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Nel 2002 viene superata questa visione del reato: la pena per questo reato viene ridotta (diventa una contrav-
venzione) e viene ristretta la rilevanza penale delle comunicazioni sociali.
La versione del 2002 e quella del 2005 differiscono solo in alcuni dettagli, di conseguenza in seguito verrà
inserito l’art. scaturito dalla riforma del 2005 con le evidenziazioni in rosso delle modifiche operate rispetto
alla riforma del 2002:
1. Salvo quanto previsto dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla
redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingan-
nare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle
relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono
fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettono informazioni,
la cui comunicazione è imposta dalla legge, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della
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società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla
predetta situazione, sono puniti con l’arresto fino a due anni (fino ad una anno e sei mesi).
2. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardano beni posseduti o amministrati
dalla società per conto di terzi.
3. La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione
della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appar-
tiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del
risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del pa-
trimonio netto non superiore all’1%.
4. In ogni caso, il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente con-
siderate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta.
5. Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione
amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e
delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore,
direttore generale, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni
altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa.
In questa norma sono presenti più fattispecie che integrano la tipicità. È previsto il dolo intenzionale (“con
l’intenzione di ingannare i soci”) e il dolo specifico (“al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto pro-
fitto”).
Ai commi 3° e 4° sono previste soglie quantitative di rilevanza del falso: sotto queste soglie è esclusa la puni-
bilità del fatto tipico e antigiuridico. Queste soglie hanno reso la norma di difficile applicazione e soprattutto
sembrano concedere spazi di manovra legittimi alla falsificazione del bilancio.
Inoltre, la riforma del 2005 ha previsto un ulteriore 5° comma in cui erano previste delle sanzioni amministra-
tive pecuniarie e delle sanzioni interdittive nei confronti di quei soggetti che commettevano il reato di falso
ma che non venivano puniti a norma del 1° in quanto rientranti nelle soglie previste dai commi 3° e 4°. Le
sanzioni previste dal questo comma aggiuntivo risulta però totalmente inapplicabili per due ragioni fondamen-
tali:
1) Le quote non sono convertibili in denaro (esiste un sistema di quote che fa riferimento alla sanzione pecu-
niaria nei confronti degli enti, ma che ovviamente non è applicabile se i soggetti che commettono il reato
sono persone fisiche)
2) Non è possibile individuare l’autorità competente per l’applicazione della sanzione interdittiva
Analizziamo ora l’art. 2621 c.c. come risultante dall’ultima riforma del 2015 ad opera della L.69/2015. L’og-
getto di tutela rappresenta uno dei profili che hanno subito un profondo mutamento rispetto alle norme prece-
dentemente vigenti. Attualmente, l’interesse tutelato da entrambe le norme è di natura istituzionale e si incentra
sulla tutela dell’informazione societaria. Il legislatore ha previsto tali norme affinché l’informazione societaria
sia trasparente, completa e veridica. Deve rilevarsi però che la configurazione quali reati di pericolo concreto
colora la tutale dell’informazione in chiave funzionale, quindi mirata a proteggere gli interessi patrimoniali dei
soci, dei creditori e del pubblico.
I reati di falso in bilancio sono reati propri, cioè che possono essere commessi solo da chi riveste una deter-
minata qualifica giuridica. La riforma del 2015 non ha mutato l’ambito dei soggettivi attivi che sono: gli am-
ministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci
e i liquidatori, mentre sarebbe stato senz’altro più opportuno che il legislatore tenesse conto delle nuove forme
degli organi gestionali e di controllo. Tra l’altro l’art. 2621 prevede erroneamente la figura del dirigente pre-
posto alla redazione dei documenti contabili societari, figura introdotta nel 2005, ma riservata alle società
quotate emittenti strumenti finanziari. Il novero dei soggetti attivi non si limita soltanto a quelli elencati nell’in-
cipit delle rispettive norme. In virtù dell’art. 2639, 1° comma, c.c. rientrano tra i soggetti attivi sia coloro che
esercitano in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, pur in
assenza di una nomina ufficiale, sia quei soggetti che sono tenuti a svolgere le stesse funzioni dei soggetti
richiamati.
Pur trattandosi di un reato proprio, anche il reato di false comunicazioni sociali può essere realizzato anche da
un extraneus in concorso con un soggetto qualificato.
I reati di false comunicazioni sociali previsti dagli artt. 2621 e 2622 c.c. rientrano nell’ambito di quegli illeciti
penali che possono dar vita, in forza dell’art. 25-ter D.lgs. 231/2001, a una responsabilità amministrativa degli
enti. 26
Il fatto tipico è strutturato secondo il paradigma del falso ideologico in scrittura privata. Deve però rilevarsi
che il fatto descritto dagli artt. 2621 e 2622 c.c. attualmente vigenti ha assunto una struttura molto più snella,
essendo state eliminate le famigerate soglie di rilevanza in termini quantitativi. La condotta si articola in due
modalità:
- Esporre fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero
- Omettere fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge.
Affinché le predette modalità si realizzino sono necessari alcuni mezzi, che il legislatore individua nei bilanci,
nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali diretta ai soci o al pubblico.
I bilanci rappresentano nel tempo stesso il principale veicolo di propalazione del falso e la condotta più peri-
colosa; il bilancio possiede una duplice finalità: la prima è quella di fissare la misura del reddito da distribuire
ai soci; la seconda è quella di rispondere a un bisogno di informazione sulla situazione patrimoniale, finanziaria
ed economica dell’impresa. Costituisce lo strumento base per ogni necessaria riflessione sulle convenienze di
sviluppare o conservare o chiudere l’impresa, sia per i terzi che per il mercato. Poiché il bilancio non possiede
valenza univoca, compito del penalista è quello di stabilire quali tra i diversi tipi di bilancio possano essere
ricondotti alla formula normativa utilizzata dal legislatore. Nel termine bilanci è ricompreso il bilancio d’eser-
cizio, in tutti gli elementi che lo compongono: è sufficiente la falsità di uno solo di tali elementi per configurare
il reato di false comunicazioni sociali. Vi sono poi i bilanci straordinari, che devono anch’essi ricomprendersi
nell’espressione “bilanci” utilizzata dalle norme incriminatrici. Il problema più delicato concerne il bilancio
consolidato che è lo strumento attraverso il quale viene offerta un’informativa completa di un soggetto econo-
mico (gruppo) che è strutturato in società separate. La falsità del bilancio consolidato è sussumibile allo schema
degli artt. 2621 e 2622 c.c., ma si pone il problema della ripartizione delle responsabilità nell’ipotesi di falsità
del bilancio consolidato. Nulla quaestio se la falsità è posta in essere autonomamente, da parte degli ammini-
stratori o dai membri del consiglio di sorveglianza della società capogruppo (c.d. falsità originaria): in tal
caso, saranno chiamati a rispondere soltanto gli amministratori della holding. Diversa è la situazione che si
verifica allorché il bilancio consolidato è falso in quanto sono falsi i dati trasmessi da una delle società del
gruppo (c.d. falsità derivata). In questa situazione, si realizza l’uso inconsapevole di dati falsi da parte dell’am-
ministratore della controllante: da ciò non può scaturire una responsabilità penale nei confronti dello stesso,
che si sostanzierebbe in una mera responsabilità da posizione. Autore della falsificazione del bilancio conso-
lidato dovrà essere l’amministratore della società controllata che in virtù dell’art. 48 c.p. (Errore determinato
dall’altrui inganno), risponderà del falso in bilancio consolidato. Di tale reato dovrà rispondere anche l’ammi-
nistratore della capogruppo, allorché questi era consapevole dell’alterazione del bilancio della controllata. Nes-
suna rilevanza assume ai fini penali il c.d. bilancio tipo, consistente in un mero prospetto contabile, non pre-
visto da alcuna disposizione legislativa, utilizzato come una sorta di bilancio di previsione.
Le relazioni sono rapporti informativi che provengono da soggetti qualificati dall’interno della società; hanno
forma scritta e la legge li prevede come obbligatori in certi momenti.
Le altre comunicazioni sociali rappresentano il più controverso dei veicoli di trasmissione del falso, perché
mentre la disciplina dell’originario art. 2621 c.c. si riferiva genericamente alle “altre comunicazioni sociali”,
l’attuale disciplina utilizza l’espressione “comunicazioni sociali dirette ai soci e al pubblico”, prevedendo che,
solo per l’art. 2621 c.c., dette comunicazioni siano “previste dalla legge”. Tutto ruota attorno al concetto di
comunicazione sociale che, ai fini dell’art. 2621 c.c., deve essere tipica e diretta ai soci e al pubblico. La