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I diritti sindacali nel pubblico impiego
La riforma del pubblico impiego l.d.421/1993 convertita in D.Lgs 29/1993 e ss.modifiche ai dipendenti degli enti pubblici si applica oggi l'art.2 II comma del D.Lgs. 165/2001, che ha disposto la privatizzazione del pubblico impiego. I dipendenti della PA devono sottostare alla legge sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa (quindi anche lo Statuto dei lavoratori. L'applicazione di tale legge però non è soggetta alle limitazioni derivanti dal numero dei dipendenti esaminate).
Differenze: nel settore privato i diritti sindacali spettano alle RSA in misura paritaria, in quello pubblico sono invece ripartiti tra i sindacati tramite lo strumento della rappresentatività ponderata. Inoltre nelle PA, le RSU e le RSA operano attraverso "terminali di tipo associativo". Anche se poi è possibile anche nel settore privato: i sindacati che aderiscono alle RSU rinunciano a costituire proprie RSA ma possono
sempre costituire proprie strutture associative (i terminali, appunto). La repressione della condotta antisindacale Art.28 dello Statuto. È strumento efficace per rendere effettivi il principio di libertà sindacale e tutte le posizioni giuridiche attive dei prestatori di lavoro. Il mutevole equilibrio dei rapporti di forza condiziona la stessa effettività delle norme di condotta, ove le stesse non siano assistite da un adeguato apparato di norme secondarie. La posizione di superiorità del datore porta a ritenere elevata l’eventualità che la norma favorevole al soggetto più debole incontri ostacoli alla sua piena applicazione. I lavoratori possono fare ricorso all’autotutela per realizzare l’effettività della norma (ma comunque ha costi elevati); di conseguenza il legislatore ha predisposto un particolare strumento giudiziario e una particolare strumentazione sanzionatoria. Di fronte a un comportamento del datore di lavoro diretto
Ad impedire o a limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale, nonché del diritto di sciopero, gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse possano proporre ricorso al tribunale del luogo ove è stato posto in essere il comportamento, per chiedere che quest'ultimo cessi e che i suoi effetti vengano rimossi.
Il giudice del lavoro, entro 2 giorni, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga che il comportamento denunciato sia effettivamente antisindacale, con provvedimento motivato ed immediatamente esecutivo, ordina al datore di cessare dal comportamento illegittimo e di rimuoverne gli effetti. Contro il decreto le parti, entro 15 giorni dalla comunicazione, possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice. Tale fase 1eventuale non sospende l'efficacia del decreto e quest'ultimo non può essere revocato fino alla sentenza con cui è definito.
Il giudizio. La condotta antisindacale: posta in essere dal datore o dai soggetti che nella gerarchia dell'impresa svolgano attività imputabili a questo. Ciò che conta è che il soggetto eserciti i poteri del datore, anche se formalmente non è parte del contratto. La norma ha contenuto indeterminato: il comportamento è illegittimo quando è idoneo a ledere beni protetti, indipendentemente dal modo. La norma è applicabile non solo quando un comportamento lede l'interesse sindacale, ma anche quello individuale, perché sia il soggetto può agire in giudizio per tutelare un proprio interesse, sia il sindacato ex. art. 28 Statuto (plurioffensività del comportamento: lede sia l'interesse individuale che quello collettivo, anche se sono protetti poi da norme differenti tra loro). Per antisindacalità si intende l'illiceità del comportamento dell'imprenditore che mira a reprimere il conflitto.
Non sono invece antisindacali le opposizioni dell'imprenditore nel conflitto (es. respingere le richieste di aumento). Tutelato infatti non è l'interesse del lavoratore a migliori condizioni, ma la possibilità di organizzarsi per perseguirle. La legittimazione attiva: legittimato è il sindacato. Si tratta di una novità rispetto alla giurisprudenza precedente, che aveva negato tale legittimazione argomentando che dopo la caduta del periodo corporativo i sindacati non avevano più la rappresentazione legale della categoria (1955). La legittimazione è affidata agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali. Sono esclusi dunque i singoli lavoratori, e le forme organizzative che non abbiano rappresentatività nazionale. Il requisito è il carattere nazionale dell'associazione. Non è necessario invece che abbia stipulato il contratto collettivo applicato all'unità produttiva. Tale limite ha posto.problemi di legittimità costituzionale. La Corte Cost. con sent. 54/1974 si è pronunciata sulla pretesa violazione dell'art. 24 Cost., sancendo che non vi è violazione, perché l'art. 28 non si sostituisce, ma si aggiunge agli ordinari strumenti processuali cui può ricorrere il singolo lavoratore. Si è ravvisata anche la violazione degli artt. 3, 24, 39 Cost. a causa dell'esclusione dei gruppi che non hanno una struttura associativa nazionale. La Corte ha però rigettato la questione, poiché comunque il sindacato non legittimato ex art. 28 può usufruire degli strumenti di tutela giudiziaria ordinari. Non vi è dunque contrasto con gli artt. della Cost in questione, in quanto la distinzione è ragionevole (si tratta di un uso responsabile dell'istituto). L'interesse ad agire: l'art. 28 prevede che possano proporre ricorso le associazioni che vi abbiano interesse. Tale definizione tuttavia nonè limitativa, perché non si intende l’interesse alla propria libertà sindacale, ma quello alla libertà sindacale di tutti i lavoratori e i sindacati. Infatti quasi mai si ravvisa la carenza di interesse, neanche quando l’azione è proposta in ritardo, purché siano ancora attuali gli effetti lesivi.
L’apparato sanzionatorio: il processo si conclude, se il giudice ritiene fondata l’azione promossa dal sindacato, con una condanna al datore a ripristinare la situazione preesistente. Si mira solo al ripristino dello status quo ante. Per velocizzare il processo, è stato previsto un sistema di coazione indiretta: se il datore non si conforma alla decisione, è punito ex art.650 c.p. (arresto fino a tre mesi o ammenda) ed art.36 c.p. (pubblicazione della sentenza di condanna). Dal 2000 è stata inoltre prevista la revoca delle agevolazioni fiscali di incentivazione di nuova occupazione.
La condotta antisindacale delle
PA: dal 2001 le controversie sono devolute al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, anche quelle riguardanti i rapporti di lavoro esclusi dalla riforma di privatizzazione.
Capitolo 7: Il contratto collettivo
Il movimento sindacale, sin dalle sue origini strettamente radicate all'interno del processo di rivoluzione industriale, ebbe tra i suoi fini primari, quello di ottenere minimi di tutela economica e normativa della condizione di vita e di lavoro.
Sul piano soggettivo, il problema della efficacia del contratto collettivo concerne l'individuazione dei soggetti vincolati e veniva risolto nel senso che essi coincidevano con gli aderenti alle associazioni sindacali firmatarie.
Sotto il profilo oggettivo, il problema era più complesso e consisteva nell'individuare i meccanismi mediante i quali questo contratto avrebbe vincolato i contratti individuali di lavoro, stipulati tra l'imprenditore e i singoli lavoratori (inderogabilità).
Era necessario impedire l'accettazione, da parte dei singoli lavoratori, di condizioni di lavoro peggiorative rispetto a quelle poste collettivamente. La dottrina pre-corporativa di Messina, afferma l'inderogabilità del contratto collettivo, spiegando il rapporto tra aderente e soggetto collettivo stipulante, in termini di rappresentanza, ma si esponeva alla critica di chi rilevava come le associazioni sindacali edatoriali agiscano in nome e per conto dei soci. Egli era consapevole che, in base al diritto comune delle obbligazioni, non si potesse affermare la prevalenza automatica delle clausole del contratto collettivo su quelle difformi del contratto individuale, ma che fosse possibile assicurare al contratto collettivo una sanzione di natura obbligatoria.
Il contratto collettivo corporativo:
La legislazione del 1926 istituiva l'ordinamento corporativo; tale legislazione prevedeva che ciascuna categoria di lavoratori e datori potesse essere riconosciuta legalmente da
una sola organizzazione; tale organizzazione diveniva persona giuridica di diritto pubblico, ed ente ausiliario dello Stato, oltre ad essere sottoposta ai suoi controlli.
Il contratto collettivo corporativo era inderogabile in peius da parte del contratto individuale, questo valeva per tutti i soggetti (iscritti e non); tali contratti erano a livello nazionale.
La soppressione avvenne nel 1944, ma restarono in vigore, salvo le successive modifiche, tutti i contratti stipulati dalle associazioni sciolte.
Il contratto collettivo e l'articolo 39 Cost.
Dopo le corporazioni il contratto collettivo ritornò nell'autonomia privata. L'assemblea costituente affrontò il problema della efficacia dei contratti collettivi; tale dibattito portò alla redazione dell'articolo 39 comma 3. Secondo tale norma, i sindacati registrati, riuniti in rappresentanze unitarie, ciascuno con un peso proporzionale agli iscritti, hanno il potere di stipulare contratti collettivi con
efficacia generale per tutta la categoria. 1Nel 1944 furono definitivamente sciolte le organizzazioni fasciste con il decreto legislativoluogotenenziale n° 369.Il decreto prevedeva la soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, la liquidazione delloro patrimonio, ed introduceva il collegamento tra il vecchio regime dei contratti collettivi ed ilnuovo.L’art. 43 di questo decreto manteneva in forza, salvo successive modifiche (temporaneità), icontratti collettivi in vigore in quel momento: garantiva l’ultrattività ai contratti collettivi didiritto corporativo, per evitare un vuoto normativo.In questo contesto di astensione legislativa, negli anni ’50, i lavoratori coperti da contrattocollettivo non erano molti (perché molti datori non erano iscritti). Matura allora nell’ambientepolitico l’idea di un intervento particolare che colmi il vuoto e garantisca l’efficacia erga omnesdei contratti collettivi.Questa legge
ostacolo nell’opposizione dei partiti di minoranza. La questione è stata sollevata anche dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della legge. Tuttavia, il governo ha annunciato la volontà di presentare un nuovo disegno di legge per superare gli ostacoli e garantire l’applicazione dell’art. 39.