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LAVORO
I giuristi del lavoro e il tema: interrogativi e orientamenti critici. Volontarietà e dimensione
giuridica della responsabilità sociale d'impresa
Il diritto del lavoro, con la sua tradizionale predilezione per l'uso di norme cogenti e principi
inderogabili, con l'inclinazione alla tutela imperativa (ed esclusiva) dei suoi destinatari, non avrebbe
nulla in comune con la responsabilità sociale d'impresa che si fonda essenzialmente sull'adesione
volontaria e convinta dei suoi sostenitori.
La realizzazione della responsabilità sociale costituisce un «processo volontario e strategico» che,
peraltro, comporta la «assunzione, da parte delle imprese, di un insieme di obbligazioni e doveri nei
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confronti di uno specifico sistema di soggetti portatori d'interessi». V'è un riferimento esplicito ad
«impegni che l'impresa contrae» e che acquistano una «validità maggiore se sono individuati e
realizzati attraverso l'attivo coinvolgimento di tutti i portatori di interessi»: infatti, è il metodo o il
«principio del coinvolgimento» dei soggetti interessati che, secondo questa definizione, dovrebbe
consentire di «distinguere la RSI dalle pratiche di mecenatismo e di filantropia» eventualmente
adottate dal ceto imprenditoriale.
Il carattere «volontario» della responsabilità sociale e la sua ambizione di «andare al di là» rispetto
al soddisfacimento degli obblighi normativi presuppongono che sia già stato raggiunto e pienamente
realizzato il livello della legalità. Il che appare tutt'altro che scontato.
Le prassi - tipicamente procedurali - della responsabilità sociale sono destinate ad affiancarsi e
aggiungersi agli obblighi esistenti, senza sostituirsi ad essi: deve restare fermo, cioè, che non si
pongono immediati obiettivi di deregolamentazione. Al contrario, il nuovo approccio intende
«volontariamente» farsi carico di «preoccupazioni sociali» e di interessi più ampi (estesi a tutti i
potenziali stakeholders) rispetto a quelli considerati dal legislatore e dalla disciplina lavoristica.
Questa precisazione, tuttavia, potrebbe sollevare una perplessità di segno diverso, in quanto lo
spazio effettivamente agibile dalla responsabilità sociale risulterebbe in concreto limitato, se non
addirittura marginale, in un ordinamento del lavoro, come quello italiano, caratterizzato da un
elevato tasso di normazione. Non a caso, il suo terreno elettivo è stato sinora lo spazio economico
globale, nel quale notoriamente si registra un basso livello di regolazione giuridica, mentre i codici
di condotta, le intese stipulate dalle società multinazionali e le clausole sociali introdotte nei trattati
internazionali s'incaricano di promuovere i comportamenti responsabili sul piano sociale ed
ambientale. Nell'ordinamento domestico, al contrario, la responsabilità sociale finirebbe per
svolgere una funzione - non inutile, ma - meramente ripetitiva o, in qualche caso, di semplice
contorno rispetto all'apparato normativo esistente.
L'ordinamento giuslavoristico italiano appare caratterizzato non solo dall'alta densità normativa o,
se si vuole, dall'eccesso di norme vincolistiche, quanto soprattutto dalla molteplicità dei soggetti
titolari di poteri di regolazione e di auto-regolazione, nonché dalla pluralità delle fonti di
produzione normativa. Va considerato, in particolare, il ruolo svolto dalla contrattazione collettiva e
dalle relazioni sindacali, che probabilmente sono in grado di sospingere la responsabilità sociale
(interna) dell'impresa oltre la soglia della pura volontarietà, realizzando una sorta di
istituzionalizzazione indiretta.
Anche riconosciuta la base “volontaria” che si pone al di sotto della soglia di doverosità, è difficile
negare che vi siano ricate apprezzabili in termini giuridici, persino obbligatori, una volta
formalizzate le prassi e le procedure socialemente responsabili nel sistema di relazioni industriali o
attraverso la contrattazione collettiva.
La dimensione interna della responsabilità sociale ed i suoi interlocutori
Se è vero che l'obiettivo finale è il maggior coinvolgimento dei lavoratori - in quanto «parti
interessate all'attività dell'impresa ma che possono a loro volta influire sulla sua riuscita» - non è
escluso, tuttavia che ciò avvenga attraverso una «comunicazione unilaterale e diretta» tra l'impresa
che vuol rendersi socialmente responsabile e i singoli dipendenti, trascurando la rilevanza collettiva
degli interessi e la gestione, non di rado conflittuale, delle relazioni sindacali.
A questo proposito, i documenti comunitari non esitano a sostenere che «i dipendenti sono i
principali interlocutori delle imprese». È comprensibile la cautela delle organizzazioni sindacali,
specie delle rappresentanze sindacali dei lavoratori, nell’affrontare il tema della responsabilità
sociale d’impresa in termini operativi; neppure è chiaro se e come le prassi socialmente responsabili
possano essere attratte nell’area della contrattazione collettiva. Le organizzazioni sindacali appaiono
più propense all'adozione di intese triangolari che coinvolgano i poteri pubblici, a livello centrale e
locale. Sono già numerosi, infatti, i «Patti» per lo sviluppo territoriale, per la sostenibilità
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ambientale e la coesione sociale siglati con le amministrazioni regionali e provinciali, che includono
esplicitamente il tema della responsabilità sociale d'impresa (es. Protocollo d'intesa 15 novembre
2004 per la realizzazione del progetto «Fabrica ethica Laboratorio Filiera Pelle-FELAFIP»,
stipulato tra la Regione Toscana, alcune Province e Comuni, le organizzazioni sindacali dei
lavoratori e le associazioni di categoria).
Realisticamente, vi è una diffusa consapevolezza che la «volontarietà» delle pratiche socialmente
responsabili debba essere fattivamente incentivata con idonei sostegni giuridico-finanziari, ai quali
si collegano opportuni strumenti di controllo. Sotto questo profilo, è stata segnalata l'analogia con
l'esperienza delle «azioni positive» a favore dell'occupazione femminile e della parità nel lavoro: si
tratta di esempi significativi di come si possa superare «volontariamente» la soglia della mera
osservanza dell'obbligo legale di non-discriminazione, per conseguire obiettivi di sicura rilevanza
sociale. È noto, però, che la disponibilità di finanziamenti pubblici ha finito per condizionare lo
sviluppo di tali iniziative, al punto che le azioni positive sinora realizzate hanno coinciso «quasi
completamente con quelle finanziate».
Le politiche pubbliche di sostegno della responsabilità sociale - con l'eventuale introduzione di
dispositivi premianti (anche di tipo economico) - non possono neppure trascurare i vincoli posti
dalla regolamentazione comunitaria in materia di aiuti di Stato e per la salvaguardia del principio
aureo della concorrenza. Pericoli di distorsione e di perturbativa della competizione fra le imprese
nel mercato europeo: pericoli che, in questo caso, sarebbero aggravati dalla mancanza di criteri di
verifica comunemente accettati. Gli stessi documenti europei sottolineano la scarsa affidabilità di
molte «etichette sociali».
Se la via italiana della responsabilità sociale d'impresa è quella che conduce preferibilmente
nell'ambito d'un modello concertativo locale, sulla scorta dell'esperienza relativa ai «patti
territoriali» per lo sviluppo, è lecito chiedersi quale sia l'originalità o il carattere innovativo
dell'approccio, nonostante sia evidente lo sforzo dei documenti comunitari di connotare in modo
autonomo le prassi socialmente responsabili rispetto alle procedure di informazione/partecipazione
sindacale e al dialogo sociale.
Disciplina e funzionamento del mercato del lavoro: un ruolo (possibile) della responsabilità
sociale d'impresa
Stretto collegamento della responsabilità sociale d'impresa con gli obiettivi elaborati dal Consiglio
di Lisbona in relazione ad una crescita economica sostenibile, alla coesione sociale e al mi-
glioramento qualitativo/quantitativo dell'occupazione.
Come si legge nel Libro Verde, il «contesto politico» appropriato nel quale s'inserisce la
responsabilità sociale è quello disegnato dalla Strategia europea dell'occupazione, alla quale
potrebbe recare «un contributo positivo»: anzi, la vera «sfida da raccogliere ... consiste nel
determinare come la responsabilità sociale delle imprese possa aiutare a raggiungere l'obiettivo di
Lisbona».
Buone prassi e procedure responsabili sono specialmente destinate ad operare nel settore sociale ed
appaiono finalizzate, all'attuazione degli orientamenti europei in materia di occupazione. «Dopo
Lisbona», si è scritto, «la questione non è più stata se promuovere la responsabilità sociale
d'impresa, ma come farlo».
La responsabilità sociale d'impresa potrebbe considerarsi, come una metodologia
d'implementazione e di governance della regolamentazione in materia di mercato del lavoro, in
coerenza con gli obiettivi strategici comunitari.
(Possibili) linee d'intervento della responsabilità sociale dell'impresa:
Le pratiche «volontarie», potrebbero puntare a valorizzare un altro obiettivo - che forse è più
appetibile per le imprese - quello della «fidelizzazione» dei dipendenti. Il Libro Verde,
sottolineando che l'intervento della responsabilità sociale nella gestione delle risorse umane e nella
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promozione della qualità del lavoro dev'essere considerato «come un investimento», anche perché
«attualmente una delle maggiori sfide che devono affrontare le imprese è di attrarre e conservare i
lavoratori qualificati».
Le prassi socialmente responsabili sono ritenute «essenziali» per attuare l'integrazione lavorativa
delle persone svantaggiate, aumentando i tassi di occupazione e la loro partecipazione al mercato
del lavoro.
Nonostante i generosi investimenti nella tutela ambientale e nel finanziamento di progetti culturali
(la cd. dimensione esterna della responsabilità sociale), le grandi imprese manifestano una notevole
cautela (e persino una certa resistenza) ad adottare pratiche socialmente responsabili nei confronti
dei propri dipendenti, al contrario delle piccole-medie imprese che tendono invece a preferire i
compotamenti virtuosi con immediati riflessi interni.
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