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Limitazioni di sovranità derivanti dall'immediata applicabilità dei regolamenti comunitari
Molto più semplicemente, i regolamenti si impongono come tali per effetto dell'ordine di esecuzione del trattato istitutivo della CEE. Rimane fermo che gli atti normativi comunitari vanno interpretati e sindacati dalla corte di giustizia delle comunità europee e non dai vari giudici nazionali. Diritto interno e diritto comunitario sono fra loro integrati, tanto più che non esiste una netta distinzione di competenze tra i due.
Per quanto siano stati discussi i loro rapporti con le leggi statali ordinarie, si è sempre considerato pacifico che i regolamenti in questione, ben oltre il loro nome giuris, avessero comunque un valore primario, essendo immediatamente subordinati alla costituzione; e ciò ha posto subito il problema del loro fondamento costituzionale. Ma in che consistono le limitazioni di sovranità derivanti dall'immediata applicabilità dei regolamenti comunitari? E quali sono, in particolar modo,
i criteri di risoluzione dei possibili contrasti fra quelle previsioni "regolamentari" e le disposizioni legislative ordinarie dello stato? La corte costituzionale si è adeguata alla corte di giustizia delle comunità europee sostenendo che le norme dei regolamenti comunitari vanno immediatamente applicate nel territorio italiano per forza propria; e che, di conseguenza, qualunque giudice deve soltanto accertare che la "normativa scaturente da tale fonte regola il caso sottoposto al suo esame", secondo i canoni interpretativi offerti dalla corte di giustizia. In questa luce poco importa che nel medesimo campo vigano leggi statali ordinarie, anteriori o successive nel tempo: la necessaria applicazione del regolamento esige, infatti, la disapplicazione della legge interferente, senza che da ciò derivi una questione di legittimità, riservata alla cognizione dell'organo della giustizia costituzionale italiana. Resta il problema.delle indispensabili garanzie costituzionali. La corte stessa ha precisato, proposito, "come la legge di esecuzione del trattato possa andar soggetta al suo sindacato, in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inviolabili della persona umana".
Le fonti extra ordinem (pagina 251)
Nella realtà giuridica, anche all'interno di un dato ordinamento storicamente riguardato, può ben accadere che fonti diverse da quelle legali o atti comunque scaturenti da procedure anomale riescano a modificare stabilmente il sistema normativo, senza che vengano fatti valere efficaci rimedi da parte delle autorità competenti e senza che siano applicate sanzioni di sorta. Di qui, precisamente, le fonti extra ordinem, che si aggiungono alle fonti originariamente previste. La gravità e l'incidenza di simili fenomeni possono risultare profondamente dissimili secondo le diverse ipotesi; tanto che in vari casi non è dato
ragionare di fonti extra ordinem nel senso più stretto e preciso del termine, giacché si tratta di produzioni normative implicanti specifiche, singole o addirittura episodiche rotture del sistema. In altri casi per contro, la sistematica utilizzazione di fonti extra-ordinem coincide con l'instaurarsi di nuove forme di governo e di Stato, sebbene permanga la complessiva continuità dell'ordinamento giuridico. Si intende, però, che fonti siffatte non si sono imposte alla stessa maniera delle leggi, dei regolamenti e degli altri atti normativi già previsti dall'ordinamento statale italiano, ma si sono rese obbligatorie per forza propria. È per questo motivo che la produzione del diritto effettuata extra ordinem può considerarsi alla stregua di un fatto normativo, pur quando essa assuma la veste di un atto o di una serie di atti, promananti da soggetti dotati di autorità dallo Stato. In certe ipotesi, a fondamento di ciò,Vari autori fanno anzi ricorso alla necessità riguardata come fonte autonoma ed "invocata al fine di sovvertire la struttura dell'ordinamento". Ma non appena si formano quelle che un'altra corrente dottrinale definisce "consuetudini normative" delle fonti extra-ordinem, accade che il generale sistema delle fonti ne risulta modificato; sicché non è più dato ragionare di fatti normativi, ma ne scaturiscono senza altro nuove specie di atti produttivi di diritto.
La forma repubblicana (pagina 259)
La Costituzione denomina "l'ordinamento della repubblica", con particolare riguardo alla disciplina dei singoli "poteri" dello Stato e dei loro reciproci rapporti. A questa stregua due sono i perni di tali premesse: da un lato essi consistono nelle proposizioni centrali, per cui "l'Italia è una Repubblica democratica", sicché "la sovranità spetta al popolo".
d'altro lato essi poggiano sul testo "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".
L'affermazione che "l'Italia è una Repubblica", da cui prende le mosse la carta costituzionale, rappresenta il portato necessario del referendum istituzionale svoltosi il 2 giugno 1946, che vincolò la stessa assemblea costituente: "in questa parte la costituzione non aggiunge o toglie nulla all'esito del referendum".
In altre parole, è qui che può farsi consistere la vigente costituzione materiale dello stato italiano, se si vuole assegnare a questo termine un significato preciso, giuridicamente apprezzabile. Ma qual è il senso che si deve attribuire in questa chiave alla parola repubblica? Alla nozione costituzionale della "forma repubblicana" appare coessenziale l'attributo della democraticità.
Non è casuale che la costituente abbia respinto un emendamento inteso a preannunciare testualmente il carattere parlamentare dell'ordinamento italiano. Che la repubblica democratica abbia una forma di governo parlamentare o presidenziale oppure mista non attiene al valore sottratto alla stessa revisione costituzionale. Essenziale è soltanto che le eventuali riforme della Costituzione non giungano a negare la democrazia. La democraticità della repubblica; democrazia diretta e democrazia rappresentativa (pagina 261) In che cosa consiste la democrazia? Etimologicamente, la democrazia suole venire definita quale potere del popolo o quale governo del popolo. Ma in presenza di una collettività come quella popolare, in cui la volontà dei cittadini non è altro che una somma di volontà individuali fra loro distinte, la definizione dev'essere spinta più a fondo. Una prima risposta consiste nel riconoscere che ogni regime effettivamenteIl sistema democratico si regge sul principio maggioritario. Tuttavia, questo principio può essere interpretato in due modi: in modo assoluto, ossia nel senso che in regimi del genere "valgono solo i più", oppure in modo temperato, vale a dire nel senso che i "più prevalgono sui meno, ma contano anche i meno". Nella prima tipologia di sistemi, il principio maggioritario porta alla fondazione di una democrazia totalitaria. Al contrario, nelle democrazie di stampo liberale e pluralistico, la costituzione o le leggi fondamentali del regime garantiscono l'alternanza delle forze politiche al governo del paese, secondo il principio "dell'alternarsi del comando e dell'obbedienza, per cui i governanti di oggi sono in potenza sudditi di domani". È in quest'ultimo gruppo che giuridicamente rientra la nostra repubblica democratica. Connaturate al regime vigente in Italia sono in tal senso le libertà fondamentali.
proclamate e tutelate nella prima parte dell'acostituzione: a cominciare dalle libertà di associazione e di manifestazione del pensiero. Ma nel medesimo quadro ricadono anche garanzie formali, come quelle consistenti nella rigidità della costituzione e nel sindacato dellacorte costituzionale sulla legittimità delle leggi. Insorge però a questo punto un ulteriore dilemma, riguardante le forme di esercizio del potere democratico. Anche sotto questo aspetto si contrappongono due modelli: l'uno costituito dalla democrazia diretta o partecipativa; l'altro consistente nella democrazia indiretta o rappresentativa. Nel primo caso, ciascun cittadino dotato della capacità di agire prende parte all'adozione di determinate scelte politiche. Nel secondo caso, il corpo elettorale si limita a eleggere uno o più collegi politicamente rappresentativi del popolo, cui resta affidata la deliberazione delle leggi e, più in generale, la
determinazionedell’indirizzo politico. Astrattamente, il diretto coinvolgimento di ogni cittadino “attivo” nelladefinizione della politica generale del Paese parrebbe concretare la forma piùperfetta, autentica e compiuta della democrazia. In altri termini, quella direttao partecipativa costituirebbe una democrazia “governante”, in antitesi allademocrazia “governata”, che invece vedrebbe gli elettori spogliati del potereeffettivo da parte degli eletti. Ma il pieno autogoverno del popolo non puòconcentrarsi, in verità, se non quando concorrano certe premesse, chestoricamente si sono realizzate solo in rari momenti ed in rare occasioni.Quella che si suole definire “democrazia degli antichi” forma, pertanto, nellaprospettiva moderna o contemporanea, un modello fittizio ed “affatto irreale”.Del resto, quando si consideri che il principale istituto di democrazia diretta èoggi il referendum,ci sipuò rendere subito conto dell'impossibilità di farne unuso sistematico; la macchinosità delle consultazioni referendarie basterebbe ad escludere che si possa attivarle tutti i giorni (o più volte al giorno), come sarebbe indispensabile per fondare su di esse la politica generale del parlamento. Ciò spiega che in Italia la democrazia diretta abbia bensì ricevuto un qualche spazio; ma sia rimasta ferma, nell'intero periodo repubblicano, la predominanza degli istituti di democrazia rappresentativa, imperniata soprattutto sul Parlamento eletto a suffragio universale in entrambi i suoi rami. Proprio perché dotato del più alto grado di legittimazione democratica, il Parlamento è il primo fra gli organi costituzionali rappresentativi del popolo.
Resta da verificare che cosa debba intendersi per rappresentanza politica. Si è ragionato moltissime volte
Sull'idea che il governo rappresentativo sarebbe il portato di una "democrazia" moderna, si possono sollevare diverse questioni.