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Uniti d’America e la Repubblica socialista del Vietnam, in cui erano riportati numerosi casi di
aviatori americani rimasti prigionieri o misteriosamente scomparsi . Contrariamente alla prassi
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comune, il Regno Unito ha impiegato solo un mese per rimpatriare tutti i prigionieri argentini,
catturati durante la guerra Falklands/Malvine del 1982 . Durante la guerra tra Iran e Iraq, il governo
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iraniano ha ritardato, senza giusta causa, il rimpatrio di 496 soldati iracheni fino al 1997 (nove anni
dopo la fine del conflitto, che si era concluso nel 1988), sebbene l’Iraq contestasse la detenzione
illegittima di altri 18.000 prigionieri . Alcuni prigionieri (molti dei quali, peraltro, erano deceduti)
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sono stati rilasciati solo nel 2002, cioè quattordici anni dopo la fine delle ostilità . Il conflitto tra
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Iran e Iraq è scoppiato nel 1980 ed è durato fino al 20 agosto 1988, data in cui è stato raggiunto
l'accordo formale per un cessate il fuoco tra i due Stati belligeranti . Alla data del 1989, sia Iran che
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Iraq trattenevano ancora oltre centomila prigionieri . Solo pochi detenuti malati e feriti erano stati
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rilasciati al termine del conflitto da parte dei belligeranti. In tal modo, non risultava rispettato
N. RONZITTI, op. cit., p. 173. E. GREPPI, op. cit., p. 26.
6 R. KOLB, R. HYDE, op. cit., p. 216-217.
7 R. KOLB, op. cit., p. 178.
8 R. KOLB, op. cit., p. 177-178.
9 R. KOLB, op. cit., p. 178.
10 E. GREPPI, op. cit., p. 25-26.
11 R. KOLB, op. cit., p. 177.
12 J. QUIGLEY, Iran and Iraq and the obligations to release and repatriate prisoners of war after the close
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of hostilities, in American University International Law Review 5, no. 1, 1989, p. 75.
LEWIS, Red Cross Seeks to Interview All P.O.W.’s in the Gulf War, N.Y. Times, Nov. 8, 1988, A8.
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l'articolo 118 della III Convenzione di Ginevra del 1949, ratificata sia da Iran che da Iraq . La
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pratica degli altri Stati mediorientali, tuttavia, era di segno opposto a quella attuata da Iran e Iraq:
per esempio, pur nell'assenza di un trattato di pace, Israele ha sempre scambiato prigionieri con altri
Stati del Medio Oriente contro i quali aveva condotto un conflitto armato . Fu così adottata, in data
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20 luglio 1987, la risoluzione 598 da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La
risoluzione richiamava i due Stati ad impegnarsi per la cessazione delle ostilità, per il ritiro delle
proprie truppe dai territori altrui, per il rilascio dei prigionieri e per la conclusione di negoziati per
risolvere altri problemi . Entrambi gli Stati accettarono la risoluzione 598, cui seguì la risoluzione
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619 del 9 agosto 1988, tramite la quale il Consiglio di Sicurezza creò un gruppo di osservazione,
denominato United Nations Iran-Iraq Military Observer Group (UNIIMOG), deputato a rendere
effettivo il cessate il fuoco tra Iran e Iraq,. La cessazione delle ostilità avvenne il 20 agosto 1988 .
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Il problema di fondo della risoluzione 598 era la sua incertezza. Infatti, il Consiglio di Sicurezza
aveva imposto l'obbligazione di rilasciare i prigionieri di guerra senza ritardo dopo la cessazione
delle ostilità attive in accordo con la III Convenzione di Ginevra del 1949, ma l'aveva collocata
soltanto al paragrafo 3 della risoluzione. (“prisoners of war [should] be released and repatriated
after the cessation of active hostilities in accordance with the Third Geneva Convention” . Al
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paragrafo 1 si legge invece che, come primo passo (“as a first step”) verso un negoziato, Iran e Iraq
devono immediatamente cessare le ostilità, le azioni militari per terra, mare e aria, e ritirare le
proprie truppe senza ritardo. (“as a first step towards a negotiated settlement, Iran and Iraq
[should] observe an immediate cease-fire, discontinue all military actions on land, at sea, and in
the air, and withdraw all forces to the internationally recognized boundaries without delay”) .
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Proprio la dicitura “as a first step” portò l'Iran a credere che il rilascio dei prigionieri fosse da
effettuare solo dopo il ritiro delle truppe da parte dell'Iraq. D'altro canto, l'Iraq non era propenso a
trattare il problema dei prigionieri di guerra in via separata rispetto ad altri temi. Perciò, l'Iran
continuava a detenere circa settantamila prigionieri, cioè il doppio rispetto a quelli detenuti in Iraq .
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Se i prigionieri malati e feriti erano stati rilasciati correttamente da entrambi gli Stati, Iran e Iraq
J. QUIGLEY, op. cit., p. 73-74. L’Iraq ha ratificato la III Convenzione di Ginevra del 1949 il 14 febbraio
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1956, mentre l’Iran ha ratificato la Convenzione il 20 febbraio 1957.
J. QUIGLEY, op. cit., p. 74.
16 J. QUIGLEY, op. cit., p. 75.
17 J. QUIGLEY, op. cit., p. 75-76.
18 The Security Council, Resolution 598 (1987), p. 6.
19 The Security Council, Resolution 598 (1987), p. 6.
20 J. QUIGLEY, op. cit., p. 76-77.
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sospesero il rimpatrio dei prigionieri lamentando il mancato rilascio di un numero corretto di
prigionieri rispetto a quanto deciso nell'accordo. L'Iran aveva affermato che il mancato rilascio di
prigionieri era dovuto alla loro volontà di non rimpatriare. L'Iraq, invece, aveva stabilito che non
avrebbe rilasciato i prigionieri iraniani in via unilaterale, facendo leva sulla prassi degli Stati
precedente alla III Convenzione di Ginevra del 1949, che prevedeva il rimpatrio dei prigionieri da
parte di una Potenza come condizione per il rimpatrio dall'altra parte. In realtà, l'articolo 118 della
III Convenzione di Ginevra stabilisce che l'obbligazione di rimpatriare i prigionieri non dipende dal
corrispondente rilascio di detenuti dall'altra parte; anzi, l'articolo 118 rende chiaro che il rimpatrio
sia dovuto anche se lo Stato opposto dimostra riluttanza al rilascio. L'obbligazione suddetta, perciò,
risulta avere carattere unilaterale . Un possibile ostacolo al rimpatrio di un detenuto potrebbe essere
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la volontà di non essere rilasciato. In realtà, il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha
riportato, in un memorandum del 1983 a tutti i firmatari delle III Convenzione di Ginevra, che, da
ambo le parti, vi era stata pressione psicologica per trattenere i prigionieri nel territorio dello Stato
detentore. In Iran, in particolare, era stata praticata una sorta di “guida spirituale” sui prigionieri
iracheni. L'articolo 118 della III Convenzione di Ginevra del 1949, tuttavia, non affronta il tema
delle manipolazioni psicologiche attuate allo scopo di indurre i prigionieri a non voler rimpatriare e
nemmeno quello opposto del trattamento che potrebbe subire un prigioniero rimpatriato, che ha
dimostrato, durante la prigionia, infedeltà verso il proprio Stato di origine. Peraltro, né Iran né Iraq
avevano chiaramente garantito che non avrebbero maltrattato i propri cittadini detenuti all'estero,
una volta rientrati, o le loro famiglie, in caso di mancato rimpatrio, rendendo ancora più difficile la
risoluzione del problema delle manipolazioni psicologiche sui reclusi . In conclusione, la
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possibilità che Iran e Iraq rilasciassero i prigionieri era bassa appena terminato il conflitto, poiché
l'Iran collegava il problema dei detenuti ad altre questioni, mentre l'Iraq non voleva rilasciarli in
modo unilaterale. Nessuno Stato terzo, peraltro, aveva dimostrato la propria attenzione al problema
del rilascio dei prigionieri di guerra tra Iran e Iraq, anche se l'articolo 1 della III Convenzione di
Ginevra del 1949 e l'articolo 89 del I Protocollo del 1977 richiamano gli Stati terzi ad agire per il
rispetto della Convenzione. Per di più, il comma 4 dell'articolo 85 definisce grave violazione della
III Convenzione di Ginevra l'ingiustificato ritardo nel rilascio dei prigionieri di guerra. Tuttavia, a
partire dall'adozione della risoluzione 598, il Consiglio di Sicurezza non aveva mostrato molta
J. QUIGLEY, op. cit., p. 78-80: «once hostilities have ended, arguably, no lawful justification for
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detention exists».
J. QUIGLEY, op. cit., p. 81-83.
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attenzione al problema del rimpatrio dei prigionieri tra Iran e Iraq. Fu questa la ragione per cui il
rimpatrio fu completato solo nel 2002 .
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Al comma 4 dell’articolo 118 della III Convenzione di Ginevra del 1949, si fa rifermento alla
ripartizione delle spese sopportate per il rimpatrio dei prigionieri, che saranno divise tra la Potenza
detentrice e la Potenza da cui i prigionieri dipendono, secondo due criteri-guida, basati su un
principio territoriale. In ogni caso, la Potenza detentrice è costretta ad assumere su di sé i costi
relativi alla tratta coperta dai prigionieri fino al confine con la Potenza da cui dipendono; poi, è
quest’ultima che deve garantire il pagamento dei costi. Nel caso in cui le due Potenze non siano
confinanti, esse si devono accordare (senza però allungare i tempi di rimpatrio) per ripartirsi il resto
delle spese, secondo una base equa.
Un problema di non poco conto è dato dalla situazione in cui i prigionieri stessi non vogliano
rimpatriare, per evitare posizioni scomode o sfavorevoli nel proprio paese d’origine . L’articolo
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118, essendo una disposizione di ordine imperativo, non permette di non rimpatriare i prigionieri,
anche qualora essi esprimano un volontà in tal senso. La norma, si è detto, vuole evitare raggiri che
abbiano lo scopo di mantenere i prigionieri, anche dopo la fine del conflitto e sulla base di pretesti
differenti, nei luoghi dove hanno scontato il periodo di cattività . Tuttavia, dando uno sguardo alla
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pratica, si nota come questa rigidità non fosse appropriata all’epoca del totalitarismo: infatti, non era
pratica dei governi comunisti l’accogliere i prigionieri di guerra al termine della detenzione. Così,
quando il Regno Unito rimpatriò i cosacchi, baltici e ucraini nell’ex Unione Sovietica e dei
prigionieri di fede anti-comunista nell’ex Jugoslavia, questi subirono la deportazione da parte del
loro governo, non appena rientrarono in patria . A partire dalla guerra di Corea, però, la prassi ha
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mitigato tale obbligo, data la paura lamentata da molti detenuti di essere perseguitati in caso di
rientro nel proprio paese occupato dai nemici . Il vincolo di rimpatrio immediato e diretto ha così
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perso il proprio carattere tassativo. Alcuni soldati della Corea del Nord, desiderosi di far ritorno nel
proprio Stato, non furono mandati a casa. Questa condotta tipicamente occidentale ha creato
notevoli contrasti tra gli Stati combattenti. Ora, il Comitato internazionale della Croce Rossa
interviene, assicurandosi della reale volontà dei prigionieri . Essi, sulla base della loro libera scelta,
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J. QUIGLEY, op. cit., p. 84-85.
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