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LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEL PATRIMONIO MONDIALE CULTURALE E NATURALE IN TEMPO DI GUERRA E DI PACE

L'interesse comune dell'intera Comunità nei confronti del patrimonio culturale si configura soprattutto in termini di conservazione e protezione, nonché, con riferimento ai beni mobili, di lotta al traffico illecito, e non in pretese di appropriazione da parte della Comunità internazionale.

L'internazionalizzazione del patrimonio culturale mondiale avviene attraverso metodi e strumenti propri che si richiamano alla necessaria cooperazione dello Stato territoriale ed al carattere solidaristico e complementare della tutela internazionale. La volontà degli Stati di cooperare per superare i pericoli che incombono su questi beni trova la sua naturale espressione nell'attività dell'UNESCO e delle altre organizzazioni operanti in materia, come il Consiglio d'Europa.

LA TUTELA DEL PATRIMONIO CULTURALE IN TEMPO DI GUERRA

Dichiarazione di Bruxelles (1874) sulle norme e consuetudini di guerra: si estende il principio della proprietà privata anche ai beni storico-culturali degli Stati.

Convenzione dell'Aja del 1899: relativa alle guerre terresti;

Convenzione dell'Aja del 1907: relativa alle guerre navali.

Tali Convenzioni sono espressione di un primo concreto interesse della Comunità internazionale per la protezione dei beni culturali. La maggior parte delle disposizioni considera quali beni oggetto di protezione quasi esclusivamente quelli mobili.

Convenzione dell'Aja del 1954: è il primo strumento convenzionale a tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato. Nel preambolo della convenzione si afferma che i danni causati ai beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono un danno al patrimonio culturale dell'intera umanità perché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale. Con riferimento a questi beni sussiste un

  1. obbligo di protezione che si specifica incomportamenti di salvaguardia e di rispetto. Accanto a tale regime generale di protezione laConvenzione offre la possibilità di applicare un regime speciale di protezione ad un numero limitato di beni immobili e rifugi destinati a custodire beni mobili. La protezione può essere accordata a condizione che non siano usati a fini militari e che siano sufficientemente distanti dai principali obiettivi militari. Devono essere iscritti nel Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale.
  2. i Protocolli aggiuntivi: uno del 1954, destinato ad impedire l'esportazione dei beni culturali da un territorio di un Paese occupato o ad assicurare la restituzione dei beni culturali alle autorità competenti di tale Paese; l'altro, del 1999, volto a rafforzare la cooperazione tra gli Stati contraenti al fine di garantire una protezione rafforzata. Il secondo protocollo presenta innovazioni quanto alle condizioni

Nel secondo dopoguerra il compito di provvedere alla salvaguardia del patrimonio culturale venne affidata alle Nazioni Unite. Nel 1954 venne adottata la Convenzione dell'Aia per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, che stabilisce che tali beni non devono essere utilizzati a fini militari.

Il Protocollo del 1999 alla Convenzione dell'Aia introduce delle modifiche e integrazioni, al fine di rafforzare la protezione dei beni culturali. Questo Protocollo richiede che i beni da proteggere siano di grande importanza per l'umanità e già protetti da una normativa nazionale adeguata.

Il Protocollo non elimina la nozione di necessità militare per la deroga all'immunità dei beni, ma la riferisce al regime generale di protezione e le conferisce un contenuto più preciso, in modo da evitare che venga utilizzata come strumento di comodo per le forze militari.

Per quanto riguarda i beni che godono di protezione speciale, il Protocollo identifica le situazioni in cui l'uso della forza nei loro confronti può essere giustificato, limitandolo ai casi in cui il loro utilizzo li renda obiettivi militari.

All'UNESCO. La convenzione di Parigi del 1972 è adottata per realizzare la condivisione di responsabilità, istituendo un sistema di protezione collettiva del patrimonio di eccezionale valore universale. In questa Convenzione non viene assicurata la protezione materiale di tutti i beni culturali immobili, ma solo di quei beni che presentino una determinata valenza, qualificata come universale. Nei confronti di tali beni tutti gli Stati hanno obblighi positivi ai fini della protezione, alla tutela dell'integrità fisica, del restauro in caso di deterioramento, nonché degli altri interventi d'urgenza. Il Comitato del patrimonio mondiale cura la redazione di due liste: una lista del patrimonio mondiale e una lista del patrimonio mondiale in pericolo. Ai fini della convenzione sono considerati beni culturali i monumenti, i gruppi di edifici e i siti. L'iscrizione può essere effettuata solo su domanda dello Stato nell'ambito del cui

territorio il bene è situato e non autoritativamente dal Comitato. Anche l'assistenza internazionale può avvenire solo su richiesta dello Stato interessato. Vi è stata l'inclusione nella convenzione di un capitolo dedicato al suivi, ossia al controllo del permanere delle condizioni necessarie per l'iscrizione attraverso la regolamentazione di periodici rapporti degli Stati territoriali al Comitato del patrimonio mondiale.

LA TUTELA DEL PATRIMONIO NATURALE MONDIALE

I testi convenzionali sono generalmente concepiti o direttamente in funzione di determinati spazi (spesso in quanto habitat di alcune specie animali o vegetali), o direttamente in funzione della tutela di certe specie selvatiche, intervenendo allora la protezione di alcune zone determinate come misura necessariamente accessoria e quindi dipendente dalla finalità principale.

Ogni sito naturale per poter essere iscritto nella lista del patrimonio mondiale deve presentare il requisito dell'integrità.

che hanno ampliato il campo di applicazione della Convenzione, includendo anche le zone umide che non sono habitat di uccelli acquatici ma che sono di importanza internazionale per la conservazione della diversità biologica. Le zone umide sono aree di terra che sono permanentemente o temporaneamente allagate o che hanno un regime idrico che le rende caratteristiche delle zone umide. Queste aree includono paludi, laghi, fiumi, lagune, paludi costiere, mangrovie, praterie umide, torbiere e acquitrini. La Convenzione di Ramsar promuove la conservazione e l'uso sostenibile delle zone umide attraverso la cooperazione internazionale. Gli Stati contraenti si impegnano a designare e gestire le zone umide di importanza internazionale e ad adottare misure per la conservazione e l'uso sostenibile delle zone umide presenti sul loro territorio. La Convenzione riconosce che le zone umide svolgono un ruolo vitale per la conservazione della biodiversità, la mitigazione dei cambiamenti climatici, la fornitura di servizi ecosistemici e il sostentamento delle comunità umane. Pertanto, la conservazione delle zone umide è fondamentale per garantire un futuro sostenibile per il nostro pianeta.

Che hanno modificato tra l'altro i criteri per l'iscrizione dei siti culturali e naturali nell'elenco del patrimonio mondiale, inserendo la definizione di una nuova tipologia di sito, il paesaggio culturale: si tratta di siti che dimostrano in modo esemplare l'interazione tra uomo e natura. In alcune di queste realtà l'azione dell'uomo è determinante e domina le caratteristiche naturali per piegarle ai propri scopi (parchi e giardini), ma nelle altre tipologie l'opera dell'uomo non è così invasiva: tale è il caso dei paesaggi culturali essenzialmente evolutivi, risultato del soddisfacimento di esigenze sociali, economiche, amministrative e/o religiose in simbiosi con le caratteristiche dell'ambiente culturale e dei paesaggi culturali che si caratterizzano per l'associazione dei fenomeni religiosi, artistici o culturali all'elemento naturale.

CAPITOLO 9: LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE

DELL'AMBIENTE UMANO: LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Non sembra rinvenibile né nel diritto internazionale convenzionale, né in quello consuetudinario, per la protezione dell'ambiente, il principio del patrimonio comune dell'umanità.

Si può affermare l'esistenza nel diritto consuetudinario di una norma che impone agli Stati il divieto di inquinamento transfrontaliero. Si è affermato il principio che vieta gli usi nocivi del territorio, alla stregua del quale lo Stato non deve permettere che le attività realizzate sul territorio pregiudichino l'ambiente di Stati vicini.

A partire dagli anni settanta, il divieto di inquinamento transfrontaliero è venuto progressivamente estendendosi a tutti i casi in cui una sostanza inquinante fuoriesce dal territorio di uno Stato, apportando pregiudizi all'ambiente di altri Stati anche non contigui.

A partire dalla Dichiarazione di Stoccolma sull'ambiente umano del 1972

L'obbligo di impedire pregiudizi ambientali è stato esteso anche agli spazi non soggetti ad alcuna autorità nazionale. Si è poi venuta precisando ed estendendo la portata degli obblighi che incombono sugli Stati: questi sono responsabili per le attività dagli stessi posti in essere e per quelle comunque esercitate sotto il loro controllo: l'illecito dello Stato, oltre che commissivo, può essere omissivo, concretandosi nella mancata vigilanza su attività svolte da privati senza le dovute cautele. Si ritiene dalla dottrina maggioritaria che dal divieto di inquinamento non discende un obbligo di astensione di carattere generale, ma solo obblighi positivi, e precisamente: il dovere degli Stati di adottare tutte le misure necessarie ai fini dell'eliminazione o dell'attenuazione di ogni rischio di danno transfrontaliero: gli Stati sono liberi di intraprendere le attività che ritengono opportune ma sono vincolati al dovere di non

nuocere l'ambiente di altri Stati o zone non sottoposte a sovranità. Il fattore per verificare la legittimità delle utilizzazioni del territorio deve essere quello della diligenza usata dallo Stato per prevenire il rischio del danno ecologico (attraverso una condotta preventiva e repressiva). L'obbligo di prevenzione impone la pianificazione dei possibili rischi che potrebbero derivare dalle attività poste in essere dallo Stato. L'assenza di un pregiudizio non può giustificare l'imposizione di una sanzione; l'obbligo di prevenzione è non un obbligo di risultato, ma di mezzo o condotta la prova dell'adozione dei criteri di diligenza elimina ogni eventuale forma di responsabilità dello Stato. Il principio precauzionale prevede che gli Stati non possono invocare l'assenza di certezza scientifica come pretesto per rinviare misure effettive di prevenzione. Nella Dichiarazione di Rio si afferma che il principio deve

essere applicato tenendo conto delle possibilità di ciascuno Stato. Il documento afferma anche che le misure necessari

Dettagli
Publisher
A.A. 2008-2009
23 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher luca d. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze giuridiche Prof.