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CATUC:
tempo indeterminato a tutele crescenti o
reintegrazione forte nulli
1) è assicurata la solo ai casi di licenziamenti o
discriminatori; reintegrazione debole
2) è assicurata la in alcune ipotesi di licenziamento per
giustificato motivo soggettivo o giusta causa. l'insussistenza del
Infatti, in tali casi se il lavoratore dimostra direttamente in giudizio
fatto materiale contestato, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore alla
reintegrazione.
Al riguardo sono previste due regole:
- la prima, consente al datore di addurre anche solo un fatto materiale, purché
esistente, per evitare sempre e comunque la reintegrazione (è previsto però che tale
fatto debba avere una pur minima rilevanza disciplinare e non può essere valutato
secondo principio di proporzionalità);
- la seconda regola necessita che l'insussistenza del fatto debba essere provata
direttamente dal lavoratore;
3) si esclude che possa esserci la reintegrazione nei casi di licenziamento per
giustificato motivo oggettivo e di licenziamento collettivi.
Le vere e proprie tutele crescenti consistono nelle modalità di calcolo dell'indennità
cui ha diritto il
lavoratore che viene licenziato con un atto affetto da vizi formali o sostanziali diversi
dalla discriminazione e che non determinano nullità dell'atto stesso per contrarietà a
norme di legge:
si tratta dei licenziamenti per giustificato motivo soggettivo e per giusta causa,
nonché dei licenziamenti economici dovuti a ragioni di organizzazione del lavoro e
attività produttiva.
In tali casi, se il lavoratore impugna nei termini il licenziamento e il giudice ne accerta
l'illegittimità, questi deve condannare il datore a pagare 1-2 mensilità dell' ultima
retribuzione di riferimento per ogni anno di servizio del lavoratore, a partire da un
minimo di 2/6 e fino ad un massimo di 12/36 (varia a seconda del vizio del
licenziamento).
La sanzione, dunque, ha una rigidità quantitativa che non consente di adattarla a
nessun elemento interno o esterno al contratto: il giudice dovrà solo fare una
moltiplicazione, senza alcun margine di discrezionalità.
In merito però è intervenuta la Corte Costituzionale che con la sentenza 194/2018 e
la sentenza 150/2020 con cui la Corte ha bocciato il legislatore del 2015 ritenendo
che determinare l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato per
motivi sostanziali o procedurali sulla base della sola anzianità sia contrario ai
principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza e alla tutela del lavoro ex art. 4
e 35 Cost.
A seguito di tale pronuncia, la determinazione dell'indennità è riaffidata ai giudici che
potranno adattare la sanzione sulla base di altri elementi, tenendo anche conto
dell'anzianità di servizio.
La riforma Renzi prevede anche la possibilità, per il datore che voglia evitare il
giudizio, di formulare una offerta di conciliazione, che consiste nella corresponsione
al lavoratore di una mensilità di retribuzione per ogni anno di anzianità (con un
minimo di 3 ed un massimo di 27), non assoggettata ad alcun onere fiscale o
contributivo.
Per le piccole imprese, la riforma del 2012 e quella del 2015 non cambiano il regime
sanzionatorio:
ai licenziamenti discriminatori o nulli si applica la reintegrazione piena, negli
altri casi di licenziamento illegittimo si applica la tutela obbligatoria che prevede
l'alternativa tra riassunzione e pagamento di una penale con indennizzo.
Rispetto alla disciplina degli oneri probatori, essa oggi è imperniata su 3 regole:
- spetta al datore provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di
licenziamento (art.2697 c.c.);
- è ammessa la prova presuntiva statistica per il licenziamento discriminatorio;
- l’inversione dell’onere della prova ai sensi dell’art.5 l.604/1966;
Quindi, per gli assunti con CATUC, spetta al lavoratore provare l'insussistenza del fatto
posto alla base del licenziamento.
10. La qualificazione del licenziamento e i relativi problemi esegetici: la nozione di
fatto nella l.92/2012 e nel d.lgs. 23/2015
Una insidia che risiede nella disciplina posta dalle Riforme Fornero-Renzi riguarda
l’interpretazione del temine “fatto”.
Esso va interpretato in considerazione dell’istituto giuridico cui la disposizione si
riferisce.:
-se si tratta di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo (in cui si contesta
l’adempimento
contrattuale), fatto è un notevole inadempimento e non un mero comportamento;
-se si tratta di un fatto-infrazione disciplinare bisogna valutare se il comportamento
consista nel fatto
previsto dalla contrattazione e da essa sanzionato.
Anche la Corte di Cassazione ha chiarito che il termine fatto va inteso in senso
giuridico e non meramente materiale.
Bisogna poi anche considerare se il fatto deve essere colposo o doloso; se, in caso di
infrazione, deve essere proporzionato alla sanzione oppure il rinvio alla contrattazione
collettiva esclude la valutazione di proporzionalità.
Il legislatore del 2015 consente al datore di addurre anche solo un fatto materiale,
purché esistente, per evitare sempre la reintegrazione: ciò significa che qualsiasi fatto
realmente accaduto, anche di minima rilevanza disciplinare posto a base del
licenziamento, vale ad escludere la reintegrazione.
Per quanto riguarda il licenziamento economico invalido per manifesta
insussistenza del fatto: in tal caso il giudice non deve valutare il fatto materiale,
ma il fatto giuridico, ossia la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo.
Infine, vi è una netta separazione tra licenziamento discriminatorio e
licenziamento altrimenti motivato: il datore di lavoro deve trovare a fondamento
un fatto che abbia gli estremi di giustificato motivo/giusta causa; se il giudice non li
ritiene convincenti, non per questo il licenziamento diventa discriminatorio: il
lavoratore dovrà provare che esso sia determinato da uno dei fattori di
discriminazione vietati.
11. Ulteriori tratti di specialità della disciplina dei licenziamenti: i termini di decadenza
per l’impugnazione, la revoca e i residui cadi di libera recedibilità
Un elemento per la prima volta regolato dalla Riforma Fornero, e poi contenuto anche
nella Riforma Renzi, è la revoca del licenziamento: si riconosce al datore una sorte
di diritto al ripensamento rispetto al licenziamento, da esercitarsi entro 15 giorni dalla
comunicazione dell’impugnazione del licenziamento. È dunque fondamentale
l’intreccio dei termini di decadenza: il lavoratore può impugnare il licenziamento entro
60 giorni dalla sua comunicazione e ha poi 180 giorni dall’impugnazione per
depositare ricorso o richiesta di conciliazione o arbitrato.
Vi è un’area in cui è ammessa la libera recedibilità del datore di lavoro: posto
che anche in questi casi al licenziamento discriminatorio corrisponde la massima
sanzione della reintegrazione, il datore può liberamente licenziare i dirigenti per i
quali l’assenza di stabilità è compensata da una consistente tutela economica prevista
dai contratti collettivi quando il licenziamento è privo di
giustificazione.
Analogamente, per i lavoratori in prova, a patto che la prova è stipulata per iscritto
e abbia un termine max di 6 mesi, per gli apprendisti, per i lavoratori ultra60enni
che hanno maturato i requisiti pensionistici e per i lavoratori domestici.
12. I licenziamenti collettivi
I licenziamenti collettivi prevedono una disciplina legale specifica volta a realizzare un
bilanciamento di interessi in cui rilevano la tutela del lavoro come bene collettivo e la
libertà dell’imprenditore di ridimensionare l’organico.
Il licenziamento collettivo ricorre qualora:
1) i lavoratori da licenziare siano più di 5 in una unità produttiva nell’arco di 120
giorni;
2) il licenziamento è conseguenza di una riduzione/trasformazione/cessazione di
attività.
Sulla base di questi presupposti, i datori che occupino più di 15 dipendenti devono
rispettare una serie di obblighi procedurali e sostanziali, che valgono anche per le
imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale se
risultano impossibilitate a garantire il reimpiego di lavoratori sospesi.
Difronte al licenziamento collettivo, il legislatore prevede un doppio controllo sulla
decisione datoriale da parte:
1) dei sindacati;
2) di organi amministrativi, se non si raggiunge l’accordo sindacale.
La procedura di controllo sindacale pone l’obbligo a carico del datore di fornire ad
organi aziendali (RSA/RSU) o extra-aziendali una serie di informazioni che permettano
la verifica sulle motivazioni, quantità e qualità dei lavoratori coinvolti, conseguenze
sociali ecc.
All’accordo sindacale si può giungere durante l’esame congiunto eventualmente
richiesto dalle
rappresentanze sindacali: esame congiunto ed accordo riguardano tutte le misure per
evitare o contenere i licenziamenti.
Se non è raggiunto l’accordo, è introdotto il controllo amministrativo, che poco
aggiunge in concreto a
quanto è possibile fare con la procedura sindacale: che sia raggiunto o meno
l’accordo, al termine della procedura l’impresa è libera di licenziare.
In caso di accordo, il controllo giudiziale è normalmente escluso sui presupposti
sostanziali del licenziamento: si parla al riguardo di licenziamento collettivo
acausale.
Assumono molta rilevanza i criteri di scelta del lavoratore da licenziare: questi
possono essere previsti dall’accordo sindacale; in mancanza, la scelta datoriale dovrà
ispirarsi a criteri legali, dando priorità a lavoratori :
1) con minori carichi familiari;
2) meno anziani;
3) più toccati dalle esigenze di riduzione del personale.
I limiti ai licenziamenti collettivi riguardano anche i dirigenti.
13. Segmentazione delle tutele: vecchi-nuovi assunti, imprese minori e lavoro
pubblico
La segmentazione delle tutele, cioè la differenziazione dei regimi protettivi rispetto a
diverse categorie di destinatari (per tipo contrattuale, dimensioni di impresa ecc.),
costituisce un problema per la disciplina del mercato del lavoro italiano.
Segmentazione di particolare rilievo si ha rispetto al lavoro pubblico: a seguito della
privatizzazione, ai rapporti di lavoro con le P.A. trovava applicazione la tutela
reintegratoria piena, anche per i dirigenti.
A partire dal 2017, è stato previsto che il licenziamento illegittimo è sempre
sanzionato con la reintegra nel posto di lavoro e il riconoscimento di un risarcimento
del danno commisu