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Le esigenze di tutela hanno spinto il legislatore a limitare la portate del principio generale della
procedibilità a querela, introducendo una serie di eccezioni a questo regime. La procedibilità
d'ufficio è stata prevista nei casi più gravi, in particolare quando si procede a tutela di perdoni
particolarmente deboli ed esposte.
Inoltre la tutela della libertà sessuale del minore ha assunto connotati sia negativi, cioè tutela
dell'integrità fisica del minore nei confronti di possibili abusi, ma anche positivi, cioè protezione
dell'intera personalità in formazione, quale presupposto del libero dispiegarsi dell'esercizio della
libertà sessuale.
Con l. n. 269 del 1998 sono state introdotte disposizioni contro lo sfruttamento della prostituzione,
della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori. Riformata nel 2006 in relazione alla
decisione quadro 2004/68/GAI. La legge potenzia gli strumenti di tutela dell'integrità e della libertà
sessuale del minore da condotte di mercificazione della persona. Fino al compimento del
diciottesimo anno di età. La corte di Cassazione individua in queste norme non solo la tutela della
libertà sessuale del minore, ma anche la punizione di condotte prodromi che portano a mettere a
repentaglio il libero sviluppo personale del minore. Si individuano perciò figure incriminatrici di
condotte preparatorie o strumentali alla pratica della pedofilia. La disciplina presume l'invalidità del
consenso del minore e sancisce la punibilità di qualsiasi condotta di fruizione diretta o indiretta
delle prestazioni sessuali del minore di anni diciotto. La disciplina punisce: induzione,
favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di minore; fruizione della prostituzione
minorile, se la vittima ha un età compresa fra 14 e 16 anni; detenzione di materiale pornografico. Si
prevede un trattamento più severo, ma si ignora la protezione della vittima fornendo aiuto alle
famiglie della stessa. Le norme introdotte per ultime arrivano a punire la pornografia solo virtuale,
cioè pornografia che utilizza immagini di minori non reali, in quanto frutto di tecniche di
elaborazione grafica. Rimane comunque un termine dubbio, in particolare non si capisce se debba
ricomprendervi anche il materiale pornografico che rappresenta una persona reale, che sembra
essere un bambino. La decisione quadro distingue il materiale pornografico che rappresenta persone
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reali che sembrano bambini, da quello costituito da immagini realistiche di bambini inesistenti. La
decisione quadro non ha però effetto diretto nell'ordinamento nazionale, anche se ha acquistato
rilievo a livello di interpretazione della normativa interna. Con la sent. 16 giugno 2005 la Corte di
Giustizia ha espresso il principio secondo cui il giudice interno deve interpretare le norme in modo
conforme al diritto comunitario, purché non si tratti di interpretazione contra legem o in malam
partem. E l'incriminazione della pornografia anche apparente, integra un ipotesi di interpretazione
analogica. L'incriminazione della stessa si presta inoltre a critiche dal punto di vista dell'offensività.
Infatti non esiste un minore vittima del reato e perciò manca la vittima del reato. All'interesse della
presunta potenzialità offensiva della pseudo-pornografia si contrappone l'interesse alla libera
esplicazione della propria personalità sessuale, anche se deviata. La corte Surema americana ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni del Child Pornografy Prevention Act del
1996 per violazione della libertà di espressione. Secondo la corte non si può giustificare la
punizione della pornografia virtuale se non vi è una prova diretta che questa sia collegata ad abusi
su minori reali.
Sono state rilevate incongruenze interne alla normativa. In particolare il fatto che il fruitore di
prestazioni sessuali con soggetto compreso fra i 16 e i 18 anni non viene punito, mentre il semplice
detentore di pornografia riguardante minore di anni 18 era ed è punibile. Questa differenza di
trattamento era spiegata in relazione all'esigenza di reprimere e controllare il mercato del materiale
pornografico minorile. La nuova normativa ha innalzato l'età del minore prostituitosi da 16 a 18
anni e ha aumentato la pena per il cliente. È stata inoltre introdotta una pena aggravata per il minore
di 16 anni. Queste disposizioni contrastano comunque, esternamente, con quelle esaminate in
precedenza, che puniscono la violenza sessuale. È sembrato logico al legislatore introdurre una
tutela assoluta nel caso in cui entri in gioco l'interesse economico. Da queste norme sembra
discendere una drastica compressione della libertà di determinazione sessuale, anche dal punto di
vista del minore, le cui condotte potrebbero essere semplicemente esplicazione di forme di
perversione sessuale. In particolare se si tratta di minore quasi maggiorenne. Al fine di favorire il
rispetto di spazi di autonomia sessuale, sembra preferibile l'interpretazione che aggancia al requisito
della abitualità condotte quali quella di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della
prostituzione. Ma con la riforma del 2006 queste considerazioni non sembrano più applicabili.
Infatti nel caso della condotta di pornografia minorile si è sostituito il verbo sfruttamento con quello
di utilizzazione. Una parte della dottrina ritiene che questa condotta debba essere ricostruita nei
termini di reato di danno. Infatti l'offesa al corretto sviluppo psico-fisico del minore sarebbe
connaturale alle condotte tipiche, indipendentemente dalla successiva diffusione del materiale, che
potrebbe incrementare l'offesa sotto il profilo della dignità della persona. Comporta un ampliamento
delle condotte di pornografia minorile, anche la pornografia domestica sarebbe punibile,
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indipendentemente da una successiva diffusione, diversamente da quanto ritenuto dalla
giurisprudenza. Si potrebbe pensare diversamente se si volesse ancorare la punibilità ad un fine di
lucro. Il dato del fine di lucro non è stato però introdotto. Ciò che conta penalmente è il fatto di
realizzare esibizioni pornografiche, di produrre materiale pornografico o di detenere questo
materiale, indipendentemente dalla finalità. Nonostante fossero previste cause di non punibilità
dalla legge quadro europeo, nessuna di essere è stata introdotta. In particolare non è stata prevista
come causa di non punibilità la detenzione con il consenso del minore e senza intenzione di
diffondere il materiale. La previsione di queste cause di non punibilità avrebbe evitato riserve di
incostituzionalità alla luce del principio di inoffensività. La finalità personale, il consenso del
minore e l'età prossima prossima alla maggiore età fanno propendere per una condotta tipica non in
grado di offendere il bene giuridico, cioè lo sviluppo psico-fisico del minore. Secondo la Corte di
Cass. il requisito dell'interazione sostituirebbe quello tradizionale di contiguità e sarebbe rinvenibile
in qualsiasi condotta di prestazione sessuale, purché compiuta dietro pagamento di un corrispettivo
e finalizzata a soddisfare la libidine del destinatario. Sarebbe questo secondo la Cassazione
l'elemento che caratterizza la prostituzione e la distingue dalla mera esibizione del proprio corpo.
Infatti, secondo la corte, anche nella prostituzione realizzata tramite internet l'operatrice e il cliente
sono in un contatto che non elimina il significato di disvalore sociale di atti che implicano l'uso
strumentale della propria sessualità per riceverne un corrispettivo. Valutazioni diverse in termini di
disvalore andrebbero espresse con riferimento a quei comportamenti nei quali manca qualsiasi tipo
di relazione. L'art. 600 quater prevede un'aggravante nel caso in cui il materiale detenuto sia di
ingente quantità. Si tratta di una circostanza aggravante indefinita, che ha sollevato dubbi di
incostituzionalità sotto il profilo della sua indeterminatezza. Il co. 4 dell'art. 600 ter ha ampliato la
portata del concetto di cessione o offerta di materiale pornografico, eliminando l'avverbio
consapevolmente, dalla norma precedente. Perciò il dubbio sulla natura del materiale o sull'età dei
soggetti rappresentati, diventa compatibile con il dolo della fattispecie. In questo senso ciò che
appare tutelata è la dignità umana, intesa come insieme delle qualità personali riferibili ad un
soggetto determinato. In altri ordinamenti prevale la tutela del minore fanciullo, cioè del minore di
età inferiore a 14 anni.
Le forme moderne di prostituzione si combattono anche intervenendo alle fonti di
approvvigionamento del materiale umano. Per far ciò il legislatore ha modificato l'art. 601 c.p.
"Tratta e commercio di schiavi" inserendo nell'art. una specifica figura criminosa di tratta e
commercio di minori finalizzata all'avviamento alla prostituzione. Più altre fattispecie volte a
limitare il mercato degli esseri umani. In questo modo si vuole tutelare l'individuo contro qualsiasi
attività di annientamento psico-fisico e morale della persona attraverso forme di schiavitù non tanto
di diritto, ma di fatto. È stato modificato l'art. 600 secondo una tecnica definitoria che mira a
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superare incertezze derivanti dalla indeterminatezza della vecchia formulazione. Questa, con
l'espressione riduce una persona in schiavitù, rinvia alla schiavitù di diritto e con l'espressione
condizione analoga alla schiavitù, introduce una componente di indeterminatezza. La prassi aveva
dilatato la scali sola fino a ricomprendervi qualsiasi condizione di fatto. La riforma del 2003 aveva
come obbiettivo quello di riempire le lacune e incrementare la tutela delle vittime. La riforma
legalizza al co.1 dell'art. 600 l'orientamento della prassi al favore di un interpretazione allargata
dello stato di schiavitù come qualsiasi situazione di mero fatto nella quale il soggetto passivo, a
seguito dell'attività esplicata da altri sulla persona, si venga a trovare ridotto nell'esclusivo dominio
dell'agente, il quale materialmente ne usi, ne tragga profitto e ne disponga. Si è posta la questione se
l'utilizzo di bambini per raccogliere denaro destinato alle esigenze del gruppo, togliendo loro ogni
possibilità di un percorso alternativo di carattere educativo, formativo o di svago, possa configurare
il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù. La Cassazione non ha esitato a dare
una risposta affermativa a simile quesito, sulla base del fatto che a scriminare queste condotte non
può invocarsi il consenso delle vittime, che pr