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DELITTO TENTATO

LA CONSUMAZIONE DEL REATO

CASO 39: un ladro, intenzionato a sottrarre tutta una serie di oggetti, riesce ad asportarne soltanto alcuni per

cause indipendenti dalla sua volontà: furto consumato o tentato?

---------

Vi è reato consumato tutte le volte in cui il fatto concreto corrisponde interamente al modello legale

delineato dalla norma incriminatrice in questione. Nell’ambito dei reati di mera condotta la

consumazione coinciderà con la compiuta realizzazione della condotta vietata.

Nei reati di evento la consumazione presuppone oltre al compimento dell’azione, anche la

produzione dell’evento: nel caso paradigmatico dell’omicidio, la completa integrazione della

fattispecie legale si avrà soltanto nel momento in cui si verifica la morte di un uomo. La

determinazione del momento consumativo del reato assume rilevanza sotto diversi profili e:

a) In ordine all’individuazione della norma da applicare nel caso di successione di leggi penali nel

tempo. 18

b) Rispetto all’inizio della decorrenza del termine di prescrizione.

c) Ai fini dell’amnistia e dell’indulto, di solito concessi limitatamente ai fatti commessi fino al

giorno precedente la data della legge.

d) Ai fini della competenza territoriale.

e) Per l’applicazione della legge penale italiana rispetto alla legge penale straniera.

Il concetto di consumazione funge da imprescindibile termine di riferimento rispetto alla distinta e autonoma

figura del tentativo. Il CASO 39 esemplifica il problema della distinzione tra delitto consumato e delitto

tentato: sembrerebbe ricorrere un’ipotesi di furto non ancora consumato, perché il ladro interrompe l’azione

prima di impossessarsi di tutti gli oggetti presi di mira. Questo scarto tra realizzato e programmato è del tutto

irrilevante dal momento che, ai fini della consumazione del delitto di furto, è sufficiente che l’agente si

impossessi ance di un solo oggetto.

DELITTO TENTATO

CASO 40. Una domestica, figlia di un contadino, in occasione della visita settimanale al genitore verso il

quale nutre rancore, versa nella botte di vino dosi letali di fosforo per provocarne la morte. Il contadino ne

ingerisce alcuni sorsi ma si accorgere del colore torbido del vino e provvede a travasarlo. Egli accuserà

soltanto dolori allo stomaco.

CASO 41. Un venditore ambulante detiene all’interno di un’auto scatole destinate ad essere smerciate e

contenenti in apparenza sigarette, ma in realtà riempite con patate.

CASO 42. Un gruppo di malviventi si apposta nelle immediate vicinanze di una banca con pistole cariche,

calze per mascherarsi, sacchi per la refurtiva. Dopo aver parcheggiato le automobili in posizione tale da

facilitarne la fuga e tenendovi a bordo targhe di immatricolazione diverse da quelle proprie.

-------

Ricorre la figura del delitto tentato o tentativo nei casi in cui l’agente non riesce a portare a compimento il

delitto programmato, ma gli atti parzialmente realizzati sono tali da esteriorizzare l’intenzione criminosa. Il

fondamento politico-criminale della punibilità del tentativo è costituito dall’esigenza di prevenire

l’esposizione a pericolo dei beni giuridicamente protetti (teoria c.d. oggettiva). Nell’ambito del diritto penale

sono prive di legittimità sia le teorie soggettive che quelle miste.

19

La teoria oggettiva si collega in modo più coerente con i presupposti di un diritto penale del fatto. Il tentativo

è un delitto perfetto perché presenta tutti gli elementi necessari per l’esistenza di un reato: il fatto tipico,

l’antiguridicità e la colpevolezza. Sul piano normativo, il delitto tentato costituisce un titolo autonomo di

reato, caratterizzato da un profilo offensivo ad esso proprio,pur conservando lo stesso nomen juris della

figura delittuosa cui di volta in volta si riferisce.

La configurazione del tentativo come illecito autonomo nasce dall’incontro o combinazione di due norme: la

norma incriminatrice di parte speciale, che eleva a reato un determinato fatto e l’art. 56 che, disciplinando i

requisiti del tentativo punibile, svolge una funzione estensiva della punibilità perché consente di reprimere

penalmente fatti che non pervengono alla soglia della consumazione.

L’INIZIO DELL’ATTIVITA’ PUNIBILE

Per risolvere il problema della distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi, sono stati proposti diversi

criteri.

1) Il primo criterio, di Francesco Carrara, definisce preparatori tutti gli atti che, anche se idonei rispetto

alla commissione del reato, sono contrassegnati da una perdurante equivocità: sono esecutivi gli atti

univoci.

2) Il secondo criterio, sempre di Carrara in una diversa fase, considera preparatori tutti gli atti che

rimangono nella sfera personale del soggetto attivo ; esecutivi quelli che riescono ad invadere la

sfera personale del soggetto passivo.

3) Il terzo criterio dell’azione tipica è evoluzione della scienza penalistica. Esso qualifica esecutivi solo

e soltanto gli atti che danno inizio all’esecuzione della condotta descritta dalla fattispecie di parte

speciale. La teoria finisce con il restringere troppo l’ambito della punibilità del tentativo, mentre con

riferimento ai reati causali non è agevole individuare quando ha inizio l’azione tipica.

Nel disciplinare gli elementi costitutivi del delitto tentato, l’art. 56 dispone. “chi compie atti idonei, diretti in

modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento

non si verifica”. 20

IDONEITA’ DEGLI ATTI

Secondo l’art. 56 co. 1 si ha tentativo se l’azione non si compie o se l’evento non si verifica. Riguardo al

requisito dell’idoneità, questo ha natura oggettiva. Il parametro di accertamento dell’idoneità consiste in un

giudizio ex ante e in concreto (criterio della c.d. prognosi postuma): il giudice collocandosi idealmente nella

stessa posizione dell’agente all’inizio dell’attività criminosa, deve accertare se gli atti erano in grado, tenuto

conto delle concrete circostanze del caso, di sfociare nella commissione del reato.

Il nome “prognosi postuma” indica che il giudizio prognostico viene effettuato sì dopo la commissione degli

atti di tentativo, ma ponendosi con la mente nel momento iniziale dell’attività delittuosa; soltanto questa

prognosi a posteriori consente di accertare se l’agente sia in possesso di conoscenze ulteriori rispetto a

quelle proprie dell’uomo medio. Il giudizio di idoneità è a base parziale in quanto tiene conto soltanto delle

circostanze conosciute o conoscibili, al momento dell’azione, da un uomo avveduto pensato al posto

dell’agente concreto; mentre esso non tiene conto delle circostanze eccezionali oggettivamente presenti sin

dall’inizio, ma conosciute dopo.

Non sussiste unitarietà di vedute circa il grado o livello di idoneità necessario ai fini della configurazione del

tentativo punibile. Le posizioni si differenziano in ragione della diversa misura di idoneità richiesta. Per

giungere alla soluzione più corretta occorre spostare l’ottica altrove ovvero riportare il discorso sul piano

delle considerazioni teleologiche: richiamare il fondamento della punibilità del tentativo.

Se tale fondamento va ravvisato nell’esigenza di impedire la messa in pericolo del bene giuridico, coerenza

allora impone di escludere che il grado di sufficienza dell’idoneità coincida con la semplice “non

impossibilità” di consumazione del fatto delittuoso.

Un ipotesi di tentato omicidio è quella del caso 40: ai fini dell’accertamento dell’idoneità del tentato

avvelenamento è quasi superfluo accertare che il propinare dosi letali di zinco è un mezzo idoneo a cagioare

la morte con una probabilità vicina alla certezza.

UNIVOCITA’ DEGLI ATTI

Secondo la concezione c.d. soggettiva, il requisito dell’univocità fa riferimento ad un criterio di prova:

l’univocità degli atti indicherebbe l’esigenza che, in sede processuale, sia raggiunta la prova del proposito

criminoso. Secondo la concezione c.d. oggettiva, la direzione non equivoca degli atti rappresenta un criterio

21

di assenza: l’univocità va considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti

posti in essere devono in se stessi possedere l’attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito.

Concependo l’univocità come caratteristica oggettiva della condotta, si rischia di restringere l’ambito di

operatività del tentativo, dato che soltanto in una minoranza di casi gli atti realizzati porterebbero, in se

stessi, i segni del delitto programmato.

L’esigenza di configurare l’univocità come caratteristica dell’azione non esclude che la prova del fine

delittuoso possa essere desunta in qualsiasi modo, facendo applicazione dei consueti canoni probatori in tema

di elemento soggettivo del reato. Una volta conseguita la prova del fine verso cui tende l’agente, è necessaria

una seconda verifica: occorre accertare se gli atti, considerati nella loro oggettività, riflettano in modo

congruo la direzione verso il fine criminoso già accertato per altra via.

Nel caso 41 l’eventuale ammissione del venditore ambulante di volere destinare alla vendita le false scatole

di sigarette non sarebbe sufficiente a far configurare un tentativo di truffa finchè le scatole stesse non siano

tolte dall’automobile e concretamente offerte in vendita; soltanto a quest’ultimo condizione il proposito

truffaldino si tradurrebbe in un atto obiettivamente diretto a trarre in inganno i possibili compratori.

L’univocità degli atti è in re ipsa nel caso 42. Qui gli atti parlano da soli senza che via accertamento della

volontà criminosa.

ELEMENTO SOGGETTIVO

Nel nostro ordinamento il tentativo è punibile soltanto se commesso con dolo non essendo configurabile un

tentativo colposo. La questione da risolvere è se il dolo del tentativo sia identico o no al dolo della

consumazione. Il problema ha riflessi pratici: se si accoglie la tesi dell’identità strutturale ne deriva che il

tentativo è realizzabile con tutte le forme di dolo configurabili nell’ambito della consumazione, compreso il

dolo eventuale.

Una parte minoritaria della dottrina muovono dal presupposto che il nostro ordinamento non contiene alcuna

norma che esplicitamente distingua i due tipi di dolo.

IL PROBLEMA DELLA CONFIGURABILITA’ DEL TENTATIVO NELL’AMBITO DELLEVARIE

TIPOLOGIE DELITTUOSE 22

La concreta configurabilità di un delitto tentato dipende dalla possibilità di rendere compatibili i requisiti

previsti

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Publisher
A.A. 2018-2019
62 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher daddoras di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Gentile Giovanni.