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Capitolo Ottavo - La contrattazione collettiva
Sezione A: Evoluzione storica; soggetti, livelli e procedure
Premessa
Per "contrattazione collettiva" s'intende il processo attraverso il quale i sindacati dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro (o i singoli datori), l'uno difendendo le prerogative dei lavoratori, l'altro resistendo alle pressioni sindacali, definiscono la regolamentazione dei rapporti, individuali o collettivi, di lavoro. Nel contratto collettivo che ne scaturisce, dunque, vengono contemperati i vari interessi in gioco nel conflitto industriale.
La contrattazione collettiva può ricomprendere solo la stipulazione del contratto in se stesso, ed in tal caso si parla di contrattazione statica, oppure può anche prevedere la disciplina di attuazione del contratto, e si parla di contrattazione dinamica.
La contrattazione collettiva, inoltre, si svolge a più livelli organizzativi dei soggetti collettivi: si parla in
talcaso di struttura contrattuale. Solitamente i livelli sono 3 e portano a diversi tipi di accordi:- Accordo interconfederale: con esso vengono disciplinati singoli istituti quando si renda necessaria una regolamentazione unitaria da applicare a tutti i lavoratori di diverse categorie produttive. Prendono parte a tale accordo le tre grandi Confederazioni sindacali e, solitamente, Confindustria;
- Contratto collettivo nazionale di categoria (ccnl): viene stipulato con periodicità fissa, solitamente ogni 3 o 4 anni, e riguarda singole categorie produttive. In esso vengono fissati i trattamenti minimi economici e normativi da applicare in quel settore, oltre ad essere previste le relazioni tra stipulanti e loro articolazioni organizzative;
- Contratto decentrato: si tratta di un contratto stipulato dai soggetti collettivi a livello territoriale, solitamente provinciale o regionale, oppure, addirittura, di un contratto stipulato a livello aziendale, che vada ad integrare e
Contrattazione articolata
Dopo la caduta del sistema corporativo, sappiamo bene che venne ristabilita la libertà sindacale, che operava, inizialmente, tramite una struttura contrattuale del tutto centralizzata: essa tendeva, più che altro, a fissare i trattamenti minimi ed essenziali a livello economico e normativo dei rapporti di lavoro. Si trattava, è appena il caso di dirlo, di una contrattazione meramente interconfederale, che durò fino all'inizio degli anni 60, quando il contratto nazionale di categoria iniziò a diventare, grazie anche al boom economico, il perno centrale della contrattazione collettiva. Tuttavia rimaneva un po' isolata la contrattazione a livello aziendale, attuata dalle sole commissioni interne. Il livello aziendale venne del tutto riconosciuto all'interno di un apposito Protocollo del 5 luglio 1962, firmato dalle federazioni di categoria dei metalmeccanici, dall'Intersind e dall'Asap (associazioni che...
rappresentavano aziende a partecipazione statale), che diede luogo alla c.d. contrattazione articolata, fondata su una struttura contrattuale composta da 3 livelli, quello nazionale di categoria, quello di settore e quello aziendale. Il contratto nazionale di categoria avrebbe dovuto fissare le materie e gli istituti di competenza dei livelli inferiori, tramite apposite clausole di rinvio; il secondo livello, quello inerente il settore, non venne mai applicato; il terzo livello, quello aziendale, era rappresentato dal sindacato provinciale di categoria, e non più dai lavoratori interni dell’azienda. Il riconoscimento del livello azienda comportò l’accettazione delle c.d. clausole di tregua, per tenere a bada gli imprenditori ed accontentarli. Il ciclo 1968-1973 e la contrattazione non vincolata Nel 1967, sulla spinta del movimento operaio, si avviò un nuovo ciclo contrattuale: i lavoratori avevano bisogno di rappresentanze aziendali in grado di tener conto dellaquindi, alle aziende la responsabilità di garantire condizioni di lavoro migliori e di tutelare i diritti dei lavoratori. Durante gli anni '70, si assistette a un aumento delle lotte sindacali e delle scioperi, che portarono a importanti conquiste per i lavoratori. Tra queste, la riduzione dell'orario di lavoro e dello straordinario, la parificazione normativa tra operai ed impiegati e la possibilità di contrattazione aziendale non vincolata. Il contratto nazionale metalmeccanico del 1969 non riuscì a raggiungere un accordo sulla competenza della contrattazione aziendale, portando alla fine del sistema della contrattazione articolata. Questo permise l'introduzione della contrattazione non vincolata, che garantiva autonomia ai due livelli, aziendale e nazionale di categoria. La contrattazione aziendale divenne quindi subordinata alla contrattazione nazionale, fungendo spesso da locomotiva per quest'ultima e eliminando per molti anni il livello interconfederale. Le nuove rappresentanze aziendali, come i delegati e i consigli di fabbrica, introdussero all'interno delle grandi imprese una sempre maggiore tutela del lavoratore, con l'obiettivo di migliorare la sua situazione a livello specifico.poi, alla contrattazione nazionale estendere tali conquiste a tutti i settori ed a tutte le imprese. Si attuò, in poche parole, un sistema bipolare, in cui la contrattazione aziendale e quella nazionale godevano di una propria indipendenza. Si toccò il punto massimo di decentramento contrattuale. Gli anni dal 1975 al 1990: ricentralizzazione e nuovo decentramento La crisi petrolifera dei primi anni '70 coinvolse l'intera economia mondiale, riversandosi soprattutto sull'occupazione e pretendendo dei profondo mutamenti tecnologici ed organizzativi del sistema produttivo. La politica sindacale divenne politica di mantenimento dell'occupazione e la crisi in atto comportò una nuova centralizzazione della contrattazione collettiva e della struttura contrattuale. Il livello interconfederale divenne nuovamente l'attore principale degli accordi contrattuali, gettando nell'ombra, per un periodo consistente, sia la contrattazione nazionale di categoria.sia quella aziendale. Il Protocollo 36 del 22 gennaio 1983, che introdusse la c.d. contrattazione triangolare (Stato, sindacati ed imprese), introdusse il principio di non ripetibilità della contrattazione aziendale, il quale impediva a quest'ultima una contrattazione su materie già regolate ad altri livelli. Solo nella seconda metà degli anni 80 fu possibile favorire nuovamente il decentramento contrattuale, in quanto la necessità di reggere la concorrenza internazionale portò ad una forte flessibilità organizzativa e ad una riduzione della rigidità nella regolazione dei rapporti di lavoro (deregulation). Il Protocollo 23 luglio 1993 e la riforma della struttura contrattuale All'inizio degli anno 90 sono stati stipulati due accordi di fondamentale importanza tra il Governo e le parti sociali (accordi triangolari): quello del 31 luglio 1992, che ha abolito la c.d. scala mobile introdotto da un accordo interconfederale del 1975 e cheIn quanto era quest'ultima ad attribuirle delle competenze, da un altro punto di vista la contrattazione decentrata assumeva una propria autonomia di competenza su determinati punti e materie: si trattava del modello di struttura contrattuale fondato sul decentramento controllato e coordinato della contrattazione collettiva.
Per snellire il procedimento di rinnovo dei contratti, inoltre, venne previsto che, nei 3 mesi precedenti la scadenza del contratto e fino ad un mese dopo, il sindacato non potesse proclamare uno sciopero e che, qualora ci fosse stato qualche ritardo, sarebbe stata prevista un'indennità di vacanza contrattuale a favore dei lavoratori.
In realtà la nuova struttura contrattuale mostrò da subito qualche lacuna in merito al ruolo della contrattazione aziendale/territoriale: solo nelle medie-grandi imprese si ottenevano degli aumenti delle retribuzioni come premi di risultato, mentre nelle piccole e piccolissime imprese, che comprendevano
La maggior parte dei lavoratori italiani, tale sistema non riceveva applicazione, per l'assenza o la scarsa forza delle rappresentanze sindacali. Accordo quadro del 22 gennaio 2009 Ricapitoliamo l