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Il messaggio del Mostro

3º NON AVETE LA MIA VOCE REGISTRATA, PERCHÉ NON HO EFFETTUATO NESSUNA CHIAMATA. QUINDI CHI DICE CHE HO TELEFONATO AL NUMERO VERDE SBAGLIA.

4º LE TELECAMERE NON MI HANNO INQUADRATO DURANTE IL FUNERALE DI SIMONE, PERCHÉ NON CI SONO ANDATO. SIETE QUINDI FUORI STRADA; VI CONSIGLIO DI SBRIGARVI, EVITANDO ALTRE FIGURACCE. NON POLTRITE. 137 MUOVETEVI.

CREDETE CHE BASTI UNA DIVISA E UNA PISTOLA PER ARRESTARMI. USATE IL CERVELLO, SE NE AVETE UNO ANCORA BUONO E NON ATROFIZZATO DAL MANCATO USO.

N.B. PERCHÉ HO DETTO DI SBRIGARVI? PERCHÉ HO DECISO DI COLPIRE DI NUOVO LA PROSSIMA SETTIMANA. VOLETE SAPERNE DI PIU'? VI HO GIA' DETTO TROPPO, ORA TOCCA A VOI EVITARE CHE SUCCEDA. IL MOSTRO.

L'impegno di uccidere ancora nell'arco di una settimana non venne mantenuto. Le indagini di mesi non approdarono a nulla. Unico fatto di qualche significato fu la sottrazione dalla tomba della fotografia del piccolo Simone.

Si giunse così al 7 agosto 1993, quando...

Scomparve da casa, sempre da quelle parti, Lorenzo Paolucci, un ragazzo di tredici anni. Fu Marcella Sebastiani che, verso le 14 e 20 di quel giorno, segnalò al 113 che il proprio nipote tredicenne mancava da casa da tre ore circa. La polizia si mise subito in movimento, tutto il paese, ovviamente in allarme per l'assassino di un anno prima, partì alla ricerca del bambino, vennero organizzate delle squadre di volontari per esplorare i dintorni e a adesso partecipò anche Luigi Chiatti, un geometra di ventitré anni al momento disoccupato, che si trovava in quei giorni nel paese, dove i suoi genitori adottivi avevano una seconda casa per il fine settimana: egli vi si trovava da solo, perché padre e madre erano rimasti a Foligno, dove risiedevano. Chiatti accompagnò il nonno della vittima, Feliciano Sebastiani, alla ricerca del scomparso e si diressero verso il laghetto dove il geometra gli disse di voler controllare se ci fossero tracce di Lorenzo.

Durante il tragitto il serial killer ne approfittò per sbarazzarsi di alcune buste di plastica dove, in seguito, vennero trovati dei vestiti sporchi di sangue e la foto del piccolo Simone, trafugata quattro mesi prima dal cimitero. Il cadavere venne in breve ritrovato, dal nonno della vittima, vicino al ciglio di una strada, da dove evidenti scie di sangue fresco e tracce di trascinamento del corpo conducevano proprio a una finestra dell'abitazione di Chiatti. La polizia fece subito irruzione nella casa: il pavimento del salone sembrava esser stato lavato, ma in maniera grossolana tanto da lasciar intravedere ancora macchie di sangue; tracce ematiche erano presenti anche su un muro, su un davanzale, sul prato prospiciente la casa. Nella cucina venne trovato un secchio di plastica giallo contenente uno strofinaccio ancora umido e uno spazzolone con il manico di legno. Tutto questo venne sequestrato, insieme a un orologio al quarzo, digitale, senza marca, rinvenuto lungo il.

Percorso esterno alla casa segnato dalle tracce. Chiatti venne invitato a seguire gli agenti. Nel momento in cui giunse in caserma, indossava un paio di jeans che presentavano macchie e aloni, probabilmente causati da sangue. Tutti i suoi indumenti vennero sequestrati. Sulla cute si notavano alcuni segni, in particolare sulla schiena, dove erano presenti cinque ferite lineari e parallele. I genitori del piccolo Lorenzo confermarono che l'orologio ritrovato era quello del figlio, dono dello zio Renato per la prima comunione. Il pubblico ministero, con un provvedimento immediatamente notificato all'interessato, avvisò il geometra che si sarebbe proceduto a suo carico per i reati di omicidio a danno di Lorenzo Paolucci e di Simone Allegretti. L'8 agosto 1993, il giorno successivo al ritrovamento del corpo di Lorenzo, Chiatti confessò al magistrato che lo interrogava di essere l'omicida. Nonostante la confessione del serial killer e la risoluzione del caso, molte

furono le critiche alle forze dell'ordine sul modo in cui furono condotte le indagini. In particolar modo, Carmelo Lavorino, direttore della rivista Detective & Crime ed esperto in materia, criticò la mancata collaborazione tra forze dell'ordine e persone coinvolte, in qualche modo, nella faccenda. In primo luogo, Lavorino censurò l'atteggiamento dei genitori di Chiatti che, tenuto conto delle condizioni mentali del figlio, non si erano mai chiesti cosa avesse fatto egli il giorno in cui erano assenti. Poi censurò la mancata collaborazione della psicologa che aveva in cura l'assassino, la quale non avvertì di aver in terapia un soggetto di Foligno nonostante che la polizia avesse fatto sapere di cercare una persona che poteva essere in analisi presso uno psicologo. Infine, la critica fu rivolta alle agenzie di controllo, concentrate inutilmente sulla pista Spilotros nonostante mancasse il requisito della territorialità.

Storia di Luigi Chiatti

Luigi Chiatti è nato il 27 febbraio del 1968 e trascorre i primi anni della sua esistenza in un orfanotrofio di religiose presso Narni, dove lo collocò, il giorno stesso della sua nascita, Marisa Rossi, ragazza madre di ventiquattro anni, cameriera in un ristorante, che non sapeva come mantenerlo. Chiatti non sa chi sia il suo vero padre, la madre lo andò a trovare per qualche tempo, poi diradò le visite e finì con l'acconsentire a che venisse posto in adozione. Luigi, che all'epoca si chiamava Antonio rimarrà nel brefotrofio fino all'età di sei anni, quando, nel 1974, venne adottato da una coppia di anziani coniugi: i Chiatti. Il padre, Ermanno Chiatti, faceva il medico, la madre, Giacoma Ponti, era un ex insegnante elementare, non avevano figli. Il padre non è convinto, almeno all'inizio, di adottare un bambino così grande, ma la madre lo persuade.

Degli anni del brefotrofio Luigi Chiatti...

non vuol parlare, dice di non ricordare niente e dal suo racconto è come se la sua vita fosse incominciata nel momento in cui è entrato nella casa dei genitori adottivi. Il bambino ha iniziato, però, a manifestare già in orfanotrofio un comportamento aggressivo e ribelle, in particolare verso le figure femminili. Risentiva negativamente della mancanza della madre, della carenza affettiva e delle frustrazioni vissute nell'istituto, e si notava già la sua tendenza ad isolarsi. Venne ritenuto utile e urgente il suo inserimento in una nuova famiglia, che avrebbe dovuto dargli la massima disponibilità affettiva. Così, il 24 marzo 1974, Luigi venne affidato ai coniugi Chiatti, e il 13 giugno 1975 venne decretata l'adozione: Antonio Rossi diventa da quel giorno Luigi Chiatti. Della madre naturale dice: "se mi ha messo in un orfanotrofio, l'avrà fatto per il mio bene, per un motivo valido". (112) Divenuto più grande,

Avrebbe voluto sapere qualcosa di lei, andare all'orfanotrofio per raccogliere qualche notizia, ma si trattò solo di un proposito che, di fatto, non fu realizzato.

Il rapporto con i genitori adottivi fu difficile e ambiguo, del resto Chiatti parla di loro senza affetto e in termini critici.

Mio padre è stato un padre assente. Il suo era un mondo tutto legato al lavoro. La cosa che mi faceva più rabbia era che con i pazienti e gli amici scherzava ed era aperto; in casa, invece, il silenzio assoluto, da lui stesso imposto. A pranzo guardava la televisione, poi si chiudeva in studio. La sera guardava la televisione e a metà film si addormentava. Io qualche volta ho provato a parlargli, ma un po' per motivi miei, un po' per come era fatto lui, sta di fatto che non si parlava.

Quindi mi salvavo solo con mia madre, con la quale, almeno agli inizi, potevo parlare. Ma poi è finita anche con lei. Loro erano uniti e concordi, nel senso che non litigavano.

Però la mamma lo rimproverava perché non interveniva nei miei confronti, oppure litigavano per piccole incomprensioni. Ma tutto finiva là, perché lui, quando iniziava una litigata, se ne andava subito nello studio e non diceva una parola. Da piccolo sono stato un bambino difficile, ribelle e capriccioso, anche aggressivo: ma è stata più che altro aggressività verso l'ambiente di casa che poi si è trasformata in astio. Con mio padre c'era un silenzio assoluto, mia madre mi rimproverava e mi sentivo in colpa verso di lei, perché non riuscivo a fare quello che lei mi diceva e, al contempo, non riuscivo a manifestarle affetto perché provavo vergogna. Mio padre, invece, mi evitava sempre. Quando succedeva sentivo odio verso di lui, ma non ho mai pensato, che so, "crepa". Per il cattivo rapporto con i miei genitori mi sono sentito un bambino e poi un ragazzo senza via di uscita: quando accennavo a qualche

Mia questione o lanciavo messaggi, loro mi bloccavano sempre. Io sapevo che soffrivano anche loro, perché io li facevo soffrire; però non mi sono mai ritenuto cattivo. (113)

Chiatti è convinto che il cattivo rapporto con i genitori abbia condizionato non solo l'infanzia e l'adolescenza, ma anche gli anni successivi, tutta la sua vita, dentro e fuori la famiglia: "io da piccolo la chiusura (verso gli altri) non l'avevo, poi è iniziata, prima verso i genitori, poi verso tutto l'ambiente". (114)

Di questo periodo ricorda un episodio, che lui ritiene abbia avuto molta influenza sul suo carattere. Era un giorno di scuola normale, la mia insegnante, che era anche mia amica perché abitava vicino a me, entrò in classe e mi sgridò dicendo che a casa io picchiavo mia nonna. Non ho saputo ribattere e sono rimasto tutto il giorno in silenzio, anche a casa piangevo, non tolleravo che avessero confessato a lei quel mio comportamento.

Da allora ho cominciato a chiudermi, mi sentivo etichettato come il cattivo, ma non ero cattivo. Sentivo come una resistenza ad entrare in quella casa, ce l'avevo con l'ambiente in cui mi trovavo, non con i miei, dicevo parolacce, forse davo dei calci. (115) Chiatti fu dunque un bambino difficile, a casa e a scuola: i genitori, quando aveva dieci anni, lo inviarono da una psicologa, Beatrice Li Donnici, che lo seguì per qualche tempo. Riguardo a questo il "mostro di Foligno" afferma: Con lei l'apertura è sempre stata limitata, per la paura che poi riferisse ai miei genitori. Per questo motivo non mi sono mai aperto con lei; lei conosce solo una parte dei miei problemi, ma non conosce quello vero che è molto più vasto. In me c'era il bisogno di aprirmi, però non lo facevo perché avevo paura che le persone con cui potevo parlare riferissero poi ai genitori i miei problemi. (116) La terapia, quindi, non sembrò sortire effetto.alcun effetto e Luigi rimase chiuso in un mondo tutto suo. Del resto l'ambiente familiare
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Publisher
A.A. 2010-2011
177 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher luca d. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze giuridiche Prof.