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REGIME SANZIONATORIO:
Il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instauratosi senza
l’individuazione di uno specifico progetto è considerato rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del
rapporto. Ciò avviene con una sentenza giudiziale di carattere costitutivo che ha
effetto retroattivo
La prestazione di lavoro inoltre (ricordiamo!) deve essere resa da collaboratore
in forma effettivamente autonoma ossia coordinandosi con il committente
ma senza venirne diretto. Di conseguenza, qualora sia accertato che il
collaboratore ha operato di fatto in forma subordinata il rapporto di collaborazione può
essere riqualificato ,mediante una sentenza giudiziale di accertamento, come rapporto
di lavoro subordinato.
DISCIPLINA DELLA COLLABORAZIONE A PROGETTO:
la disciplina legale di tutela per i collaboratori a progetto è la medesima di quella
prevista per i collaboratori coordinati e continuativi. Ciò comporta:
- Un diritto del collaboratore ad un corrispettivo proporzionato alla qualità del
lavoro eseguito (commisurato alle tariffe retributive minime previste per i
contratti collettivi per i lavoratori dipendenti con mansioni equiparabili).
- Diritto alla sospensione temporanea senza erogazione del corrispettivo in caso
di malattia e infortunio del collaboratore (o maternità per le donne).
Il rapporto , sotto il profilo della durata, essendo un contratto a “progetto” deve
avere necessariamente un termine finale. Esso può essere una data precisa o
derivato per relationem dal completamento del progetto. Il contratto si risolve
automaticamente con la realizzazione del progetto.
È data la possibilità di un recesso del committente o del collaboratore prima della
scadenza del termine nei casi in cui una delle due parti assuma comportamenti
gravissimi costituendo una giusta causa; siano emersi oggettivi profili di inidoneità
professionale del collaboratore; quando le parti hanno previsto il recesso anticipato nel
contratto.
IL LAVORO ASSOCIATO:
è quel lavoro prestato all’interno di contratti di tipo associativo comportante qualche
forma di partecipazione del lavoratore associato ai rischi dell’impresa. Parte della
retribuzione è collegata all’andamento dell’impresa.
1) LA COOPERATIVA DI PRODUZIONE E LAVORO:
Riguardo ciò possiamo citare la situazione del socio della cooperativa di lavoro e
produzione (che nasce come alternativa storica all’impresa capitalistica). La
cooperativa è quella forma di impresa autogestita i cui proventi vengono divisi
equamente tra i soci che ne fanno parte. I soci, oltre al diritto alla distribuzione del
profitti divisibili, hanno anche diritto a partecipare alla vita organizzativa dell’impresa
stessa, partecipando alle riunioni amministrative e ricoprendo anche ruoli
amministrativi all’interno della stessa impresa.La legge 142/2001 ha istituito il
meccanismo del “doppio rapporto” (associativo e di lavoro) in virtù del quale il socio
lavoratore deve intrattenere con la società anche un rapporto di lavoro che può essere
autonomo o suobordinato a seconda di come esso è disciplinato neòl regolamento
interno. Qulora il rapporto sia subordinato il socio lavoratore ha diritto di vedersi
applicata la normativa corrispondente.
2) L’associazione in partecipazione con apporto di lavoro
Vincenzo DE LISO
Il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro è quel contratto
mediante il quale l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili
della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un apporto di lavoro”.
L’associato presta la propria opera per l’impresa di cui è titolare l’associante che ha il
diritto di gestirne l’opera così come festisce l’impresa. L’associato però ha il diritto di
controllare l’andamento dell’impresa e di avere il rendiconto annuale della gestione. A
fronte dell’attività prestata l’associato ha il diritto ad una partecipazione agli utili della
società.
Ovviamente ci sono norme anti-elusive (xk non applicandosi all’associato le norme del
diritto del lavoro ma soltanto la tutela previdenziale) in molti sarebbero indotti , a
fronte di risparmi sui costi economici e normativi, di a effettuare finti contratti di
associazione in partecipazione con apporto di lavoro celando dietro ad essi un
contratto di lavoro subordinato. A tali norme la più importante è quella secondo cui “se
emerge che l’associato non partecipa alla divisione degli utili dell’impresa, questi si
considera, salva prova contrarioa, un lavoratore subordinato. Ma la restrizione più
radicale al ricorso a queste associazione è quella per cui il numero degli associati
impegnati in una medesima attività non può essere superiore a 3 indipendentemente
dal numero degli associanti.
LAVORO ACCESSORIO:
è sempre stato poco semplice definire quelle situazioni di lavoro saltuarie e
occasionali. Il d.lgs. 276/2003 ha introdotto la figura del lavoro accessorio come
“attività lavorativa di natura meramente occasionale”. Per identificare l’occasionalità
di tali rapporti ci si basa sui tetti massimi dei corrispettivi.
Sono lavori “accessori”:
- Attività che non danno luogo a compensi superiori a 5000€ annui
- Attività lavorative agricole per pensionati e under 25 se iscritti a scuola o
all’università
- Dal 2013 le attività svolte in tutti i settori produttivi nel limite massimo di 3000€
annui per soggetti percettori di prestazioni integrative della retribuzione o di
sostegno di reddito.
Il lavoratore accessorio è retribuito tramite consegna di “buoni lavoro” (del
valore di 10€ ciascuno) da consegnare per la riscossione all’INPS. Il compenso del
lavoratore è esente da imposizione fiscale e sono a carico del datore di lavoro la
contribuzione pensionistica e un premio assicurativo all’INAIL per il rischio infortuni e
le malattie professionali.
LA CERTIFICAZIONE:
La certificazione dei contratti di lavoro ha finalità deflattive del contenzioso in
tema di qualificazione del rapporto di lavoro. Essa da certezza ad una situazione
giuridica per la quale un contratto, magari qualificato come “autonomo” non possa
essere travolto successivamente da una sentenza che lo riqualifichi come
“subordinato” sulla scorta dei criteri che abbiamo analizzato in precedenza.
La procedura per la certificazione è volontaria. Le parti la possono richiedere per
qualsiasi contratto di lavoro. Gli organi abilitati alla certificaizone sono “enti bilaterali,
le DTL e Province, università pubbliche e private, ministero del lavoro”- L’atto di
certificazione è un atto amministrativo tramite il quale l’organo abilitato certifica la
qualificazione del contratto se è corretta. L’atto di certificazione deve essere motivato.
Gli effetti dell’accertamento nel caso di contratti in corso di esecuzione si producono
dal momento dell’inizio del contratto. L’impugnazione può essere fatta o con ricorso al
giudice amministrativo per violazione delle regole del procedimento di certificazione, o
per ricorso a giudice ordinario del lavoro in caso di erroneità giuridica della
qualificazione, se una delle parti era affetta da vizi (errore, violenza, dolo).
Nei confronti dei terzi (enti previdenziali INPS e INAIL, enti ispettivi DTL-srvizio
ispettivo) la certificazione assume un vero e proprio effetto preclusivo in quanto non
Vincenzo DE LISO
possono adottare provvedimenti che presuppongono una qualificazione del contratto
diversa. Ciò a meno di proporre e vedere accolta un azione giudiziale.
IL DATORE DI LAVORO:
Nell’ottica del diritto del lavoro il “datore di lavoro” è il grande assente. Infatti per il
diritto del lavoro è l’impresa che è titolare ,impersonale, del contratto di lavoro
subordinato.
Le norme di diritto del lavoro in determinate discipline impongono dei vincoli e
oneri per l’impresa in relazione alla dimensione della medesima. La
dimensione si valuta in termini occupazionali ossia il numero dei dipendenti). La più
nota di tali norme è quella dell’art 18 st.lav. che sanziona il licenziamento illegittimo
che si applica ai datori di lavoro con più di 15 dipendenti (5 nel settore agricolo) in
ambito comunale e 60 in ambito nazionale. Ma anche l’importo dei permessi sindacali
che sono in relazione al numero dei dipendenti nonché il numero dei componenti della
RSU.
Il datore di lavoro può anche non essere un imprenditore (anche se nel 2094 si fa
riferimento alla figura del datore di lavoro imprenditore). Ciò in virtù della norma
generale di rinvio dell’art 2239 “i rapporti di lavoro subordinato che non sono inerenti
all’esercizio di un impresa sono regolati dalle disposizioni ….”.
Ciò implica che le norme del diritto di lavoro sono applicabili anche al rapporto di
lavoro subordinato con un daotre di lavoro non imprenditore.
Infine è importante sottolineare come una successione (atto tra vivi o mortis causa)
dell’esercizio di un impresa da un soggetto all’altro non ha effetti interruttivi del
rapporto di lavoro. L’ACCESSO AL LAVORO:
Il ruolo di intermediatore tra offerta di lavoro e domanda di lavoro è stato svolto per
lungo tempo dai centri per la promozione dell’occupabilità dei lavoratori. Data
la diffidenza per il ruolo di “intermediario” dei privati in tale ambito nel 1949 si è
concretizzato il monopolio pubblico di tale funzione con l’egemonia in tale materia dei
Collocamenti.
In una prima fase tra le due guerre mondiali i sindacati avevano cercato di assumere il
controllo del collocamento della manodopera. Nel 1949 la legge passò la gestione dei
collocamenti allo Stato stesso sancendo il divieto, penalmente sanzionato, di
esercitare tale attività di intermediazione per i privati. Vennero creati a tal fine
gli uffici di collocamento, in cui le persone si iscrivevano nelle liste di collocamento,
muniti di libretto di lavoro e venivano contattati nel momento in cui perveniva una
richiesta da parte di un impresa. Vigeva la regola della richiesta numerica per
l’assunzione.
Tale sistema non ha mai funzionato sia perché c’erano molti modi per eluderlo e sia xk
era largamente violato. Si è stimato che solo il 10% delle assunzioni passasse x
questo procedimento. Ci sono stati numerosissimi ritocchi legislativi per migliorare
ciò. A tal riguardo la legge 608/1996 ha abolito il me