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Dal punto di vista terminologico, procedimento penale e processo penale non sono due
espressioni tra loro equivalenti: tra questi due concetti vi è un rapporto genere-specie. Il
processo penale è una fase del procedimento penale; in particolare il processo penale è quella
fase del procedimento penale che si svolge in contraddittorio tra le parti davanti a un giudice
terzo e imparziale, chiamato a giudicare sul merito dell’accusa, cioè chiamato a stabilire se il
fatto portato alla sua attenzione, è un fatto tipico, antigiuridico, colpevole e punibile.
Il procedimento penale inizia con la cd notizia di reato.
La notizia di reato è ciò che segna, quando l’autorità giudiziaria ne viene a conoscenza,
l’avvio del procedimento penale.
L’autorità ne può venire a conoscenza mediante vari canali che il nostro ordinamento mette a
disposizione. Tra i più importanti abbiamo:
- Denuncia: è il principale canale con il quale ciascun cittadino può portare
all’attenzione delle autorità giudiziarie, una notizia di reato. Solitamente viene fatta per
iscritto e consegnata al tribunale, il quale le manda alla Procura della Repubblica,
oppure possono essere presentate oralmente presso gli uffici che, sul territorio,
raccolgono le denunce, nell’ambito della cd polizia giudiziaria, cioè quell’attività di
contrasto alla commissione dei reati, svolta accanto all’autorità giudiziaria.
- Referto: il referto è quel mezzo di segnalazione al quale sono chiamati taluni pubblici
ufficiali che vengono a conoscenza di reati nell’ambito dello svolgimento della loro
attività (medici: Tizia si presenta al pronto soccorso lamentando di essere inciampata
in cucina e di avere urtato la testa contro un mobile; il medico si rende conto che reca
altre lesioni incompatibili con quell’evento derivanti da un abuso. Il medico con un
referto deve evidenziare questa situazione se crede che sia stato commesso un reato
contro la signora).
- Iniziativa d’ufficio del Pubblico ministero: il PM, cioè il magistrato che nel processo
penale rappresenta l’accusa, rappresenta la collettività; il magistrato può investigare
su una notizia di reato anche d’ufficio, senza ricevere una denuncia o un referto, ma
venendo a conoscenza diretta e in prima persona. Esempio: il PM torna a casa la sera,
accende la tv e vede un programma che fa riferimento a Tizio che, spacciandosi per
medico, si fa dare denari non dovuti dalle persone e con la scusa della manipolazione,
tiene dei comportamenti di violenza sessuale. Il PM nota che tale reato ricade nella
competenza della sua procura: può iscrivere d’ufficio un fascicolo per quella notizia di
reato.
Non bisogna confondere il concetto di denuncia con la querela.
La querela è tecnicamente una condizione di procedibilità: non riguarda il fatto ma la
possibilità di iscrivere un procedimento che abbia a oggetto quel fatto.
In particolare esistono una serie di reati nei quali il legislatore ha ritenuto che fosse più giusto
affidare a un soggetto privato, cioè la persona offesa dal reato, la scelta circa l’avvio o meno di
un’investigazione penale. In difetto di questa dichiarazione di volontà, che si chiama appunto
querela, il pubblico ministero non può procedere, anche se viene a conoscenza della notizia di
reato. Le ragioni alla base della scelta della procedibilità d’ufficio o a querela, sono ragioni che
è difficile descrivere in modo univoco perché possono essere diverse.
Ad esempio, la truffa è un reato procedibile a querela. Se il truffato non ha la volontà di
avviare l’investigazione, allora l’ordinamento non procede. La violenza sessuale è anche un
reato procedibile a querela: la ragione in questo caso è diversa. Si vuole assicurare alla vittima
di un fatto così odioso, la possibilità di sottrarsi a una seconda possibile vittimizzazione che è
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quella che si verifica in sede processuale dove si deve verificare se quanto raccontato dalla
persona offesa sia credibile; racconti che la persona offesa potrebbe non aver voglia di
ripetere.
La querela non è altro che una dichiarazione di volontà, affidata alla persona offesa del reato,
con la quale quest’ultima indica all’autorità giudiziaria la sua volontà che si proceda, nei
confronti del responsabili, di quel fatto di reato procedibili a querela.
Il termine ordinario della querela è pari a 3 mesi: se entro tre mesi non si propone querela, il
fatto diventa definitivamente improcedibile; ciò è stato previsto anche per evitare che la
scelta se querelare o meno diventi un’arma di ricatto nei confronti delle persone. Il termine di
tre mesi può essere prorogato fino a 6 mesi in particolari situazioni come le violenze sessuali.
La querela è rimettibile da chi l’ha proposta, può essere cioè ritirata e rende improcedibile la
notizia di reato. In alcuni casi è però previsto che, una volta fatta querela, questa non sia più
rimettibile.
Quando perviene una certa notizia di reato, il PM iscrive un procedimento penale: a quella
notizia di reato assegna un numero di Registro Generale delle Notizie di Reato (RGNR)
tenuto presso ogni procura; in particolare il 01/01 di ogni anno il PM di turno, iscrive la prima
notizia di reato che gli perviene nel RGNR. Il PM ha l’obbligo di inscrivere la notizia di reato
(non può rifiutarsi di iscriverne una) perché nel nostro esercizio, l’azione penale è
obbligatoria: non ci deve essere una discrezionalità del PM.
A questo punto, con l’iscrizione, inizia la fase delle indagini preliminari, chiamate così
perché vengono prima del processo: non è detto che comunque il processo ci sia. Le attività
d’indagine preliminare possono convincere il PM che quel fatto non sia tipico, antigiuridico,
colpevole e punibile. In questi casi il PM non chiederà la celebrazione del processo ma
l’archiviazione del caso.
Le notizie di reato possono essere raccolte dal PM già sufficientemente dettagliate, oppure
ancora bisognose di dettagli e precisazioni. Esempio: se, uscendo dall’università, ho visto tizio
che armeggiava accanto al mio scooter e forzando il motorino è riuscito ad accenderlo e a
portalo via. Nel presentare la denuncia al commissariato, fornisco anche gli estremi
dell’identità del soggetto che ha commesso il furto. Il PM iscrive non solo la notizia di reato ma
anche il nome del soggetto accusato di aver commesso al reato. A Tizio verrà
provvisoriamente addebitato un certo fatto specifico. Se un negoziante viene derubato da due
soggetti incappucciati, si tratterà di una notizia di reato che il PM iscriverà “contro ignoti”:
l’attività investigativa sarà volta ad identificare i soggetti che hanno rubato.
Il PM deve quindi svolgere in prima persona o tramite la polizia, quelle attività investigative
volte ad accertare che la notizia di reato sia fondata o meno.
Tale attività può passare attraverso l’audizione di persone informate sui fatti. Es: incidente
stradale con morte di un soggetto: il PM deve ascoltare cos’hanno da dire coloro che hanno
assistito all’incidente, in qualità di persone informate sui fatti.
Queste notizie e dichiarazioni devono essere riportate nel fascicolo delle indagini preliminari
del PM. Fino a questo momento il PM si muove in perfetta autonomia.
Può darsi che la tipologia di reato per la quale il PM è chiamato a indagare, richieda la messa
in campo di attività investigative più incisive.
Se ad esempio il PM deve effettuare delle intercettazioni, non può farlo in modo autonomo
perché altrimenti si scontrerebbe con alcuni diritti propri del cittadini come quello della
riservatezza delle comunicazioni il quale non è intangibile ma può essere compromesso solo
da certe garanzie, come la valutazione di queste comunicazioni da parte del giudice.
Il PM, per agire, deve ricevere l’autorizzazione da parte del Giudice per le indagini
preliminari (GIP): il GIP autorizza queste attività solo per un certo lasso di tempo; questi
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strumenti non possono essere utilizzati per tutti i reati ma solo per quelli più gravi (ad
esempio le intercettazioni non sono consentite per il furto).
Il GIP non è chiamato in causa solo durante questa fase, e quindi per autorizzare le
intercettazioni e perquisizioni (mezzi per la ricerca delle prove) ma spesso è chiamato in
causa anche per un’altra attività, cioè l’applicazione di misure cautelari; il PM può
richiedere al GIP, sempre in relazione a certi reati di grave entità, misure restrittive della
libertà del cittadino, che possono riassumere vari coefficienti di afflittività: si va da misure
come ad esempio il divieto o obbligo di soggiorno in comune a misure più afflittive come gli
arresti domiciliari e la custodia cautelare in carcere. In una scala di afflittività basata sulla
necessarietà della misura: il giudice può ordinare la custodia cautelare solo se reputa
insufficiente la misura cautelare degli arresti domiciliari ecc..
Queste misure sono adottate in pendenza di un procedimento penale: nessuno si è ancora
pronunciato sull’effettiva responsabilità del soggetto e quindi nessuno ha stabilito se
l’imputato ha realizzato un fatto tipico, antigiuridico, colpevole e punibile.
L’imputato non può essere considerato colpevole sino alla sentenza definitiva di condanna
(Art 27 costituzione: presunzione di innocenza). Il soggetto si vede privato di alcuni suoi
diritti senza che ancora sia stato condannato.
Le misure cautelari possono essere richieste solo per reati rilevanti; la decisione non spetta al
PM (che può solo chiederle) ma al GIP. La decisione del GIP è subordinata alla presenza di
alcuni presupposti:
- gravi indizi di colpevolezza;
- presenza di almeno una delle cd esigenze cautelari:
• pericolo di reiterazione del reato (se non intervengo a privare tizio della libertà
di movimento, è possibile che questo commetta ancora il reato);
• pericolo di fuga (ho ragione di ritenere che se non limito la libertà di
movimento di tizio, questo potrà sottrarsi alle autorità giudiziarie);
• pericolo di inquinamento delle prove (se lo lascio libero di svolgere i propri
affari, tizio potrà alterare il quadro delle evidenze che potrebbero essere
raccolte durante le indagini).
In mancanza di uno di questi presupposti il cittadino affronta l’investigazione penale in stato
di libertà, fino alla sentenza definitiva: senza almeno uno di ess