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ELITTI SESSUALI IMPIANTO DI PARTE SPECIALE E PLURIVOCITÀ DELL INTERVENTO PENALE

4.1. I delitti sessuali e le ‘gerarchie’ del codice penale. La riserva di codice.

Con la riforma di cui alla l. n. 66/1996 i delitti in materia sessuale (artt. 609-bis ss. c.p.)

sono stati collocati, secondo una ridefinizione complessiva dei loro contenuti, nel titolo XII

del libro II c.p. (delitti contro la persona) e segnatamente nella sezione II (delitti contro la libertà

personale) del capo I (delitti contro la libertà individuale), posto che il codice Rocco li aveva

previsti al capo primo (costituito dagli artt. 519-526 c.p., abrogati), nel precedente titolo IX

(delitti contro la moralità pubblica e il buon costume.

Ciò offre l’opportunità per porre in evidenza come l’impianto di parte speciale del

tuttora vigente codice Rocco, che risale come ben si sa al 1930, privilegi nel libro II, relativo

ai delitti (mentre il terzo inerisce alle contravvenzioni), la tutela di interessi pubblici, nel

quadro di un’enfatizzazione del ruolo dello Stato rispetto a quello della persona tale per cui

sono stati ricompresi nell’ambito di tutela dei suddetti interessi anche illeciti, come i delitti

in materia sessuale, palesemente incidenti sui diritti individuali.

Simile visione propria del codice Rocco emerge, peraltro, anche attraverso le scelte di

precedenza in esso operate tra i vari titoli del libro II, per cui i delitti contro la persona si

trovano situati al penultimo posto, seguiti soltanto dai delitti contro il patrimonio (previsti

al titolo XIII): il che ha pur sempre un peso non trascurabile sul piano della funzione di

orientamento comportamentale riconducibile ai precetti penali.

L’orientamento, nelle loro rubriche, dei suddetti titoli alla protezione di interessi dello

Stato, o comunque di carattere pubblico, impone peraltro una rilettura in senso garantistico

dei beni tutelati dal codice, alla luce della Costituzione: tenendo conto del fatto che

quest’ultima, nel momento in cui dà rilievo a beni giuridici di rilievo generale suscettibili di

tutela (anche) penale, lo fa sempre in funzione della salvaguardia, immediata o meno

immediata, dei diritti umani fondamentali o, comunque, di interessi individuali. Per cui, ad

esempio, i delitti contro la pubblica amministrazione (titolo II) non devono intendersi come

volti alla tutela in sé di un’entità astratta e superindividuale (lo Stato, i pubblici poteri), quasi

che essa venga ad assumere una configurazione antropomorfa di cui potrebbe intendersi

leso il mero prestigio, ma devono essere riferiti alla sola tutela dell’interesse di ciascun

cittadino all’efficienza e all’imparzialità della pubblica amministrazione, secondo quanto

afferma l’art. 97, co. 2, Cost.

Deve altresì constatarsi la non ricomprensione nel codice penale di numerosissimi reati

e, in particolare, dell’intero settore riguardante i capitoli classici – societario, bancario, dei

mercati finanziari, della crisi d’impresa (già fallimentare), del lavoro, tributario, ecc. –

afferenti al diritto penale dell’economia (v. infra).

4.1.1. Il principio della riserva di codice.

Proprio a quest’ultimo proposito va considerata l’introduzione nel codice penale (art.

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3-bis), con d.lgs. n. 21/2018, del principio della riserva di codice, secondo il quale «nuove

disposizioni che prevedono reati possano essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il

codice penale o sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia» cui quei reati

si riferiscano.

Con ciò si vorrebbe che la materia penale non risulti dispersa in un gran numero di leggi

e si renda più adeguatamente riconoscibile, anche in considerazione del principio di cui

all’art. 5 c.p.

Si tratta, tuttavia, di una norma meramente programmatica, risultando derogabile da

qualsiasi legge, posto che lo stesso codice penale non ha carattere sovraordinato, ma ha il

valore di una legge ordinaria.

Si rammenti, in ogni caso, che le norme di parte generale, di cui al libro I del codice

penale, si applicano a tutte le fattispecie penali, anche se non ricomprese nel codice penale,

salvo diversa disposizione (art. 16 c.p.).

4.2. La definizione della violenza sessuale e i problemi inerenti alla sua scarsa

determinatezza.

Con la segnalata riforma del 1996 si sono assai discutibilmente ricondotte a un’unica

fattispecie, espressa dall’art. 609-bis, co. 1, c.p., e dunque a un unico ambito della pena

edittale (detenzione da sei a dodici anni: v. infra), la condotta di violenza carnale e quella

relativa ad atti di libidine violenti, rispettivamente punite in precedenza dagli abrogati artt.

519 e 521 c.p.: risultando caratterizzata la prima, a differenza della seconda, dalla

congiunzione carnale (vale a dire dalla c.d. penetrazione di cui ai testi normativi

sovranazionali).

In questo senso la condotta unitaria rilevante è oggi incentrata sul concetto oltremodo

generico del costringimento a fare o subire atti sessuali, locuzione quest’ultima oltremodo

generica soprattutto con riguardo alla soglia inferiore degli atti rilevanti (si pensi, per

esempio, alle forme del bacio o delle carezze), con evidenti criticità in merito al rispetto del

principio di legalità sotto il profilo della determinatezza. Un problema tanto maggiore ove

si consideri il livello elevatissimo della pena edittale minima, solo in parte ridimensionato

dall’applicabilità dell’attenuante di cui al terzo comma (v. infra).

A ciò si aggiungono le particolari difficoltà di accertamento che caratterizzano il

suddetto delitto: si parla in proposito di un reato frequentemente inframurario, e dunque

posto in essere senza testimoni, nonché tale che spesso non lascia tracce oggettivamente

riscontrabili. Dovendosi altresì osservare che si tratta di un delitto che può prestarsi, talora,

a denunce strumentali.

La gravità dei comportamenti di violenza sessuale, tuttavia, non può costituire un

motivo per accettare carenze circa il rispetto del principio di legalità o circa il rigore dei

riscontri probabatòri.

Considerazione, quest’ultima, la quale offre l’occasione per ricordare che ai fini di una

condanna penale deve realizzarsi un livello probatorio, circa i diversi elementi da cui

dipende l’esistenza del reato, oltre ogni ragionevole dubbio (art. 533, co. 1, c.p.p.): non si

può mai correre il rischio di condannare un innocente, e ciò anche a costo del rischio di

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assolvere un colpevole.

Proprio per arginare i rischi connessi alle problematicità probatorie appena evidenziate,

e sebbene l’intento della norma possa essere riconosciuto in quello di evitare ogni costrizione

nell’ambito sessuale (vale a dire qualsiasi coinvolgimento di una persona in atti di rilievo

sessuale compiuti senza il suo consenso liberamente prestato), l’art. 609-bis, co. 1, c.p.,

arricchisce gli elementi della condotta rispetto al mero costringimento, richiedendo che

quest’ultimo si realizzi «con violenza, minaccia o abuso di autorità» (come già, per quanto

concerne i primi due elementi, l’abrogato art. 519, co. 1, c.p.).

La costrizione, in altre parole, dev’essersi realizzata, e richiede di essere attestata,

attraverso una di tali modalità. Ma se le nozioni di minaccia e di abuso dell’autorità, almeno

sul piano concettuale, sono abbastanza chiare (la minaccia implica il far emergere, in caso

di rifiuto dell’attività sessuale, la prospettiva concreta di un danno ingiusto, l’abuso implica

che il sussistere oggettivo di un rapporto di autorità tra un soggetto e l’altro, il che non è da

solo sufficiente a provare la violenza, sia utilizzato dal soggetto che si trova in una posizione

privilegiata per ottenere dall’altro l’adesione all’attività sessuale: così che, dunque, i confini

rispetto alla minaccia si rendono sfumati), problemi maggiori si pongono con riguardo alla

violenza.

Il codice pensava, originariamente, a una violenza fisica, tale da contrapporsi alla

minaccia. Nel senso per cui l’attività sessuale, per configurarsi come violenza sessuale, debba

essersi realizzata attraverso una previa o contestuale violenza costrittiva sul corpo della

vittima. Tuttavia il concetto di violenza è stato sovente inteso, negli ultimi decenni, anche

come violenza psichica, ritenendo che l’autodeterminazione della vittima possa essere stata

violata pure attraverso modalità di pressione psicologica: con un inevitabile affidamento al

giudice (assai delicato sul piano della determinatezza) del compito di individuare il confine

rilevante fra modalità relazionali lecite e illecite. Deve riconoscersi, peraltro, che in questo

senso la portata delimitativa perseguita dal codice penale, e confermata anche attraverso la

riforma del 1996, del concetto di violenza rispetto a quello di costrizione tende ad annullarsi

(non senza la possibilità di effetti, in pratica, dilatativi rispetto al concetto stesso di

costrizione).

Si noti che l’art. 609-bis, co. 2, c.p. sostituisce al rilievo della costrizione quello della

induzione quando uno dei due soggetti si trovi in condizioni di vulnerabilità: richiedendosi

in tal caso (n. 1) che l’induzione avvenga «abusando delle condizioni di inferiorità fisica o

psichica della persona offesa al momento del fatto» (al che si aggiunge l’ipotesi, prevista dal n. 2,

dell’inganno attraverso sostituzione di persona, che sarebbe del tutto indebito estendere,

come ha sostenuto un indirizzo del tutto minoritario, all’inganno realizzato attraverso la

rappresentazione di proprie attribuzioni o qualità inesistenti).

Il delitto, ai sensi dell’art. 609-septies c.p. e fatte salve le eccezioni di cui al co. 2, è

perseguibile a querela, che può essere presentata entro il termine di dodici mesi e non è

revocabile.

4.3. La violenza sessuale aggravata e gli atti sessuali posti in essere con un consenso invalido.

L’art. 609-ter c.p. (come più volte modificato) ricomprende le ipotesi di violenza sessuale

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aggravata, per le quali è previsto l’aumento della pena di un terzo. Anche tale delitto, ai

sensi dell’art. 609-septies c.p. e fatte salve le eccezioni di cui al co. 2, è perseguibile a querela,

che può essere presentata entro il termine di dodici mesi e non è revocabile.

L’ipotesi aggravante di maggior rilievo sistematico è quella riferita a una persona offesa

infradiciottenne e, pertanto, minore d’età (co. 1, n. 5): aggravante che prima della modifica

intervenuta con l. n. 69/2019 era riferita alla sola persona offesa infraquattordicenne, caso

rispetto al quale la medesima legge ha previsto che la pena sia aumenta

Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
125 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovanni1989 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica "Giustino Fortunato" di Benevento o del prof Oliva Nadia.