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PARTE NORMATIVA
Come è fatto un contratto collettivo? Di quale tipo di clausole si compone?
Nella struttura tradizionale dei contratti collettivi si suole distinguere tra parte
obbligatoria e parte normativa. L’elemento caratterizzante il contratto collettivo è
che esso è stipulato da soggetti collettivi, ma finisce per produrre molti dei suoi
effetti su terzi.
La parte obbligatoria del contratto collettivo è quella in cui i soggetti collettivi
inseriscono clausole da cui derivano obblighi reciproci, regolando i loro rapporti
futuri o con le quali si impegnano a gestire e amministrare il contratto.
La parte normativa del contratto è formata da quelle clausole destinate a
regolare, predeterminare il contenuto dei singoli rapporti individuali di lavoro di
coloro che sono estranei alla stipulazione del contratto, ma assoggettati a esso,
in virtù del principio di efficacia soggettiva. È la parte del contratto che regola il
rapporto individuale di lavoro.
Le clausole obbligatorie si differenziano per contenuto. Di esse può essere
operata una classificazione:
Esistono clausole obbligatorie strumentali, funzionali alla parte
a. normativa del contratto. Sono clausole mirate ad organizzare l’attività
negoziale futura o a migliorare la gestione della parte normativa del
contratto collettivo. (clausole di tregua o pace sindacale, clausole
istituzionali, clausole di amministrazione del contratto collettivo)
Una seconda tipologia di clausole obbligatorie è quella delle clausole
b. obbligatorie “pure”. Queste non sono destinate alla tutela collettiva dei
lavoratori, né alla gestione del sistema contrattuale, ma a regolare gli
interessi diretti delle associazioni sindacali stipulanti. (clausole sui diritti
di informazione)
Cosa succede quando il datore di lavoro viola una clausola del contratto
collettivo? Quale rimedio predispone l’ordinamento giuridico?
Nelle ipotesi di violazione di una clausola obbligatoria la giurisprudenza è
orientata a ritenere esperibile il rimedio dell’art. 28 S.L. al fine di reprimere la
condotta antisindacale consistente nella violazione di un diritto proprio del
sindacato. In alternativa il sindacato potrebbe esercitare gli ordinari rimedi
esperibili per l’inadempimento dei contratti.
Diverse le conseguenze della violazione di una clausola normativa: l’interesse
leso è direttamente quello individuale e non quello collettivo del sindacato; non si
giustifica l’applicazione dell’art. 28 S.L. A meno che la rilevanza e la reiterazione
della violazione della clausola normativa sia tale da infliggere un vulnus alla
credibilità del sindacato stesso nei confronti dei lavoratori. Il problema è
complicato dal fatto che i contratti collettivi contengono clausole la cui
qualificazione si presenta complessa (clausole ibride). La demarcazione tra
parte obbligatoria e parte normativa risulta chiara allorquando sono previsti
impegni reciproci soltanto in capo alle organizzazioni stipulanti; mentre diviene
incerta quando alcune clausole prevedono impegni in capo ai datori di lavoro
anche nei confronti dei singoli lavoratori oltre che del sindacato. Queste clausole
tutelano l’interesse collettivo presidiato dal sindacato e l’interesse del singolo
lavoratore a non dover fornire una disponibilità temporale della prestazione
senza limiti.
Postilla. La sentenza della Corte Costituzionale (221/2012) sull’art. 8, legge
148/2011
La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità dell’art. 8, l.148/2011, a
seguito di un ricorso di legittimità costituzionale promosso dalla regione Toscana
per violazione delle competenze regionali. La regione lamentava la violazione
degli artt. 39,117 e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione tra
Stato e regioni. La regione Toscana ha denunciato che gli accordi di prossimità
non solo avrebbero interferito con la disciplina legislativa regionale, ma
avrebbero anche violato l’art. 117 per la violazione della competenza concorrente
regionale in materia di tutela e sicurezza del lavoro. L’art. 8 avrebbe finito per
produrre una lesione dell’art. 39 sotto il profilo del rapporto tra fonti; poiché la
legislazione regionale frequentemente rinvia ai contratti collettivi nazionali e alla
legislazione nazionale considerando quelle disposizioni non derogabili dai
contratti aziendali o territoriali. Tale deroga non solo sarebbe stata consentita ai
contratti di prossimità ma addirittura avrebbe avuto efficacia erga omnes.
La regione ha lamentato che lo Stato non ha inteso azionare strumenti di
concertazione con le regioni prima dell’emanazione della legge, pur presentando
l’art. 8 numerose interferenze con le competenze regionali.
La Corte ribatte punto per punto le argomentazioni della regione Toscana
respingendo tutte le eccezioni di incostituzionalità. Nel far ciò ha buon gioco in
ragione di due principali argomenti.
L’art. 8 non produce alcuna interferenza con le materie attribuite alla
a. competenza concorrente delle regioni, posto che tutte le materie su cui può
svolgersi la contrattazione in deroga concernono apetti della disciplina
sindacale e intersoggettiva del rapporto di lavoro, riconducibili tutti alla
materia dell’ord. Civile rientrante nella competenza esclusiva dello Stato.
L’identificazione della materia deve essere effettuata avuto riguardo
all’oggetto e alla disciplina stabilita dalla medesima, tenendo conto della
sua ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessivi.
C’è pure un secondo argomento sul quale la Corte si diffonde meno ma
b. che acquista un peso specifico maggiore, poiché la Corte anticipa possibili
soluzioni di future questioni di illegittimità che attengono alle ulteriori
questioni di illegittimità che i giudici di merito o la Corte di Cassazione
potrebbero sollevare incidentalmente. La Consulta afferma che la norma
non è in contrasto con i profili di incostituzionalità ex art. 39 in ragione della
tassatività e della specificità delle materie sulle quali può esercitarsi il
potere di deroga della contrattazione di prossimità: esse non hanno un
ambito illimitato. La corte sostiene questa tesi in virtù di una lettura testuale
della disposizione, inoltre aggiunge che le deroghe alle materie
tassativamente indicate sono eccezionalmente concesse proprio perché
teleologicamente orientate. La norma è legittima poiché delimitata quanto a
oggetto e a finalità, spetterà ai giudici ordinari valutare l’adeguatezza dei
singoli contratti.
La contrattazione collettiva nel settore pubblico
7.
IL SISTEMA DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NEL SETTORE PUBBLICO:
L’ETEROREGOLAZIONE PER VIA LEGALE
La contrattazione collettiva nel settore privata è disciplinata da norme
endosindacali di natura volontaria e il suo funzionamento è prevalentemente
governato da prassi. Il suo regime di efficacia è stato per lungo tempo legato a
regole e principi di creazione giurisprudenziale e dottrinale. Tutto il contrario
avviene nel settore pubblico. Qui il sistema di contrattazione collettiva è
fortemente eteroregoleto per via legale. Le regole sulla contrattazione collettiva
pubblica sono raccolte nel d. lgs. 30 marzo 2001, n.165, recante “Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”, il cui Titolo III costituisce il testo normativo di riferimento per
conoscere la disciplina della contrattazione collettiva pubblica. L’ultimo
importante intervento legislativo (riforma Brunetta) ha soltanto innovato il
corpus di disposizioni raccolte nel decreto, accrescendo il ruolo della legge nella
disciplina della contrattazione.
La riforma ha previsto che il mancato rispetto dei vincoli imposti dalla legge
alla contrattazione collettiva determini la nullità delle clausole contrattuali difformi
dal dettato legislativo e ha reso espressamente applicabile il meccanismo della
sostituzione delle clausole nulle con norme imperative legali previsto dagli
artt. 1339 e 1419 “nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione
di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli
articoli 1339 e 1419 del codice civile”. L’”intromissione” legislativa nel sistema di
contrattazione collettiva pubblica ha posto seri problemi di legittimità
costituzionale, per i dubbi di compatibilità che le disposizioni legali sui contratti
collettivi hanno suscitato in rapporto alle previsioni dei commi 2-4 dell’art. 39
Cost. Questi ultimi prefigurano un meccanismo di efficacia dei contratti collettivi
“per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce” diverso
da quello istituito dalle regole legali sull’efficacia dei contratti collettivi nel settore
pubblico. La Corte Costituzionale non ha esitato a “salvare” le regole legali sulla
contrattazione collettiva pubblica e lo ha fatto circoscrivendo la valenza
impeditiva dell’art. 39 Cost.
Il tratto caratteristico del sistema di contrattazione collettiva pubblico è
rappresentato dalla sua etero regolazione per via legale: i reiterati propositi
legislativi di convergenza delle discipline del lavoro pubblico e del lavoro privato
non hanno mai intaccato tale caratteristica.
DALLA LEGGE QUADRO 93/1983 ALLA “SECONDA PRIVATIZZAZIONE” DEL LAVORO
PUBBLICO
Il processo di istituzionalizzazione legislativa della contrattazione collettiva
pubblica viene inaugurato dalla prima legge organiza di disciplina del lavoro
pubblico – l. 93/1983 – con la quale si provvede a disciplinare i principali aspetti
della contrattazione collettiva nel settore. Il legislatore prende atto di una sempre
più forte sindacalizzazione dei lavoratori del settore pubblico e introduce una
prima disciplina unitaria della contrattazione collettiva, sostituendo le
precedenti numerose discipline di settore adottate negli anni settanta.
La riforma degli anni ottanta appare ampiamente condizionata da una
prospettiva ancora pubblicistica: gli accordi sindacali devono essere recepiti
in atti formalmente unilaterali e che la stessa determinazione dei comparti di
contrattazione viene affidata ad un procedimento molto formalizzato.
Dalla legge quadro nasce un contratto collettivo che “si suicida” per rinascere
nella forma di un atto unilaterale ed autoritativo della pubblica amministrazione.
La legge quadro presenta un limite di fondo: essa intende compendiare il
riconoscimento del ruolo sindacale e della contrattazione collettiva con il più
tradizionale modello autoritativo, e non contrattuale, di disciplina dei
rapporti di lavoro pubblico, d