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Rappresentanza e rappresentatività sindacale
1. Rappresentanza e rappresentatività
L'interesse collettivo è qualcosa di diverso dalla somma degli interessi individuali dei suoi membri, ciò impedisce di ricondurre il legame tra sindacato e i lavoratori all'istituto del mandato con rappresentanza, infatti, il rappresentante agisce in nome e nell'interesse del soggetto rappresentato, mentre il sindacato agisce in nome proprio, perseguendo l'interesse collettivo di cui è titolare.
La rappresentatività è la capacità dell'organizzazione di unificare i comportamenti dei lavoratori, in modo che gli stessi operino non ciascuno secondo le proprie scelte, ma come gruppo.
2. Il sindacato maggiormente rappresentativo
Lo Statuto dei lavoratori è stato definito come una legislazione di sostegno e promozione dell'attività sindacale, infatti ha riconosciuto alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative,
Diritti che favoriscono il rapporto tra l'organizzazione e i lavoratori rappresentati (diritto assemblea art.20). Vi sono altre norme che fanno riferimento a tale concetto, esse possono essere divise in due categorie, la prima riguarda il potere di designare rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali espressivi degli interessi delle parti sociali, l'altra gli permette di stipulare particolari tipi di contratti collettivi.
3. La rappresentatività presunta
Il criterio della maggiore rappresentatività, proviene da un dato storico, e quindi non si basa su indici quantitativi, perciò viene definita rappresentatività presunta.
4. Gli indici della maggiore rappresentatività
La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcuni indici:
- Consistenza del numero degli iscritti
- Equilibrata presenza in un ampio arco di settori (le opinioni in merito divergono)
- Svolgimento di un'attività di contrattazione
- Autotutela con caratteri di effettività
continuità, sistematicità
5. La crisi della maggiore rappresentatività
Questo metodo è entrato in crisi nella seconda metà degli anni ottanta e il referendum del 1995 ne è stato sintomo e aggravante.
La capacità rappresentativa delle grandi confederazioni non poteva più essere presunta, ma doveva essere verificata. Dopo questa verifica, la maggiore rappresentatività della CGIL, CISL, UIL, ne è uscita confermata e il peso dei sindacati autonomi ne è uscito ridimensionato.
6. L'art. 19 dello statuto e i referendum del 1995
L'articolo 19 ha individuato come soggetti titolari dei diritti sindacali, le rappresentanze sindacali aziendali che fossero costituite ad iniziativa dei lavoratori ed operassero nell'ambito delle:
- Associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale
- Associazioni non affiliate alle precedenti confederazioni, che siano firmatarie di contratti
Collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva. Il secondo criterio è residuale. Questa norma è stata oggetto di due referendum abrogativi (1995), uno con esito negativo e l'altro con esito positivo. Quello con esito negativo, se avesse avuto esito positivo, i titolari dei diritti sindacali del titolo III Statuto sarebbero state tutte rappresentanze sindacali senza distinzione alcuna. È stato invece approvato il quesito referendario che si limitava ad investire la lettera a, e della lettera b, le parole nazionali o provinciali. Il risultato è che il titolo III trova applicazione solo per le rappresentanze che abbiano stipulato contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, qualsiasi sia il loro livello. Precedentemente (ai sensi dell'articolo 19) un sindacato per essere considerato rappresentativo, doveva svolgere la sua attività in una pluralità di imprese nell'ambito territoriale.
L'abrogazione referendaria dei termini provinciale o nazionale, aumenta la possibilità di costituire r.s.a. Le conseguenze pratiche non sono di gran rilievo.
7. La giurisprudenza costituzionale sull'articolo 19 prima dei referendum
L'articolo 19 è stato più volte oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, in relazione agli articoli 39, 3 Cost. Prima del 1995, la Corte si è pronunziata nel '74, '88, '90, le eccezioni di illegittimità sono state respinte, ma con letture diverse che entrano in conflitto tra loro.
Secondo la sentenza 6.3.1971 n. 54 la sua funzione è di identificare i soggetti titolari delle posizioni attive, previste dalle norme del titolo III, e non quella di limitare la libertà di costituire rappresentanze sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, che viene garantita all'articolo 14 della stessa legge. Non è da considerarsi illegittimo rispetto
All'articolo 3 della Costituzione, il principio di uguaglianza risulta violato non alla presenza di qualsiasi disparità di trattamento, ma quando la stessa non abbia giustificazioni e non risponda a criteri di ragionevolezza.
La sentenza 24.3.1988 n.334 fa riferimento alla lettera a, considerandone il carattere solidaristico dell'opzione a favore del modello intercategoriale, e tale scelta è da considerarsi coerente anche a livello storico.
Nonostante la sentenza 26.1.1990 dia un'interpretazione completamente diversa, ancora una volta tale eccezione è stata respinta.
In sintesi: il privilegio in favore dei sindacati maggiormente rappresentativi, nella prima sentenza era solo ragionevole, nella seconda in qualche modo costituzionalmente vincolata, nella terza diventa costituzionalmente obbligatoria.
8. La giurisprudenza costituzionale sull'articolo 19 dopo i referendum.
La Corte Costituzionale con la sentenza 12.7.1996 n. 244 respinge l'eccezione.
sostenendo che, anche nella nuova formulazione, non viola l'articolo 39, poiché "le norme di sostegno dell'azione sindacale nelle unità produttive, in quanto sopravanzano la garanzia costituzionale della libertà sindacale, ben possono essere riservate a certi sindacati identificati mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità", né è violato l'articolo 3, perché questi limiti di razionalità sono rispettati dalle norme in esame. (In pratica né prima né dopo è risultato incostituzionale.)
10. Il sindacato comparativamente più rappresentativo
In alcuni recenti interventi, il legislatore ha introdotto una differente nozione, quella di sindacato comparativamente più rappresentativo. Si tratta di ipotesi nelle quali la legge assume il contratto collettivo, stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi, come fatto produttivo di
effetti giuridici da lei stessa determinati, ad esempio assume le retribuzioni come parametro per la determinazione dell'obbligo contributivo previdenziale. La comparazione dovrà essere compiuta sulla base degli indici tradizionalmente elaborati: consistenza numerica, diffusione territoriale, partecipazione effettiva alle relazioni industriali. Questa soluzione lascia aperto il problema sull'ipotesi in cui, due contratti collettivi concorrenti non coprano il medesimo gruppo professionale, ma uno più ampio o più ristretto rispetto all'altro. Il criterio del sindacato comparativamente rappresentativo non è in grado di risolvere un simile problema, per l'ovvia ragione che la comparazione può avvenire solo tra termini omogenei. In altri casi la legge affida al contratto collettivo stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi la funzione di integrare o modificare la regolamentazione posta dalla legge stessa, ne
lavoro è un diritto riconosciuto ai lavoratori e alle lavoratrici, che possono eleggere i propri rappresentanti sindacali per tutelare i propri interessi e negoziare con i datori di lavoro. I rappresentanti sindacali hanno il compito di rappresentare i lavoratori e le lavoratrici nelle questioni riguardanti le condizioni di lavoro, i salari, gli orari e altri diritti e benefici. La legge prevede che i sindacati più rappresentativi abbiano maggiori diritti e poteri di negoziazione rispetto ad altri sindacati meno rappresentativi. Questo significa che i sindacati più rappresentativi hanno il diritto di essere consultati e coinvolti nelle decisioni che riguardano i lavoratori e le lavoratrici. Inoltre, i sindacati più rappresentativi hanno il diritto di stipulare contratti collettivi di lavoro che disciplinano le condizioni di lavoro per un determinato settore o categoria di lavoratori. È importante sottolineare che la rappresentanza sindacale non è obbligatoria, ma è un diritto che i lavoratori e le lavoratrici possono esercitare se lo desiderano. Inoltre, i datori di lavoro devono rispettare e collaborare con i rappresentanti sindacali e non possono discriminare o penalizzare i lavoratori per il loro coinvolgimento sindacale. In conclusione, la rappresentanza sindacale è un elemento fondamentale per garantire i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e per promuovere un ambiente di lavoro equo e sicuro.Alle origini il movimento sindacale si diede una struttura di tipo prevalentemente territoriale, con la creazione dai primi anni del secolo di un canale di rappresentanza strutturalmente diverso e separato da quello dei sindacati. Mentre gli organi che stiamo per andare ad analizzare il più delle volte assumevano la forma di una struttura elettiva di rappresentanza di tutti i lavoratori all'interno dell'impresa, i sindacati si davano struttura associativa che ancora oggi conservano. Si formava così il c.d. doppio canale, situazione nella quale l'attribuzione delle funzioni negoziali venivano assegnate alla struttura associativa, e quelle di controllo e consultazione alla struttura elettiva, tale sistema si contrappone al canale unico dei sindacati nel quale la struttura associativa domina sia all'interno sia all'esterno dei luoghi di lavoro.
2. Le commissioni interne
Le commissioni interne furono regolate per la prima volta nel 1906; durante
Il periodo fascista vennero soppresse (1925 patto di Palazzo Vidoni), l'unico istituto rappresentativo dei lavoratori sul piano aziendale, fu la scialba figura del fiduciario d'azienda. Immediatamente dopo la caduta del regime fascista, le commissioni interne furono ripristinate (1943 c.d. patto Buozzi-Mazzini), durante il governo Badoglio, e gli veniva attribuito un compito di contrattazione collettiva al livello aziendale. Dopo la liberazione con accordi del 1947, 1953, 1966 le fu tolto ogni potere contrattuale. La composizione delle commissioni interne era determinata da un elezione a suffragio universale, e la ripartizione dei seggi avveniva con metodo proporzionale, la presentazione delle liste era aperta a qualsiasi gruppo, anche non inquadrato sindacalmente.
Fino agli anni sessanta furono la struttura portante del conflitto industriale all'interno delle aziende, ma non riuscirono a rispondere alla domanda di partecipazione operaia degli anni 1968-1969.
Le sezioni
Le sezioni sindacali aziendali si differenziano dalle commissioni interne, in quanto non sono un organo unitario e necessario, ma frutto della rappresentanza volontaria delle organizzazioni sindacali.