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Il principio di legalità nel diritto penale
SGUBBI, GRASSO), le c.d. direttive analitiche, quelle cioè che contengono precetti sufficientemente individuati e specifici. La dottrina più intransigente ritiene che la maggiore garanzia di tutela delle minoranze rappresentative del popolo nel Parlamento, sia offerta dal concetto di legge nella sua veste eminentemente formale, ossia l'atto normativo emanato ex art. 70 Cost.. Tuttavia, la dottrina prevalente ammette, tra le fonti del diritto penale, anche le leggi in senso sostanziale, vale a dire il decreto legge (art. 77 Cost.) e il decreto legislativo (art. 76 Cost.), e giustifica la sua scelta facendo leva su di un approccio giuridico formale che riflette la gerarchia delle fonti fissata dal legislatore costituente: cioè, posto che lo stesso ordinamento costituzionale riconosce al decreto delegato e al decreto legge efficacia pari a quella delle leggi ordinarie, se ne deduce la loro rilevanza anche in materia penale.
Il principio di legalità opera, come
riserva di legge assoluta, anche rispetto alle pene (art 1 c.p.ultima parte: "...né con pene che non siano da essa (dalla legge) stabilite"): ovvero, soltanto la legge o un atto normativo equiparato (decreto legge o decreto legislativo) possono stabilire con quale sanzione ed in quale misura debba essere punito il fatto criminoso, con conseguente limitazione del bene della libertà personale. Predeterminazione legale della sanzione non significa, tuttavia, esclusione di ogni potere discrezionale del giudice. Al contrario, una certa estensione dello spazio edittale della pena e la possibilità per l'organo giudicante di scegliere tra più tipi di sanzioni, garantiscono l'esercizio della discrezionalità del giudice nel rispetto della Costituzione e della libertà dell'individuo. Uno spazio di pena edittale oscillante tra limiti eccessivamente dilatati (es. pena detentiva da venti giorni a vent'anni), risulterebbe, di conseguenza,sostanzialmente elusivo del principio di riserva di legge, in quanto attributivo di eccessivo potere al giudice, e determinerebbe l'insorgere di problemi di costituzionalità della norma. Se così è, il principio di legalità della pena è veramente rispettato soltanto se lo spazio edittale oscilli entro minimi e massimi ragionevoli, ragionevolezza da rapportare al rango del bene protetto e alla gravità dell'offesa arrecata dal fatto incriminato. La riserva assoluta di legge riguarda sia le pene principali che le pene accessorie e concerne, altresì, gli effetti penali della condanna. Infine, la garanzia della legalità è da intendersi estesa anche alla fase dell'esecuzione della pena. Il principio di tassatività Il principio di tassatività o di sufficiente determinatezza della fattispecie penale, impone al legislatore di formulare la norma penale in modo preciso e univoco, in modo che sia possibile conoscere con precisione il comportamento che è vietato e le conseguenze che ne derivano. Tale principio è fondamentale per garantire la certezza del diritto e per evitare interpretazioni arbitrarie o estensive della legge.sufficiente precisione ciò che è penalmente lecito o vietato, circoscrivendo in limiti ben definiti l'attività interpretativa del giudice e garantendo, così, i cittadini dagli abusi del potere giudiziario. L'assenza di una tale previsione consentirebbe la configurazione dei comportamenti penalmente sanzionati in termini così generici che il principio di legalità risulterebbe rispettato nella forma ma eluso nella sua sostanza. Il principio di tassatività, inoltre, si accompagna al già esaminato principio della frammentarietà, cioè se la tutela penale è tendenzialmente apprestata soltanto contro specifiche forme di aggressione ai beni giuridici, è necessario che il legislatore specifichi con sufficiente precisione i comportamenti che integrano siffatte modalità aggressive. Il principio di irretroattività: limiti temporali di applicabilità della legge penale Il principio di irretroattività stabilisce che la legge penale non può essere applicata a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Questo principio è fondamentale per garantire la certezza del diritto e la tutela dei diritti dei cittadini. La retroattività della legge penale sarebbe infatti contraria al principio di legalità, in quanto consentirebbe di punire un comportamento che al momento della sua commissione non era considerato penalmente illecito. Tuttavia, esistono alcune eccezioni a questo principio. In alcuni casi, la legge penale può essere retroattiva se è più favorevole per l'imputato. Ad esempio, se una legge successiva alla commissione del reato prevede una pena più lieve, questa può essere applicata anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Inoltre, la legge penale può essere applicata retroattivamente se è espressamente previsto dalla legge stessa. Ad esempio, se una legge prevede che determinati reati commessi prima della sua entrata in vigore saranno puniti anche se al momento della loro commissione non erano considerati penalmente illeciti. In conclusione, il principio di irretroattività della legge penale è fondamentale per garantire la certezza del diritto e la tutela dei diritti dei cittadini. Tuttavia, esistono alcune eccezioni a questo principio, che consentono l'applicazione retroattiva della legge penale in determinati casi.irretroattività o del divieto di retroattività della legge penale, facendo divieto di applicare la legge penale a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, tende a garantire i cittadini dagli abusi del potere legislativo. Il principio in esame è previsto, per tutte le leggi, nell'art. 11 delle preleggi il quale sancisce che "La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo", mentre esso trova riconoscimento costituzionale soltanto per la materia penalistica; l'art. 25 Cost. - 2° comma recita infatti: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". A livello di legislazione ordinaria il principio di irretroattività della legge penale trova collocazione nella struttura dell'art. 2 (comma 1°) il quale, stabilendo i criteri di successione delle leggi penali nel tempo, disciplina altresì l'ipotesi della.retroattività di una eventuale norma più favorevole al reo, emanata successivamente (commi 2° e 3°). Analizziamo in dettaglio l'art. 2 c.p.: a) Il 1° comma sancisce che "nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato". Si tratta della c.d. nuova incriminazione alla quale si applica il principio della irretroattività della legge penale, espressamente previsto dall'art. 25 - 2° comma Cost. Per meglio intenderci: se Tizio nell'anno 1995 commette un fatto non previsto dalla legge come reato, egli, oggi, non può essere condannato anche se lo stesso fatto è previsto come reato dalla legislazione attuale. Quanto al tempus commissi delicti, è appena il caso di ricordare che l'opinione dominante ritiene che il momento da prendere in considerazione per la commissione del reato, ai fini della successione di leggi penali nel tempo, sia quello della
condotta (e non del verificarsi dell'evento), in quanto è in tale momento che il soggetto, nella vigenza di una determinata legge, si pone contro il diritto. Il divieto di punire fatti considerati leciti da una legge emanata successivamente alla loro realizzazione consente al cittadino di evitare i rischi, ai quali egli sarebbe continuamente esposto, di arbitrii e persino di rappresaglie da parte dei detentori del potere politico. Da questo punto di vista, il principio di irretroattività si salda con quello di legalità, fondendosi nella formula nullum crimen, nulla poena sine "praevia" lege penali.
Il 2° comma prevede che "nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali". Tale è il fenomeno della c.d. abolitio criminis, cioè dell'abolizione di incriminazioni prima esistenti, nei
Confronti del quale si applica il principio della retroattività della legge favorevole al reo: sarebbe illogico e contraddittorio, infatti, continuare a punire l'autore di un fatto che l'ordinamento non ritiene più antigiuridico. Esemplificando: se Tizio nel 1995 commette un fatto previsto dalla legge come reato e, nell'attesa del giudizio, lo stesso fatto viene depenalizzato, egli non potrà essere più punito. Nel caso poi in cui la depenalizzazione segua alla condanna, di quest'ultima cessano l'esecuzione e gli effetti penali.
Il 3° comma sancendo che "se la legge del tempo, in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile", disciplina la successione di leggi modificative, ove la successione di leggi, anziché creare (1° comma) o abolire (2° comma), modifica incriminazioni precedenti.
Invero la nuova disposizione si applica al reo soltanto nel caso in cui essa risulti favorevole al reo, cioè essa retroagisce al momento della commissione del reato; nel caso contrario continua a vigere il principio di irretroattività.
Una difficoltà che sovente si incontra è di riuscire a discernere se se la legge successiva abroghi quella precedente ex 2° comma, facendo divenire lecito il comportamento prima vietato, oppure la modifichi semplicemente ex 3° comma, continuando a prevedere come reato il comportamento precedente, salva l'applicazione della norma più favorevole. Per risolvere il problema un primo orientamento dottrinale, largamente sostenuto dalla dottrina tedesca, ritiene che ci si trovi in presenza di un fenomeno di successione di leggi modificative, con applicazione della legge più favorevole al reo, ogni qualvolta tra la norma anteriore e quella successiva esista una "continuità del tipo d'illecito".
I parametri per verificare la sussistenza di tale continuità sono costituiti dall'identità del bene protetto e dalle modalità di aggressione dello stesso, onde si verificherebbe la successione quando, nonostante la novazione legislativa, permangono identici gli elementi predetti.
A tale criterio di natura eminentemente sostanziale se ne aggiunge uno più rigoroso, di natura formale, facente leva sull'esistenza o meno di un rapporto di continenza fra la nuova e la vecchia fattispecie: si può parlare di modificazione ogni qualvolta la nuova legge penale è caratterizzata da un'area comune alla precedente normativa, ma con l'aggiunta di elementi che la rendono più specifica, in modo tale che se non fosse esistita la seconda norma, il fatto sarebbe rientrato sicuramente nella prima. Nell'ipotesi contraria, ovvero nel caso in cui una norma di portata più specifica viene sostituita da una fattispecie dal contenuto
Più generale, il fenomeno dellasuccessione di legge penali in senso modificativo si verifica soltanto se la vecchia fattispeciepossiede caratteristiche che risultano inglobate in quella nuova, altrimenti si avrebbe una vera epropria abrogazione. Per intenderci, la nuova fattispecie dell'infanticidio in condizione diabbandono materiale e morale ex art. 578 punisce un comportamento che nulla ha in comune con lavecchia fattispecie dell'infanticidio per causa di onore, per cui, fra le due fattispecie, non si instauraalcun fenomeno successorio-modificativo, bensì trattasi di abrogazione.
Il 4° comma dispone che "se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano ledisposizioni dei capoversi precedenti". In tali casi vige il principio del tempus regit actum, e quindisi applica esclusivamente la disposizione in vigore al tempo in cui è stato commesso il fatto. Laratio di tale norma risiede nella finalità di evitare che la
normativa introdotta per far fronte a esigenze eccezionali o temporanee possa essere elusa attraverso violazioni che rimarrebbero, per effetto del favor rei, impunite. Per esempio: Tizio, commettendo un crimine che secondo la legge temporanea, e