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IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO

Se il licenziamento individuale colpisce interessi del lavoratore singolo, il licenziamento

collettivo per riduzione di personale determina un problema sociale quanto più elevato è

il numero di licenziati. Per risolvere questi problemi sono tanti introdotti diversi strumenti:

procedura sindacale preventiva, nel corso della quale il confronto tra

• imprenditore e sindacati pur far emergere soluzioni per il riassorbimento, totale o

parziale, dell'eccedenza di personale, ad esempio riducendo l'orario di lavoro,

peggiorando le mansioni, agevolando il trasferimento d'azienda. Se però

l'eccedenza del personale risulta inevitabile, l'accordo collettivo può limitarne le

conseguenze fissando come criterio di scelta quello del possesso dei requisiti per

il prepensionamento o per pensionamento, sicché i licenziati non perdano il

reddito, ma sostituiscono la retribuzione con la pensione.

Cassa integrazione guadagni: consente all'imprenditore di evitare il licenziamento

• collettivo conservando il rapporto con i lavoratori non utilizzati, i quali beneficiano

dell'integrazione salariale per il tempo non lavorato. Anche se con la legge 223 del

1991, si è avuta una limitazione dell'integrazione salariale ad un periodo di tempo

ragionevole, consentendo licenziamento collettiva anche senza ricorso alla CiGS

indennità di mobilità: che è alternativa al licenziamento, nel senso che i lavoratori

• definitivamente licenziati dovrebbero essere immediatamente espulsi dall'azienda,

beneficiando solo successivamente dell'indennità di mobilità. Tuttavia l'indennità

non è prevista per tutte le ipotesi di licenziamento collettivo, ma riguarda solo i

lavoratori in cassa integrazione o che comunque rientrano nel campo di

applicazione della disciplina della CIGS. Questa ingiusta separazione tra area

assistita e area non sussista, è stata superata con la legge 92 del 2012 che ha

eliminato l'indennità della mobilità con la tutela contro la disoccupazione

denominata ASPI.

La disciplina anteriore alla legge numero 223 del 1991

Prima della legge del 1991, il licenziamento collettivo era regolato dagli accordi federali

per l'industria 20 dicembre 1950 e 5 maggio 1965, che prevedeva una apposita

procedura sindacale. Il legislatore nominava tale licenziamento solo per escluderlo

dalla disciplina del licenziamento individuale, per bloccarne l'intimazione in determinate

situazioni per consentire la mobilità collettiva del personale mediante l'intervento della

cassa integrazione, per imporre un principio di proporzionalità fra gli invalidi

obbligatoriamente assunti e quelli sottoposti a licenziamento collettivo e per assegnare

ai lavoratori licenziati collettivamente una precedenza in caso di nuove assunzioni

entro un anno presso la stessa azienda. Infatti con questa legge il licenziamento

collettivo era riconosciuto solo in presenza di determinati requisiti: pluralità di

licenziamenti, riduzione o la trasformazione di attività o di lavoro, nesso di casualità tra

la scelta economica del datore e la soppressione di un certo numero di posti di lavoro,

rispetto delle procedure sindacabili ove applicabili. La nozione di licenziamento

collettivo così elaborata era un modo per sfuggire alla disciplina del licenziamento

individuale, ke non a caso ritornava automaticamente applicabile quando non vi erano

tutti gli elementi sostanziali del licenziamento collettivo. In un sistema del genere,

l'imprenditore aveva sempre la facoltà di avvalersi del licenziamento individuale,

assumendosi l'onere della prova del giustificato motivo oggettivo quando ritenesse

conveniente, ad esempio per evitare la procedura sindacale.

La definizione del licenziamento collettivo

Con la legge 223 del 1991 la situazione è profondamente cambiata, poiché è stata

introdotta una definizione legale del licenziamento collettivo. Pertanto, in caso di

licenziamenti intimati come individuali, il datore non può più limitarsi a sostenere

l'esistenza di un giustificato motivo oggettivo, ma deve difendere l'effettiva natura

individuale del licenziamento. La legge del 223 del 1991 distingue licenziamento per

riduzione di personale dal collocamento in mobilità, ma quest'ultimo è uno licenziamento

collettivo intimato da un'impresa già ammessa al trattamento di integrazione salariale

straordinaria a quei lavoratori sospesi che divengono definitivamente licenziati. La

differenza principale tra le due tipologie riguarda la tutela previdenziale per il periodo

successivo al licenziamento: l'indennità di mobilità è sempre dovuta ai lavoratori collocati

in mobilità, ma spetta anche ai lavoratori licenziati collettivamente solo se l'azienda

rientra nel campo di applicazione dell'integrazione salariale; in modo tale che le imprese

escluse dalla disciplina della CIGS, effettuano licenziamenti collettivi senza indennità di

mobilità, con esonero dell'imprenditore dall'apposita contribuzione salariale.

La disciplina legale di licenziamento collettivo (non riguarda i dirigenti) si applica

alle imprese che occupano più di 15 dipendenti o per quanto riguarda il

collocamento in mobilità, alle imprese che occupano più di 15 dipendenti del

semestre precedente alla data di presentazione della richiesta di integrazione

salariale. Sono esclusi dunque il datore di lavoro con meno di 16 dipendenti, i quali

possono intimare solo licenziamenti individuali. Gli elementi essenziali del licenziamento

collettivo sono principalmente gli stessi della legge del 1950: riduzione o trasformazione

di lavoro o di attività; requisito del nesso di casualità tra la scelta economica

organizzativa del datore e posti da sopprimere. L'onere della prova dell'esistenza di

questi presupposti per il licenziamento collettivo grava sull’ imprenditore, che deve

dimostrare solo l'effettività della decisione riduttiva di personale. Inoltre per richiedere il

licenziamento collettivo, è necessario il requisito numerico di almeno cinque

licenziamenti, salvo il caso di collocazione in mobilità. La legge estende la disciplina del

licenziamento collettivo anche al caso di cessazione dell'attività per quei datori di lavoro

con più di 15 dipendenti. Per il collocamento in mobilità, il recesso è legittimo se

risulta dalla combinazione tra il programma che aveva consentito l'intervento della CIGS

(ristrutturazione e di riorganizzazione aziendale) e impossibilità di garantire il reimpiego

a tutti i lavoratori sospesi; qui è consentito anche il licenziamento di un numero di

dipendenti inferiore a 5. Queste scelte sono valutate dal controllo del giudice ed

dall'esame congiunto con i sindacati.

La procedura

La legge impone al datore che intende effettuare un licenziamento collettivo di seguire

una procedura sindacale; la procedure è diretta ad assicurare il controllo sindacale

sulla riduzione del personale per ottenere un confronto con l'imprenditore, anche se il

datore è legittimato ad effettuare licenziamenti e quindi non è richiesto il consenso dei

sindacati. La procedura si apre con una comunicazione obbligatoria scritta del datore di

lavoro alle R.s.a e ai sindacati territoriali, e alla direzione regionale del lavoro. Il

contenuto dell'informazione è indicato dalla legge e riguarda: motivi dell'eccedenza, le

ragioni dell'inevitabilità del licenziamento, le eventuali misure per fronteggiare le

conseguenze, il metodo di calcolo di tutti i super minimi individuali; inoltre l'informazione

deve essere vera, completa e corretta poiché il datore di lavoro non può discostarsi

neppure in giudizio dalle dichiarazioni scritte nella comunicazione. Se il datore di lavoro

è un'impresa rientrante nel campo di applicazione dell'integrazione salariale, con

conseguente diritto dei lavoratori all'indennità di mobilità, è tenuto a versare in anticipo

all'Inps una parte del contributo previdenziale in proporzione al numero delle eccedenze

e deve allegare alla comunicazione una copia della ricevuta di tale versamento.

L'omesso versamento dell'anticipo e della sua documentazione, non comportano né la

sospensione della procedura di mobilità, ne la perdita da parte dei lavoratori del diritto

all'indennità di mobilità, in modo che l'imprenditore resta debitore dell'INPS, ma i

licenziamenti sono validi. Entro sette giorni dalla comunicazione del datore di lavoro, le

r.s.a. E i sindacati territoriali possono richiedere un esame congiunto della situazione per

verificare le cause delle eccedenze, la possibilità di evitare i licenziamenti. È previsto un

termine massimo di 45 giorni per il compimento della consultazione e in caso di esito

negativo la regione deve convocarle x un ulteriore esame formulando anche proposte

per un accordo entro 30 giorni. In questo periodo i rapporti di lavoro proseguono a tutti

gli effetti e i lavoratori vengono regolarmente retribuiti. Il datore di lavoro non è tenuto ad

accogliere le istanze sindacali e quindi a concludere un accordo con loro, anche se il

raggiungimento dell'accordo non è indifferente ma comporta dei vantaggi:

in questo caso il contributo previdenziale dovuto dall'impresa per l'indennità di

 mobilità è ridotto sensibilmente;

l'accordo sindacale può prevedere l'eliminazione o la riduzione delle eccedenze

 mediante l'assegnazione dei lavoratori interessati a mansioni diverse e quindi

anche inferiori rispetto alle precedenti

La conclusione dell'accordo rende inattaccabile la procedura da parte degli altri

 sindacati, comportando una presunzione di correttezza della procedura e

dell'esistenza dei presupposti sostanziali del licenziamento collettivo. Il legislatore

ha previsto espressamente k i vizi della procedura sindacale possono essere

sanati cn un accordo sindacale concluso nel corso della procedura, in modo che

se viene concluso un accordo sindacale al fine di sanare tali vizi, i vizi sanati non

potranno più essere invocati ne dai sindacati ne dai singoli lavoratori.

La selezione dei licenziandi

Alla fine della procedura, anche in assenza di accordo sindacale, il datore ha la

facoltà di effettuare licenziamenti in forma scritta e con obbligo di preavviso,

senza necessità di specifica motivazione. I licenziamenti possono essere frazionati,

ma entro il termine massimo di 120 giorni dalla conclusione della procedura. La

selezione dei licenziandi viene effettuata unilateralmente dal datore di lavoro. Il

licenziamento collettivo della lavoratrice madre è consentito solo in caso di cessazione

dell

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A.A. 2014-2015
75 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Rox33 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Fiorillo Luigi.