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Cap.5: NOZIONI DI TEORIA GENERALE DEL REATO
Sezione I – Concetti generali
1. La definizione classica di reato è ogni fatto umano cui la legge ricollega una sanzione penale. Questa definizione fa leva solo sulle conseguenze giuridiche. In realtà bisogna darne una definizione a seconda dei principi espressi dalla Costituzione; le sue caratteristiche quindi sono:
- è di creazione legislativa: solo una legge ne disciplina gli elementi costitutivi (art.25 comma 2° – Cost)
- è di formulazione tassativa: la legge deve fissare con determinatezza i fatti costituenti reato
- ha carattere personale (art.27 comma 1° Cost): non può essere un fatto compiuto da altri e deve essere colpevole
Queste caratteristiche lo distinguono chiaramente dall'illecito civile, cui non sono propri nessuno dei principi predetti. Difficile è invece distinguerlo dall'illecito amministrativo: con la legge n.689-1981 sono stati estesi alcuni dei principi penali.
all'ambito degli illeciti amministrativi. La differenza quindi ora dipende da: - natura della sanzione amministrativa di carattere pecuniario - natura amministrativa del procedimento e dell'organo competente 2. Non c'è accordo nella dottrina sulle ragioni sostanziali per cui si elevano a reato alcuni fatti. Le teorie classiche non sono in grado di spiegarle, seppur quella sociologica, cioè quella che definisce a reato come un fenomeno disfunzionale che frappone ostacoli al sistema sociale e alla sua conservazione, sembra quella più vicina. Si è d'accordo però a prendere come valori fondanti quelli espressi dalla Costituzione: sono il criterio di selezione dei fatti costituenti reato. Il reato quindi è la lesione o messa in pericolo di un bene giuridico che appaia meritevole di protezione secondo le direttive desumibili dalla Costituzione. Questo tuttavia è un presupposto necessario ma non sufficiente: bisogna tener conto anche.del principio di sussidiarietà e di meritevolezza di pena. Ecco quindi una definizione accettabile: è reato un fatto umano che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di protezione da un legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali, sempreché la misura dell'aggressione sia tale da far apparire inevitabile il ricorso alla pena e sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire un'efficace tutela. 3. Bisogna tener conto del principio di offensività: il fulcro del reato è l'aggressione di uno o più beni giuridici. Questo principio non è codificato: esso è ricavato in via implicita da un esame del sistema penale e della normativa. Esso si ricava da vari indizi: - art. 49 comma 2°: non c'è un reato senza un'effettiva lesione o messa in pericolo di un bene giuridico. Tuttavia non è un principio così accolto né in dottrina né in giurisprudenza - artt.25 comma 2° e 27 comma 1° e 3° Cost.: in base a questi principi costituzionali in materia penale il reato non è un atto di infedeltà allo Stato o un giudizio sulla pericolosità dell'autore: dev'essere un fatto oggettivamente lesivo di beni o interessi rilevanti meritevoli di tutela. Consideratolo implicitamente costituzionalizzato, se ne traggono delle conseguenze operative: criterio di conformazione legislativa dei fatti punibili: vincola il legislatore a strutturare come reati fatti che offendono beni giuridici; criterio giudiziario-interpretativo: il giudice classifica come reati soltanto fatti che concretamente possono offendere beni giuridici. In realtà questo principio è ridimensionato dalla Corte Costituzionale che cerca di giustificare esigenze di anticipazione di tutela che non possono trovare in esso alcun appiglio.
4. Il codice Rocco opera una divisione nell'ambito degli illeciti penali, tra delitti e
contravvenzioni: i primi sarebbero le forme più gravi di illecito. I criteri di differenziazione sviluppatisi sono svariati:
Beccaria: i delitti offendono la sicurezza pubblica e privata (mala in se) mentre le contravvenzioni violano leggi destinate a promuovere il pubblico bene (mala quia prohibita); attualmente è una concezione che non trova riscontro
Altra teoria: i delitti offendono le condizioni primarie del vivere civile, le contravvenzioni quelle secondarie. È indeterminato e non ha riscontro
Rocco: contravvenzioni sono contrarie all'interesse amministrativo dello Stato
Alla fine non essendoci un vero criterio qualitativo, si è spostata l'attenzione sulla semplice minore gravità delle contravvenzioni. La recente legge n.689-1981 che rivaluta l'illecito amministrativo suggerirebbe un trasferimento degli illeciti contravvenzionali nell'ambito degli illeciti puniti con sanzione pecuniaria amministrativa. Tuttavia ciò non
sarebbe indicato per alcune fattispecie poste in posizione intermedia per cui la sanzione amministrativa non sembrerebbe adatta per ragioni di politica criminale. La circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 5 febbraio 1986 offre dei parametri per la corretta tipizzazione e criteri per la scelta tra delitto e contravvenzione; le contravvenzioni dovrebbero circoscriversi a: 1) fattispecie di carattere preventivo-cautelare: regole di prudenza, diligenza, perizia per tutelare beni primari; l'inosservanza è infatti egualmente significativa sia a titolo di dolo che di colpa. 2) fattispecie concernenti la disciplina di attività sottoposte a potere amministrativo; l'atteggiamento è indifferente perché l'osservanza dipende da una valutazione già operata dalla PA. Inoltre, la circolare fa notare che non necessariamente la distinzione si basa su un criterio di gravità. Sul piano del diritto positivo, il criterio più adatto è.quello che fa leva sulla diversità di sanzioni è il criterio formale: v. artt.39 e 17. nei delitti il dolo è la regola e la colpa l'eccezione; nelle contravvenzioni è indifferente. il tentativo è configurabile di regola solo nei delitti. Soggetto attivo o autore del reato è colui che realizza un fatto conforme ad una fattispecie astratta di reato. Chiunque può commettere reato, cioè ha capacità penale, ma diverse sono le idoneità a diventare destinatari di conseguenze giuridiche (capacità di pena, capacità alle misure di sicurezza, immunità). Si distinguono: reati comuni: tutti possono commetterli. reati propri: è necessario possedere particolari requisiti o qualità naturali o giuridiche. Nel nostro ordinamento non si riconosce una responsabilità penale delle persone giuridiche: è un argomento a contrarium dedotto dall'art.197 del codice che riconosce.un'obbligazione civile di garanzia se chi la rappresenta commette un reato ed è insolvente. Ciò però non corrisponde allo sviluppo della criminalità d'impresa o societaria, dove i reati sono frutto di politiche d'impresa nelle quali l'individuazione di un singolo sembra più che altro fungere da capro espiatorio: nel common law esistono già i corporate crime. Generalmente si ritiene inimputabile l'impresa perché il principio personale non è con lei compatibile: non ha una condotta propria, ma la hanno dei suoi organi, e non è capace di atteggiamento volitivo colpevole. Si ribatte utilizzando la teoria organicistica che collega l'impresa attraverso un rapporto di rappresentanza con le persone fisiche che ne determinano volontà ed azione. Ma non risolve tutti i problemi: per questo si tendono a prospettare misure alternative di sanzione, di tipo amministrativo o civilistico.
7. Si è
Creata recentemente (d.lgs. n.231-2001) la c.d. responsabilità amministrativa degli enti collettivi per i reati commessi da loro organi o sottoposti. Si è scelta quest'etichetta per motivi politici di convenienza, ma la realtà sembra configurare una responsabilità penale o parapenale, strettamente collegata alla commissione di un reato e accertata nel processo penale. L'obiettivo perseguito è riportare alla legalità l'azienda che delinque nell'ambito della politica d'impresa secondo un modello di impresa che opera in maniera razionale per il raggiungimento dello scopo: è tuttavia ben difficile attualmente individuare questo modello e catalogare ciò che ne fuoriesce.
Le caratteristiche di questa normativa sono:
- si applica sia agli enti forniti di personalità giuridica sia a società e organizzazioni prive
- la fattispecie costitutiva illecito amministrativo dipendente da reato va desunta da alcuni
criteri:
- la commissione da parte di una persona fisica di un reato espressamente previsto dalla legge ai fini della responsabilità dell'ente
- l'esistenza di un rapporto qualificato tra autore ed ente
- l'interesse o il vantaggio dell'ente
- il carattere non territoriale, pubblico o di rilievo costituzionale dell'ente
- l'inesistenza di un'amnistia per il reato
la colpevolezza è concepita come rimproverabilità soggettiva legata al fatto che il reato deve essere espressione della politica aziendale o derivare da una colpa di organizzazione: l'ente deve adottare sistemi che impediscano la commissione di determinati reati
la responsabilità dell'ente è autonoma, cioè risponde anche quando l'autore del reato non è identificato o non è imputabile o il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia
la responsabilità amministrativa dell'ente non è
generale ma è circoscritta in ipotesi espressamente previste. Le sanzioni comminabili sono pecuniarie, interdittive, confische, pubblicazioni di sentenze di condanna. Non è facile individuare all'interno delle imprese il soggetto su cui ricade la responsabilità penale: bisogna individuare fino a che punto vale il fenomeno della delega. La giurisprudenza la fa valere al rispetto di certe condizioni: 1) l'impresa deve essere di grandi dimensioni 2) la ripartizione di funzioni non dev'essere fraudolenta 3) i collaboratori devono essere dotati dei poteri e dei mezzi necessari 4) essi devono possedere una competenza tecnica In queste condizioni la delega esonera la responsabilità del delegante e la fa ricadere sul delegato: è avvallata dall'orientamento funzionalistico della dottrina: c'è una corrispondenza tra poteri/funzioni e obblighi/responsabilità. Per evitare un rischio di scarico della responsabilità verso il delegato, è necessario che il delegante mantenga un controllo effettivo sulle attività delegate.i rispetto delle norme morali e giuridiche, anche se non ci sono conseguenze immediate o visibili per il loro mancato rispetto. Questo significa che anche se non si viene puniti o sanzionati per un comportamento immorale o illegale, si è comunque tenuti a rispettare tali norme. La dottrina del basso ritiene che l'obbligo di rispetto delle norme sia intrinseco alla natura umana e che sia necessario per il mantenimento dell'ordine sociale e della convivenza civile.