrativa, disciplinare. Il
fondamento di tale scriminante risiede nella prevalenza data all’obbligo di adempiere ad un
ordine dato 1)dalla legge o 2)dalla pubblica autorità. Così l’arresto obbligatorio in flagranza
di reato esclude il sequestro di persona. La fonte può essere tanto la legge statale come
una norma di rango inferiore, dato che può derivare anche dalla pubblica autorità, ma
nelle forme prescritte dalla legge. Se l’ordine non è legittimo non può costituire
scriminante. -
la difesa legittima (art. 52 non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi
stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il
pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata
all’offesa. Il fondamento risiede nel diritto all’autotutela privata, sussidiaria a quella
pubblica, e nella necessità di lottare contro l’illecito. È necessario che l’aggressione sia
ingiusta, non abbia cioè alcuna causa giustificativa legittima,
sia diretta contro un diritto proprio o altrui (quindi qualunque situazione giuridica
soggettiva attiva, ma non rispetto a beni collettivi o diffusi come l’ordine pubblico o
l’integrità ambientale),
costituisca un pericolo attuale (presente al momento del fatto, e valutato secondo la
miglior scienza ed esperienza).
e, soprattutto, che la difesa sia proporzionata all’aggressione.
La difesa è formata infatti da tre elementi: costrizione, necessità, proporzione.
Costrizione, nel senso che chi reagisce non poteva ricorrere in quel
momento all’autorità pubblica e quindi ad una difesa pubblica. Necessità, nel
senso che quella soluzione adottata era “relativamente inevitabile” in relazione
appunto al soggetto agente (valutazione dei mezzi di difesa utilizzati in
relazione al soggetto). Proporzione, nel senso che il bene offeso dalla difesa
non sia superiore al bene offeso dall’aggressione, tenendo conto anche del
valore che quest’ultimo assume per l’aggredito (es. la perdita di un dito non ha
lo stesso valore per un pianista e per una persona non musicista).
l’uso legittimo delle armi (art. 53): la norma assume carattere sussidiario (previsto
nelle parole “ferme le disposizioni contenute negli articoli precedenti”) rispetto
all’individuazione di altre cause di giustificazione e fa riferimento esclusivamente alla
figura di Pubblico Ufficiale (polizia di Stato, Carabinieri, guardia di finanza, ecc), o di
persona che gli presti assistenza richiesta, che deve evitare sia commesso uno dei reati
elencati: respingere una violenza, vincere la resistenza all’Autorità, strage, naufragio,
sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano
armata, sequestro di persona. Il fondamento poggia sull’esigenza di adempiere ad un
dovere pubblico. Oltre che alle armi in senso proprio, l’articolo fa riferimento anche ad
“ogni altro mezzo di coazione fisica” (sfollagente, idranti, attività fisica diretta). La norma
non contiene il principio di proporzione, ma oggi la dottrina ritiene che non si possa
autorizzare la lesione di diritti inviolabili altrui al di fuori di questo criterio, diversamente la
norma dovrebbe reputarsi costituzionalmente illegittima.
lo stato di necessità (art. 54): non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi
stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né
altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Ad es. Tizio,
per salvarsi da un sequestro sottrae un’automobile. Caio, per salvarsi da un naufragio
getta in mare dalla scialuppa un compagno, perché la scialuppa non poteva sopportarne il
peso. Lo stato di necessità prefigura situazioni addirittura immorali. Eppure il fondamento
della scriminante si basa sul bilanciamento degli interessi in gioco e sull’identità di valore
fra il bene salvato e quello sacrificato. Inoltre, non è sensato chiede ad una persona, in
particolari situazioni di pericolo, il rispetto di doveri giuridici (necessitas non habet legem).
Anche qui, come nella difesa legittima, ricorrono i concetti di costrizione, necessità,
proporzione. Sono aggiunti i concetti di involontarietà e di inevitabilità. Involontarietà vuol
dire che il soggetto non deve aver causato né dolosamente né colposamente la
situazione di pericolo (es. l’automobilista che eccede il limite di velocità e causa un evento
lesivo in seguito ad una manovra di emergenza si trova in una situazione comunque di
colpa; o il tossicodipendente che commette un furto in crisi di astinenza non può chiedere
la giustificazione dello stato di necessità, casomai, se la sua intossicazione è cronica,
sarà trattato come un incapace di intendere e di volere). Inevitabilità vuol dire che non era
possibile nessun altro mezzo lecito per scongiurare il pericolo.
Ma all’agente residua comunque una responsabilità civile, secondo quanto disposto
dall’art. 2045 c.c. infatti, chi compie un fatto dannoso in stato di necessità deve
corrispondere al danneggiato un equo indennizzo determinato dal giudice con equo
apprezzamento (c.d. responsabilità da atto lecito).
L’art. 55 disciplina l’eccesso nelle cause di giustificazione e stabilisce che quando, nel
commettere uno dei fatti previsti dagli art. 50 51, 52, 53, 54, si eccedano colposamente i
limiti stabiliti dalla legge, o dall’ordine dell’Autorità, o dalla necessità, si applicano le
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