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IL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA

La colpevolezza è un concetto estraneo al linguaggio del codice ma i cui contenuti sono delineati

dallo stesso. Il termine colpevolezza può avere più definizioni da un punto di vista lessicale: sul

piano processuale è sinonimo di responsabilità penale; sul piano del diritto penale sostanziale

riguarda il problema della imputazione soggettiva. Quand‘è e a quali condizioni e con quali limiti

un fatto può essere imputato al suo autore? La dottrina precedente prevedeva la presenza la

colpevolezza come nesso psichico tra autore e fatto, quindi come concetto di genere in quanto

siamo avvertiti che le forme specifiche di collegamento psichico di un fatto con il suo autore vanno

sotto il nome di dolo e colpa. È un modo di intendere la questione datato.

La storia del diritto penale è data dalla ricerca di maggiore affinamento dei criteri di imputazione di

un reato al suo autore e questi sono variati nel tempo (es. si attribuivano colpe a un soggetto perché

portatore di negatività). Noi abbiamo ancora il ricordo della figura dello iettatore, a cui erano

attribuiti i problemi della società secondo criteri magici (es: noi oggi facciamo ancora le corna).

Dalla cassazione magica si passa a quella causalistica. Si arrivò poi ad una concezione più

personalistica che esprime un nesso logico reale (l’autore ha fatto quello che ha fatto perché

voleva).

Dopo molto tempo e sforzi ci si è accordati sul fatto che c’è una norma costituzionale che ci porta a

questa conclusione, art. 27, comma 1 cost. “La responsabilità penale è personale”. Per molto tempo

tale articolo è stata frainteso, infatti alle origini la Corte Costituzionale ne diede una lettura riduttiva

e disse che precludeva soltanto la responsabilità oggettiva per fatto altrui. Diceva una cosa ovvia ma

inutile perché se avesse voluto ciò gli sarebbe bastato dire che era vietata la responsabilità per fatto

altrui. In realtà voleva dire qualcosa di diverso la Corte, alla fine degli anni 80 stabilisce che

l’articolo 27 è la sede in cui si vuole affermare che il diritto penale è il diritto penale della

colpevolezza: si può rispondere non solo per un danno, ma si risponde se si è voluto veramente

causarlo. Un tempo, quando si esprimeva la funzione retributiva della pena, rispondeva al fatto che

al male si risponde col male. Si capiva che in questa cornice ideologica retributiva il rimprovero

avesse senso solo se poteva articolarsi in un poter fare diversamente. La colpevolezza era l’idea

fondante la stessa azione penale, idea giustificativa dell’azione penale, posso punirti solo se sei

colpevole. Questo è il principio di colpevolezza, ma poi si è articolato in varie concezioni.

Esaminiamo due concezioni:

• Concezione psicologica : se l’ha voluto ha agito con dolo, se non l’ha voluto ma poteva

prevederlo ha agito con colpa. Per gli illuministi era preferibile non consentire nessun

ingresso nel foro interno del colpevole, è la stessa idea alla base della colpevolezza. Non

serve per graduare la pena perché quello che vale come pena è la dimensione ontologica del

danno, questo decide il quantum della pena. Se si dovesse consentire al giudice un ingresso

nel foro interno si legittimerebbero pratiche dell’ancien regime, come ad esempio la tortura.

Bisognava tenere separati l’imputazione giuridica dall’imputazione morale, se non li

distinguiamo rischiamo la connessione precedente. In realtà il programma illuministico era

paritario, non contano i danni individuali, ma il danno sociale provocato dal reato, ma è

un’utopia, perché si pensa che tutti gli uomini siano uguali, ma gli uomini non lo sono, sono

stratificati. Per gli scrittori dell’Ottocento si deve diversificare dicendo che la differenza

stava nei motivi. Chi ruba per un motivo legato al bisogno di sopravvivenza è sottoposto a

un motivo che non si riconcentra al furto per dannosità sociale, ma bisogno individuale.

Questo costringeva a trovare altri strumenti per diversificare la pena. Gli illuministi

sentivano che c’era un problema di uguaglianza da rispettare.

• Concezione normativa : il 1907 è la data di pubblicazione di uno studio molto succinto da

parte di Reinhard Frank che sottolineava i contorni principali della concezione normativa

della colpevolezza da considerarsi come rimproverabilità al suo autore per una condotta che

non doveva essere tenuta. Ma come arrivava Frank a questo risultato? Con una

esemplificazione semplicistica all‘epoca, ma di un grandissimo valore esplicativo: due

cassieri si appropriano, a danno della società in cui lavorano, di 1000 marchi, ma uno è

scapolo e utilizza i soldi per fare la bella vita, l‘altro è capofamiglia e rappresenta l‘unica

fonte di reddito. Frank dice che il giudice già a quell‘epoca non avrebbe potuto trattare in

maniera identica gli episodi in quanto è vero che sono identici dal punto di vista della

lesività obiettiva, ma dal punto di vista soggettivo della colpevolezza non sono egualmente

rimproverabili. Il giudice, tenendo conto delle circostanze, avrebbe dovuto modulare la pena

(cosa che gli illuministi non avrebbero fatto e si sarebbero fermai al fatto che per entrambi

c’era la colpa). Il padre unica fonte di reddito avrà una pena bassa, moralmente accettabile,

rispetto a chi lo fa per scopo non accettabile.

Il fine che si voleva ottenere era un concetto flessibile di colpevolezza in grado di modulare

gradualisticamente la risposta sanzionatoria, risultato impossibile se la condotta dovesse

essere considerata solo come nesso psichico. Il nesso psichico è invariante: si lascia

giudicare solo alla stregua della rilevazione; una volta esistente è uguale in tutti i soggetti.

Il concetto di colpevolezza normativa contiene in sé il tentativo di dare risposta a due

problemi:

1. al fondamento di legittimità della responsabilità penale;

2. alla colpevolezza come elemento di graduazione della pena da infliggere all‘autore

di un reato.

Tentare di dare graduazione a questi due principi rischia di portare fuori strada: la

graduazione della pena è logicamente un posterius, ed è comunque sempre diversa dal

problema di verificare su quali presupposti e in quali limiti un soggetto è colpevole di un

fatto. Solo dopo aver chiarito tale problema si potrà arrivare ad una graduazione nel senso di

quanto un soggetto è responsabile.

La colpevolezza che qui rileva non è la colpevolezza morale (contrarietà ad un ordine etico),

ma in relazione alla violazione delle norme giuridiche. Il richiamo all‘etica è più un

richiamo costruttivo al diritto.

La Corte fa questa apertura preziosa e dice che anche l’ignoranza inevitabile è un elemento

che esclude la colpevolezza. Se un soggetto non conosceva la legge penale non può

migliorare o rieducare, semmai avrà bisogno di informarsi un po’ di più. Bisogna che però

l’ignoranza non sia dovuta a colpa, se il soggetto doveva informarsi sugli obblighi penali e

non l’ha fatto, non mi interessa nulla, la scusante vale solo per i casi in cui non si può

conoscere la legge penale.

Prassi assolutoria della Corte d’Assise la gelosia delirante è una passione perversa, ma proprio

perché è perversa dobbiamo interrogarci se abbia radici e cause in una situazione psicopatologica.

Se la gelosia fosse patologica non ragioneremmo più di irrilevanza, ma parleremo di vizio (a

seconda dei casi totale o parziale) di mente. Sarà una gelosia che a seconda dei casi, escluderà la

capacità di intendere e volere o meno (art. 88/89 c.p.). Oggi il problema vero è rappresentato

dall’ubriachezza e intossicazione di stupefacenti. Per l’ubriachezza il sistema designa queste ipotesi:

• Ubriachezza accidentale  il caso fortuito esclude imputabilità. Chi agisce in stato di totale

ubriachezza non è capace di intendere e volere nel 99% dei casi. I casi di ubriachezza

accidentale individuati dalla giurisprudenza sono limitati e marginali e ai limiti della realtà,

questi sono: un operaio in distilleria mette alcool e si ubriaca involontariamente; mi danno

cibo apparentemente piccante, vedo un bicchiere di acqua sul tavolo e lo prendo credendo

che sia acqua, ma in realtà è alcool; io chiedo un aspirina, mi danno una pastiglia di ecstasy.

Sono ipotesi marginali e in queste ipotesi il legislatore ha voluto tenersi marginale. Al resto

ci ha pensato la giurisprudenza, si è ritenuto che l’ubriaco debba dare colpa della propria

innocenza.

• Ubriachezza colposa/volontaria : si è sempre imputabili, per ragioni di difesa sociale. Il

codice penale Rocco dice che la pratica dell’alcolismo è talmente aumentata che non

bisogna dare spazio agli ubriachi, così la legge li tratterà come soggetti totalmente

imputabili (come se non fossero stati ubriachi). E’ una finzione giuridica (parliamo di

finzione giuridica quando la disciplina giuridica diverge dalla naturalità). L’ubriachezza può

essere colposa quando dipende da una sottovalutazione del soggetto (crede di reggere una

elevata dose di superalcolici, sminuendone gli effetti).

• Ubriachezza abituale : quando si è dediti all’uso di alcolici e si è in stato di ubriachezza. Non

basta essere dediti all’uso di alcolici, ma bisogna anche essere in stato di ubriachezza

frequente. Il fatto risulterà ulteriormente aggravato da questa circostanza di tipo soggettivo.

• Ubriachezza precostituita/preordinata : Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere

il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata. Il reato deve essere quello che da

sobrio il soggetto aveva programmato. Se però si fosse preordinata uno stato di incapacità

diversa dall’ubriachezza, e il reato è diverso, si determinerà una impunibilità perché per

questo non era imputabile (se mentre Tizio va a stuprare Charlize Theron investe un pedone,

non sarà imputabile).

L’art. 86 c.p. riguarda il caso in cui un terzo imponga taluno in stato di incapace stato di intendere e

volere, in questo caso il colpevole è colui che ha messo il soggetto in questo stato. L’art. 111 c.p.

(Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a

cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso, e la pena è

aumentata) sembra sovrapponibile, ma l’art. 86 ha senso se vediamo la norma dalla parte di colui

che subisce. L’ultimo corollario riguarda la cronica intossicazione da alcool o stupefacenti. Allud

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Publisher
A.A. 2016-2017
51 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Nicuz95 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Zanotti Marco.